venerdì 16 settembre 2011

La “reale volontà” del legislatore


Chi in Italia è ostile al matrimonio tra persone dello stesso sesso si appella alla legge divina e/o a quella naturale e/o alla Costituzione. Il fatto è che la legge divina contempla il matrimonio come sacramento, sicché quello celebrato con rito civile sarebbe solo una blasfema parodia del matrimonio vero, che è quello celebrato con rito religioso: invocare la sola legge divina per negare a due persone dello stesso sesso il diritto di sposarsi porterebbe a doverlo negare anche a un maschio e a una femmina che si uniscano in matrimonio con rito civile.
Si tentò di farlo, almeno fino a metà degli anni Cinquanta, ma non ci si riuscì. E allora, ferma restando la norma che “tra i battezzati non può sussistere un valido contratto matrimoniale che non sia per ciò stesso sacramento” (Catechismo, 1055) e che “sono validi soltanto i matrimoni che si contraggono alla presenza dell’Ordinario del luogo o del parroco o del sacerdote oppure diacono delegato da uno di essi che sono assistenti” (ibidem, 1108), si preferì chiudere un occhio, smettendo di chiamare “pubblici peccatori” i coniugi che non si fossero sposati in chiesa.
Per il matrimonio celebrato con rito civile non si usò più la definizione di “concubinaggio” e, per continuare ad avere il controllo su un istituto che si andava sempre più secolarizzando, si cominciò ad invocare la legge naturale, come estensione di quella divina. Anche quando un ministro di Dio non era chiamato a fare da notaio per la stipula del contratto, e dunque il matrimonio non aveva carattere sacramentale, qualcosa di sacro gli era conferito dalla legge naturale, che si riteneva dovesse (e ancora si ritiene debba) ispirare il legislatore.
 Tutto era destinato a reggere fino a quando la “natura” avesse mantenuto il suo statuto di dimensione pre-storica e pre-culturale, ma anche questo non durò a lungo. Si fece strada l’idea che per “naturale” si dovesse intendere il modello che storia e cultura ne avevano elaborato nel corso delle epoche e, così, molto di quanto si era pensato fosse “secondo natura” divenne intollerabile. Era già accaduto con la schiavitù, considerata per millenni “secondo natura”, e poi, quasi all’improvviso, presa ad essere considerata “contro natura”. Molto ancora doveva seguire la stessa sorte, e molto ancora dovrà seguirla, quasi a voler dimostrare, anche a chi non voglia accettarlo e si ostini a opporre resistenza, che nulla è più storico e culturale del concetto di “natura”.

Se la legge naturale è stato un espediente in fin dei conti inefficace a conservare la sostanza della legge divina, tanto più disperato appare il tentativo di conservare la sostanza pre-storica e pre-culturale della “natura” appellandosi alla nostra Costituzione, come d’altra parte vediamo fare da molti conservatori, almeno quando sono presi dal pudore di appellarsi a Dio o alla Natura (rigorosamente con la maiuscola) per negare a due persone dello stesso sesso il diritto di sposarsi.
Si argomenta che l’ostacolo sarebbe posto dalla sacralità dell’art. 29, che recita: “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare”. In realtà non si capisce dove sarebbe posto l’ostacolo, ma i conservatori ritengono che non si faccia fatica a rintracciarlo nella “reale volontà del legislatore”. Visto che non fece espresso divieto di matrimonio tra due persone dello stesso sesso, quale “reale volontà” dobbiamo pensare fosse, la sua? Non tracciò discrimine sessuale tra i coniugi perché si lasciasse ammissibile il matrimonio omosessuale o, più verosimilmente, perché in quel tempo nel nostro paese non si poneva neanche lontanamente un caso politico e civile di tal genere? Qualche giovanarduzzo afferma che non ci siano dubbi: “La seconda ipotesi è certamente la più probabile e, se così è (ed è così), allora basta: il matrimonio omosessuale è anticostituzionale”. In pratica, giacché in quel tempo nel nostro paese non si poneva neanche lontanamente un caso politico e civile di tal genere, il non averlo posto farebbe prova che, a porlo, il parere sarebbe stato negativo.
Qui, in buona sostanza, siamo alla degenerazione ultima del principio di conservazione: Dio non basta più a negare il diritto di sposarsi a due persone dello stesso sesso; la Natura fa sempre più fatica; rimarrebbe la Costituzione, che però non nega quel diritto troppo esplicitamente; e allora cosa opporre? La “reale volontà” del legislatore, desunta con questa geniale deduzione: se i Padri costituenti non si sono trovati davanti al problema, il problema non aveva ragione di essere posto, ergo non si pone; chi lo pone, se lo pone, lo fa contro la Costituzione. Più geniale dell’idea di un Dio che manda all’inferno i ricchioni, perché ricchioni.
 

