mercoledì 12 maggio 2010

Repetita


Nell’arco di un quarto d’ora, prima a Ottoemezzo e poi a Tetris, su La7 c’è Antonio Di Pietro: più che una somma, è un elevazione al quadrato: le cose che dice da Luca Telese – con le stesse parole, le stesse pause, gli stessi incisi che ha appena usato da Lilli Gruber – acquistano una forza che non hanno (e qui non vale neanche la pena di citarle), e questo è un saggio del potere televisivo.
Qui s’è trattato di un evidente caso di negligenza dell’addetto al palinsesto, ma una cazzata ha goduto dell’effetto di potenziamento che acquista se ripetuta due volte in breve tempo, senza contraddittorio, con due cravatte diverse, dal proprietario di un partito.

5 commenti:

  1. Egregio Malvino, nel 99% dei casi mi trovo d'accordo con tutto quello che Lei scrive, ma quando parla di Di Pietro non La seguo più. In un paese devastato da corruzione e illegalità, e definitivamente seppellito da un debito pubblico che in parte è causato proprio dalla corruzione, c'è un solo politico che ha il coraggio di dire: chi delinque deve andare in galera. D'accordo, non sarà il massimo come eloquenza o leadership, ma perchè stroncarlo in questo modo?
    Cordiali saluti

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  2. Chi delinque deve andare in galera, sono d'accordo anch'io. Ciò che non mi piace di Di Pietro è ciò che non mi piace di Berlusconi, di Bossi o di Pannella: la leadership di tipo carismatico, il possesso del partito di cui sono leader.
    Passi il fatto che Di Pietro sbagli i congiuntivi, ma trovo che la sua cultura della legalità non si esaurisca nel fatto che chi delinque debba andare in galera: arriva al giustizialismo. Appena ho un po' di tempo - mannaggia a me, ne ho sempre meno - le prometto di dilungarmi sull'argomento.

    P.S.: "Egregio" non mi piace.

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  3. Caro Malvino, aspetto con ansia la sua analisi, quando troverà il tempo di scriverla.

    Condivido la sua idea sui leader carismatici: per principio non li accetto, ho un'altra idea della politica anche per quanto riguarda la leadership. Su Di Pietro ho una difficoltà ulteriore: mi è seriamente antipatico, per modi e modalità di espressione. Fatta quindi una faticosa operazione di scrematura, cerco di capire e valutare unicamente l'idea di giustizia(-lismo?) che Di Pietro esprime.

    A meno che non mi sfugga qualcosa (e qui aspetto, appunto, il suo futuro commento), quanto Di Pietro sostiene mi pare condivisibile. Mi ricorda molto quelle che erano le posizioni giustizialiste dell'MSI dei tempi andati. In tre parole: hai sbagliato, paghi.

    Per darle un'idea più chiara: la mia idea di "giustizialismo" prevede che valga per i politici quanto vale per me, che sono dipendente pubblico. Faccio una cazzata, tipo una rissa con un collega, assentarmi dal lavoro senza una giustificazione, prendere una stecca? Licenziato, fuori dalle balle. Ecco, mi piacerebbe che queste regole valessero anche per loro.

    Cordialmente, Guido Gonzato

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  4. io aggiungerei che un partito monoconcettuale (chi delinque deve andare in galera, detto all'abruzzese) non è che sia il massimo - credo che (esempi) fini e parte del pd siano d'accordo con la massima, solo non ne fanno un mantra.
    e poi un mondo dove si parla solo di giustizia da tribunale mi deprime l'idealismo

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  5. Il contraddittorio era lì, casomai non è stato esercitato. Nei paesi normali il più delle volte il contraddittorio lo fa il giornalista anche meglio dell'avversario politico, forse perché il politico ha in comune con l'avversario l'essere ... un politico. I giornalisti erano diversi nei due programmi, e quindi gli elementi base per vedere due dibattiti diversi c'erano (ci sarebbero stati) tutti quanti.

    Aderisco ad alcuni commenti: leggera allergia per le leadership durature e troppo accentuate di stampo egemonico-carismatico se non anche populistico. Aggiungo un'impressione all'essersi di lui adeguato a vestire i panni di un personaggio, con un calcolo preciso giorno per giorno.
    Ma condivisione, fino ad argomentazione esposta, nell'essere scettici sull'(ab)uso di termini come questo fantomatico "giustizialismo". La controprova è lì, chiara, palese, nei provvedimenti legislativi della classe politica, soprattutto di una parte (anche se non solo). E' difficile vestirsi da sinceri garantisti quando dall'altra parte c'è un aggiustamento continuo delle regole (non dimentichiamo casi come quello in cui per un reato qualcuno non è stato condannato perché la legge è cambiata durante il processo, e l'imputato è il soggetto che ha cambiato la legge).

    In sintesi: che ci siano colpevoli in giro ce lo dicono la cronaca parlamentare e i neuroni se li mettiamo in funzione. Di Pietro in tutto questo a mio parere veste i panni di un semplice notaio, più che di un "giustizialista". Il problema è che da noi pure il notaio diventa un barbaro forcaiolo se dall'altra parte la menzogna è imperativo.

    La metafora, l'iperbole e l'esagerazione e le loro eco fanno poi parte sicuramente del costume politico in generale, e del personaggio più in particolare, ma esse non sono da essere confuse con la sostanza.

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