venerdì 30 luglio 2010

Consorterie

Che cosa manca nella blogosfera italiana?
«Niente, ciascuno ha quanto merita.
C’è solo una pesante cappa di provincialismo
e una irresistibile tentazione alla consorteria».



I termini non correnti o di raro uso vanno incontro a un rimaneggiamento più lento e nascosto del loro significato, ma altrettanto inesorabile che per i termini d’uso continuo. Dovremmo tremare nell’usare un termine non molto usato, perché corriamo il rischio di usarlo male. E qui, un po’ nauseato di bloggare, ma non di scrivere, e dunque per mettere riparo a ciò che nel privato avrei lasciato senza correzione, vorrei parlare di un mio errore: ho usato un termine – è stato qualche tempo fa, ma non molto – per significare tutt’altra cosa da quella che oggi mi è significata nell’autorevole parere del Quirinale, che mi sta al pari dell’Accademia della Crusca.
Parlo del termine “consorteria”: se Giorgio Napolitano ha definito “consorteria” quel nodo di interessi poco belli solitamente trafficati da un giro di sodali, clienti, famigli, nascosti e/o complici, spesso in nicchie di prepotere e di privilegio, io ho usato il termine “consorteria” a sproposito quando ho parlato di quelle aree della blogosfera che raccolgono sodali, clienti, famigli a fare traffico di carinerie che del prepotere e del privilegio hanno solo il millantato credito. A sproposito, perché qui gli interessi del giro sono sempre belli, addirittura nobili, e sono sempre abbastanza evidenti, talvolta pure troppo, e la complicità che li nutre non ha quasi mai nulla di quello “squallore” che il Presidente della Repubblica ha segnalato per la cosiddetta P3. Insomma, ho usato il termine “consorteria” in modo assai improprio, forse addirittura offensivo: correggermi è chiedere scusa e, visto che sto ripensando a tutto ciò che ho sbagliato a scrivere, comincio da questo.
Usavo il termine nell’accezione di “associazione di famiglie nobili, diretta al mantenimento di un certo prestigio e potere nell’ambiente delle società medievali, nel periodo della crisi del feudalesimo” (Devoto-Oli), con riferimento alla nostra età di mezzo che in ogni ambito relazionale e comunicativo non può che rivelare e rappresentare la crisi di vecchi modelli, con la nascita di nuovi, e non in quella spregiativa di “fazione che agisce più o meno nascostamente per il proprio interesse particolare, per lo più a detrimento del bene pubblico” (ibidem). Il bene pubblico, peraltro, è roba che la blogosfera non è tenuto a curare; per quanto attiene al proprio interesse particolare, invece, ciascuno può allegarlo a quello pubblico, fino a smentita.

3 commenti:

  1. Interessante palingenesi: apocatastatizzi il blogger intruppandolo giù per un'ecpirotica anabasi. Le infrequenze tradite direttamente da altre lingue si prestano in misura ancora maggiore ai tuo giochi etimologici, al cospetto dei quali mi son sempre domandanto quale fosse il loro contenuto in valore - e non, attenzione, in interesse personale, che è sempre massimo. I significati nel discorso pubblico (eminentemente, in quello politico) sono nascosti o a disposizione? Nel primo caso, quanto di segreto, recondito o inconscio è contenuto nel frainteso uso di un termine da parte di una persona o da parte dell'istituzione che la persona rappresenta, o che più frequentemente la contiene? E' così importante risalire agli originari atti di senso, per di più molto spesso solo inferiti, incerti, ipotetici?

    So che qui il discorso è laterale, ma come al solito mi interessa di più il discorso laterale. Per tornare alle consorterie: eo ipso, il diritto pubblico europeo è anche cosa nostra. Come Senofonte metterebbe in bocca a un cooperante italiano (partenopeo, va') di un'organizzazione non governativa: "Thàlassa! Thàlassa!". Ma era il mar Morto.

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