lunedì 14 giugno 2010

Il nemico in casa


Il calcio non riesce ad appassionarmi, neanche quando gioca la Nazionale. E sì che posso dire d’essermi sforzato, almeno in gioventù, arrivando a indossare la maglietta di una squadretta di serie Ñ (da pronunciare come in sugna): niente da fare, mai riuscito a penetrare la filosofia del gioco. Collezionai sei giornate di squalifica in due anni, ruppi una tibia, segnai un goal di ginocchio, ma non riuscivo a uscire dalla logica del terzino destro che ha una questione personale aperta con l’ala sinistra. Insomma, una merda di terzino destro.
Mi ero spinto a provarmi proprio per l’antipatia verso il gioco – volevo entrarci dentro per farmi prendere dalla normale simpatia che il calcio riscuoteva da tutti attorno a me, firmai quel tesserino come un atto di umiltà, come a darmi una chance – ma in quel gioco tutto mi sembrava (e continua a sembrarmi) una variante delle sfide tra tribù: il meglio in campo (quasi tutti mercenari) e il resto sugli spalti (indigeni malati di senso di appartenenza alla tribù).
È un po’ così per tutti i giochi di squadra, sicché suppongo che questa mia repulsione abbia a che fare con la mia indole scontrosa e selvatica (e infatti amo la boxe, la corrida e il lancio del giavellotto), però col calcio la repulsione ha vera e propria somatizzazione intellettuale: mi dicono che, quando alla tv passa una partita, piglio una smorfia di disgusto e che seguo le discussioni dei dopopartita con lo stesso sguardo atterrito che ogni volta ho nel rivedere la scena della carcassa di motorino buttata giù dall’anello alto di uno stadio, mi pare San Siro.
Ecco, mai come nel calcio – potrei sbagliare ma ne ho salda convinzione – parlarne fa parte integrante del gioco. E il parlarne – per la natura stessa del contendere – mette sullo stesso piano la carcassa del motorino e la più sosfisticata analisi tecnica: si gioca in campo ma la questione è sempre sugli spalti, questo colore o l’altro è indossato da chiunque abbia a che spartire con quella partita. E dunque penso, confortato da chi lo afferma perché lo ama, che il calcio non attirerebbe nessuno se non reclutasse il senso di appartenenza alla tribù, buttando in mezzo al campo tutto il sentimento delle tribù dagli spalti…
Questo è il bello del calcio per chi lo ama, ma a me pare un’altra occasione per legare l’individuo ad una identità di ceppo: un potente richiamo alla guerra di campanile (di nascita o di adozione) dove si vince sempre per il valore delle proprie armi e si perde sempre perché l’avversario è disonesto o ha culo, quando non è perché l’arbitro è cornuto.
Il calcio educa le masse alla partigianeria. Gioca una chiavica, ma è pur sempre la mia squadra: vorrei vincesse sempre. Come nel “right or wrong, but it’s my country”, il calcio dichiara traditrici le categorie del giudizio e le sostituisce con un modello unico di giudizio: se non tifi per la tua Nazionale, o sei un fottuto eccentrico, fai bene ad isolarti, o sei una carogna disfattista, un nemico in casa.

9 commenti:

  1. Ti ringrazio per la dritta, e' romantico immaginarmi come un nemico in casa.

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  2. http://it.wikipedia.org/wiki/Invictus_-_L'invincibile

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  3. Ma i due elementi dell'elenco
    "Collezionai sei giornate di squalifica in due anni"
    e
    "ruppi una tibia"
    sono conseguenti o la virgola dice che sono due elementi distinti della cronistoria?
    Cioè la tibia di chi era, tua e quindi hai smesso o sua e quindi t'han squalificato?

    Ma soprattutto (per scovare qualche legame con la repulsione dell'immagine del motorino), penserai mica che la storia sia completa...
    I lettori reclamano il lievissimo dettaglio riguardante la volontarietà (o non) del fatto.
    Sta tutto in quel dettaglio lì, eh.
    Senza, il post è pura cronaca.
    Con, diviene tutt'altra cosa.

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  4. "Collezionai sei giornate di squalifica in due anni, ruppi una tibia, segnai un goal di ginocchio, ma non riuscivo a uscire dalla logica del terzino destro che ha una questione personale aperta con l’ala sinistra. Insomma, una merda di terzino destro."

    Un bel terzinaccio di quelli che sarebbero piaciuti a Gianni Brera, invece.

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  5. Ma la smorfia che c'entra, probabilmente ce l'ho anch'io a sentirli parlare: in Italia fanno di tutto per far odiare il calcio anche a chi allo sport in sé è appassionato, figuriamoci cosa possono fare a chi già lo considera così e così. Ma se ti vai a vedere qualche canale straniero è tutta un'altra musica: parlano della partita, e persino dell'altra squadra, ma soprattutto parlano della partita che hanno visto tutti e non di quella che hanno visto solamente loro. E poi all'estero, in slanci di intimità con sé stessi, i giornalisti non si portano regolarmente i fogli con le "probabili formazioni" in bagno o in camerino nei giorni precedenti alla partita.

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  6. Concordo con paolo de gregorio. Le partite, soprattutto quelle dell'Italia, le sto guardando solo su tv straniere. Nel suo piccolo è istruttivo.

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  7. luigi, dovresti seguire il minirugby
    diavolo d'un misantropo, fa questo sforzo! :D

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