6 commenti:

  1. attenti che questi sarebbero capaci di modificare la costituzione e aggiungere un bel "tra un uomo e una donna" alla fine del primo periodo dell'articolo 29.
    a quel punto sì che bisognerà cambiare cittadinanza.

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  2. @marcoboh: In molti paesi del mondo l'hanno fatto. In Italia no per due ragioni: la prima è che sanno tutti benissimo che il matrimonio gay non verrà mai legalizzato, perlomeno non nei prossimi cento anni. La seconda è che così si può continuare ad agitare lo spauracchio del matrimonio gay per i prossimi cento anni.

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  3. Questa storia ricorda quella del lupo e dell'agnello, dove il più forte si fa la ragione che serve a lui, la costituzionalità che serve a lui, in questo caso. Come in quello del crocifisso, dove una sentenza ideologica e dogmatica ha fatto strage di diritto per evidenti ragioni di diplomazia internazionale.

    Sarebbe più utile capire quali furono i meccanismi che portarono in alcuni casi (voto alle donne, divorzio e aborto) a vincere sulle forze della reazione che hanno il loro quartier generale oltretevere.

    Capire come li abbiamo battuti per farlo di nuovo.

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  4. La soluzione al dilemma è semplice: qualunque tesi sostenuta da Giovanardi è intrinsecamente sbagliata in quanto sostenuta da Giovanardi. La dimostrazione consiste nel fatto che essendo sostenuta da Giovanardi non può essere giusta, e quindi è sbagliata. Facile, no?

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  5. Certo, perchè Giovanardi è un omofobo che di Costituzione non capisce nulla. Non ci sarebbe bisogno di modifiche alla Costituzione per introfdurre il matrimsniuo gay.

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  6. Sono le associazioni gay italiane che devono cambiare; spesso sono efficienti e ben organizzate ma sono abbastanza autoreferenziali . Un mio amico ,studente di scienze politiche, ha organizzato due importanti incontri sui diritti lgbt (uno in Spagna persino) ma non conosceva la rivista Micromega. Pensava che fosse legata all'ala cattolica del Pd.Quelli che sono gli opinion maker della società italiana sono insomma poco conosciuti e compresi.Poi c'è una certa timidezza poco comprensibile:Napolitano nomina alla Consulta Marta Cartabia,che esprime i concetti di Giovanardi e Calderoli in forma altrettanto incoerente e le associazioni rimangono silenti . Riguardo al rapporto tra chiesa cattolica e schiavitù il 20 giugno 1866, il Sant'Uffizio dichiarava : "La schiavitù in quanto tale,considerata nella sua natura fondamentale, non è del tutto contraria alla legge naturale e divina ; Possono esserci molti giusti diritti alla schiavitù e sia i teologi che i commentatori dei canoni sacri vi hanno fatto riferimento ......Non è contrario alla legge naturale e divina che uno schiavo possa essere venduto, acquistato , scambiato o regalato .” Conoscevi il pezzo? penso che sia ingiustamente poco conosciuto

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