sabato 29 ottobre 2011

LBS

Leggo dallo Statuto della Bce che i membri del Comitato esecutivo “sono nominati tra persone di riconosciuta levatura ed esperienza professionale nel settore monetario o bancario, di comune accordo dai governi degli Stati membri, a livello di capi di Stato o di governo, su raccomandazione del Consiglio previa consultazione del Parlamento europeo e del Consiglio direttivo”. Così è stato per Lorenzo Bini Smaghi e, a scorrerne il curriculum, direi che le condizioni ci fossero.
Leggo, inoltre, che un membro del Comitato esecutivo non risponde ad alcuna autorità nazionale, ma solo al Consiglio direttivo della Bce, e che può essere rimosso dalla sua carica solo dalla Corte di giustizia dell’Ue e solo nel caso in cui “abbia commesso una colpa grave” o “non risponda più alle condizioni necessarie all’esercizio delle sue funzioni”. Non è il caso di Lorenzo Bini Smaghi, e infatti anche chi gli chiede di dimettersi non ne mette in discussione i meriti, né l’operato.
Stando a quanto leggo, insomma, Lorenzo Bini Smaghi ha il pieno diritto di non rimettere il suo mandato, che scade nel 2013. Potrebbe farlo, volendo, ma ha il diritto di non farlo. Non glielo chiede il Consiglio direttivo della Bce, ma le autorità nazionali di Italia e Francia, che peraltro non ne fanno istanza alla Corte di giustizia, ma richiesta privata, per ragioni di opportunità non contemplate dallo Statuto della Bce. Un membro del suo Comitato esecutivo non è più considerato italiano o francese, e Italia e Francia chiedono a Lorenzo Bini Smaghi di dimettersi perché è un italiano di troppo che deve lasciar posto a un francese: mera logica spartitoria per appartenenza nazionale in seno a un organismo che per definizione dovrebbe essere sovranazionale.
Se queste sono le premesse, siamo di fronte a una richiesta illegittima. Cosa impedisce, dunque, a Lorenzo Bini Smaghi di porre condizioni alla eventuale rinuncia di un suo diritto? E allora come si può pretendere che egli si dimetta, senza contrattare una contropartita, e in nome di una superiore ragion di Stato? Resista, metta un prezzo altissimo alle sue dimissioni e soprattutto non ceda al ricatto morale che lo addita a pietra dello scandalo. Lo scandalo sta nell’aver fatto mercato delle vacche in sede europea. Lorenzo Bini Smaghi ha pieno diritto di rifiutarsi di essere trattato come merce. Oppure di darsi il prezzo che ritiene giusto.    

5 commenti:

  1. C'è solo una piccola difficoltà: è tradizione consolidata, presso certi ambienti, pagare i propri debiti con la roba altrui.

    Se si trattasse di ottenere incarichi in aziende private di proprietà di chi compra le dimissioni, non avrei nulla da obiettare: l'incaricato si dimostrerà capace o incapace, l'acquisto sarà stato più o meno fruttuoso.

    La moneta di scambio prefigurata, nel caso in questione, è invece roba mia (e d'altri, ovviamente).

    I lunghi e continuati espropri di ciò ch'è mio mi hanno tolto ogni eventuale ingenuità residua, per cui non mi stupisce che la richiesta possa essere presa in considerazione ma, per favore, non mi dica che questo tizio ha ragione a volermi fottere, giusto perché m'hanno già fottuto in tanti.

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  2. Potrebbe dimettersi in cambio di una piena chiarezza da parte della Francia sulla strage di Ustica, della quale - come diceva Cossiga - i francesi furono responsabili

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  3. una sommessa osservazione: ma non sarà che quando è entrato nel board della bce è stato nominato, al netto dei titoli, in quanto italiano? e se così fosse, perché non si è lamentato allora? e lei, castaldi? dov'era?

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  4. @ orsopio
    Può darsi le sia sfuggito che "i membri del Comitato esecutivo “sono nominati tra persone di riconosciuta levatura ed esperienza professionale nel settore monetario o bancario, di comune accordo dai governi degli Stati membri, a livello di capi di Stato o di governo, su raccomandazione del Consiglio previa consultazione del Parlamento europeo e del Consiglio direttivo”". Di cosa avrei dovuto lamentarmi? La nomina di Bini Smaghi rispettava le norme statutarie. A violarle sono le pressioni che gli vengono fatte perché si dimetta.

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