domenica 5 dicembre 2010

Fenomenologia di un’intervista



C’è sempre un peggio. Qualche giorno fa, per esempio, ho commentato quella che mi pareva la schifezza della schifezza della schifezza delle interviste, quella di Moritz von Uslar a Hans Magnus Enzensberger. Si poteva far peggio ed ecco l’intervista di Christian Rocca a Michel Houllebecq.
Nella prima metà – e non sto esagerando, parlo delle prime 5.059 battute su 9.322 – Rocca si limita a cazzeggiare. Comincia col presentare lo scrittore come agli abbonati a Reader’s Digest: “Houllebecq è provocatore, irriverente, polemico. Soprattutto è bravo. Scrive bene. Ha cose da dire”. Poi se lo struscia nelle parti intime: “È l’emblema dell’intellettuale non impegnato. Non è engagé, non fa parte dei giri giusti, non piace alla gente che piace”, che guarda caso è proprio quella che non piace a Rocca e alla quale Rocca non piace. Poi, dopo aver premesso che “le regole del giornalismo impongono di non indugiare sulle fatiche del cronista”, vi indugia per più di 2.000 battute: “l’appuntamento iniziale era per il giorno precedente”, Houllebecq gli ha dato buca e allora, per riempire la pagina, Rocca ci intrattiene sugli incontri che ha fatto il giorno prima nella hall dell’albergo. C’erano Cristina Sanna Passino del Tg1, Mariarosa Mancuso per Radio Svizzera, Elisabetta Sgarbi in quota Bompiani… Viene il presentimento che, partito per intervistare Houllebecq, Rocca stia dirottando al bar per intervistare la ciotola dei salatini. “Invece, alle 8.05 di domenica, Michel Houllebecq ha risposto al primo squillo e dopo qualche minuto si è materializzato nella hall”.

“Non si è scusato e forse non ha nemmeno salutato”. E non è tutto: “Risponde con un filo di voce. A monosillabi. Con pause interminabili”. Povero Rocca, i salatini l’avrebbero trattato meglio. Capita perfino che, tra una domanda e un’altra, il “gigante” si sfili di bocca una protesi (le gengive gli dolgono da cane, poveraccio) e l’appoggi sul tavolo. Per Rocca c’è solo la consolazione che lo faccia – dice – “con nonchalance”. Vabbe’, ma l’intervista? «Sì, mi piace Sarkozy». «Sì, vivo in Irlanda». «No, non sono pessimista». «No, non ho conosciuto Oriana Fallaci». Un intervistatore serio si suiciderebbe, ma qui c’è Christian Rocca e la cosa va avanti.
“Mentre Houellebecq risponde o non risponde, sempre con la stessa voce impercettibile da malato terminale, l’intervistatore comprende finalmente la grandezza dello scrittore”, anzi, si direbbe che ne venga addirittura contagiato perché parla di sé usando la terza persona. “Non sa se Houellebecq lo faccia apposta, magari no, ma i lunghi «uhm», le non risposte, la mollezza oratoria dimostrano in modo plastico che gli scrittori devono limitarsi a scrivere, i cantanti a cantare e i pittori a dipingere. I giornalisti, soprattutto, dovrebbero evitare di fare domande a un narratore, a un musicista, a un artista. Non dovrebbero chiedergli pareri geopolitici, filosofici o storici. Non dovrebbero chiedergli niente”. Ecco, bravo, e pensarci prima non sarebbe stato carino?

6 commenti:

  1. il pupillo di gianni!

    quella sui salatini, in un paese intelligente, varrebbe una rubrica fissa sul domenicale

    Matteo, 7-6

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  2. Ciò è molto triste, credo che un'intervista impossibile alla ciotola di salatini avrebbe dato maggiori soddisfazioni.

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  3. Un quarto d'ora di applausi, bravo! Un "gigante" come Christian Rocca avrebbe dovuto cestinare un simile pezzo.

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  4. effettivamente è da suicidio

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  5. RIASSUNTO:

    Giornalista vittima di una stravagante forma di sindrome di Stoccolma per un narratore misterioso ci racconta, in parole banali e perifrasi piene d'enfasi, che andare dal dentista prima di un'intervista può renderci così enigmatici e dannati da sembrare dei giganti dell'arte anche quando non lo si è*.



    Piccole Note a Margine:

    Non ci sono rapporti anali a ripetizione nel libro. Peccato. Michele non ha più nulla da dire, quindi.

    Le idee di Michele ci lasciano capire che tutto quello scabroso che ha scritto, tutto ciò di cui si è ammantato nel tempo è finzione. Lui è la forma francofona di Giovanardi. Al massimo.



    * scrivere in bello stile è diverso da scrivere grandi opere: uno può scrivere le peggiori cagate del mondo utilizzando i paroloni, i congiuntivi e la consecutio nel modo corretto.

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  6. In pratica:
    Lo scrittore non se l'è cagato nè prima nè durante l'intervista.
    Lo scrittore gli è sembrato mezzo deficiente e piuttosto poco educato.
    Non è riuscito a fare una domanda che suscitasse interesse o attenzione nell'intervistato.
    Ha capito di aver perso tempo.

    Però invece di ammetterlo ha cercato di mascherare il tutto con belle parole, con uno stile altisonante, con dimostrazioni di ammirazione assolutamente adulatoria all'intervistato.

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