sabato 10 settembre 2011

Appunti per una storia del berlusconismo come malattia sociale / 1



Dopo i fasti mietuti grazie a Erminio Macario, Carlo Dapporto, Gino Bramieri e Walter Chiari, la barzelletta divenne di colpo impresentabile sul grande palcoscenico, e allora scese in platea. Accadde intorno ai primi anni ’70, quando il tema che meglio si adattava ai suoi schemi – la differenza tra maschio e femmina, tra ricco e povero, tra bianco e nero, e per ogni altra antinomia fin lì accettata come “naturale” – divenne questione “politicamente” sensibile. Fu per questo che, scesa dal palcoscenico, la barzelletta andò a prosperare negli ambienti culturalmente più retrivi, funzionando quasi sempre da valvola di sfogo delle più incoercibili pulsioni reazionarie, pubblicamente biasimate.
Quando queste ebbero modo di potersi rappresentare come liberatoria risposta alla “dittatura” del “politicamente corretto”, la barzelletta risalì sul palcoscenico (La sai l’ultima? – Canale 5, 1992), ma ormai non era più la stessa. Aveva perso ogni leggerezza, era diventata grassa e aggressiva, ostentamente provocatoria, come se non mirasse più soltanto a far ridere, ma anche a mettere in discussione ciò che l’aveva emarginata. Non è un caso che sia riapparsa in tv, e una tv commerciale, quando si ritenne, e a ragione, che i telespettatori fossero pronti a riaccoglierla così com’era diventata.
 

11 commenti:

  1. sintesi insuperabile, da voce enciclopedica

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  2. Archeologia del nuovo potere. Le confesso di aver pensato a M. Foucault, leggendo questo appunto efficace.

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  3. E com'era diventata? Una merda? ma così non si diverte più nessuno!?
    Ma c'è un "sociale /2?
    Perché se c'è aspetto.
    Klaus /'88

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  4. "Se consulti i dati d'ascolto de "Il Grande fratello" avrai il umero degli stupidi, se guardi i balconi dove è esposta la bandiera della pace saprai anche dove abitano."

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  5. Dottor Castaldi, Le faccio umilmente notare (ma senza alcuna vis polemica) che anche Lei ha utilizzato l'espediente retorico della barzelletta in uno dei suoi recenti post (l'avvocato con in mano il coso del cliente anziano, accusato d'aver violentato una donna).
    Sarà per ragioni anagrafiche, sarà perché in fondo sono un simplicio, sarà perché vivo in provincia, sarà perché quando qualcosa è decisamente "out" adoro vedere le espressioni di sufficienza di chi si reputa - a torto o a ragione - "in"; tuttavia, se una barzelletta è ben raccontata e lo è nei tempi, nei modi e nei luoghi adeguati, non mi disturba; anzi.
    Ciò doverosamente premesso, "La sai l'ultima" era un programma che non solo faceva pietà ma che ha anche sottratto alla barzelletta qualsiasi speranza di ritrovare una propria dignità tra le pagine della perduta "κωμωιδία" di Aristotele, se mai ne avesse avuta una.

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  6. Pur non avendo io grande propensione per i pacifisti e i pacifismi, trovo comunque del tutto arbitraria l'associazione tra spettatori del Grande Fratello; i primi possono essere idealisti, i secondi sono sicuramente idioti.

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  7. @ lector
    Non vedo alcuna occasione polemica in ciò che scrive, caro Lector: (1) una barzelletta intelligente e ben raccontata non mi dispiace, in certi casi può essere edificante come un apologo, talvolta addirittura degna di riflessione come l'aforisma di un filosofo; (2) penso anch'io che "La sai l'ultima?" abbia liquidato il genere, e mi pare di averlo detto; (3) non sono uno snob, non metto steccati tra arte "bassa" e arte "alta", e mi dispiace se posso aver dato questa impressione.

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  8. Ho equivocato e ne chiedo scusa: reputavo che l'anatema fosse stato lanciato anche contro l'incolpevole genere "storiella", in quanto tale e non solo come involontario strumento del cattivo gusto.
    Su "La sai l'ultima" convenivo pienamente con Lei che un film porno del genere zoofilo risulta essere meno offensivo rispetto al comune senso del pudore.
    Tra i "barzellettieri" del passato ha omesso di citare Walter Chiari e Paolo Panelli che, a mio modestissimo avviso, una menzione se la meritano, soprattutto in tempi in cui si fan passare per "cult" i capezzoli della Fenech, il culo peloso di Alvaro Vitali e due attori come Franchi e Ingrassia, che il meglio di loro - se vi fu - l'han senz'altro dato quando interpretarono finalmente dei ruoli drammatici.
    A questo punto, Le cedo volentieri il tratto per quel che riguarda le storielline raccolte nei lustri dall'intramontabile "Settimana Enigmistica".

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  9. @ lector: Un breve inciso che volutamente non ambisce a contare poco più che nulla: Franchi e Ingrassia hanno dato il loro meglio nei panni del gatto e della volpe nello sceneggiato televisivo Pinocchio, regista Comencini, colonna sonora Fiorenzo Carpi.

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  10. @-->Gadilu
    Concordo pienamente, ora che me ne fa rammentare.
    La mia memoria, in effetti, andava a "La giara", terzo atto di Kàos di Paolo e Vittorio Taviani; al soliloquio sull'albero, in Amarcord di Fellini e alla magistrale interpretazione in "Todo modo" di Petri, per quel che riguarda Ingrassia.
    Come il grandissimo Antonio de Curtis, che lo fu troppo tardi, se fossero stati impiegati in ruoli più consoni e in film sceneggiati e diretti meglio, forse avrebbero potuto scrivere qualche pagina veramente importante della storia del cinema.

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