lunedì 19 dicembre 2011

Chinarsi dinanzi alla sentenza

Anche quando si tratta del massimo previsto dalla legge, la pena comminata per un omicidio – non ha importanza se doloso, colposo o preterintenzionale – è considerata quasi sempre troppo mite dai parenti delle vittime, e questo è naturale, tutt’al più può porsi la questione del perché la legge non riesca mai ad adeguare le sanzioni alle aspettative di chi chiede giustizia per la perdita di un padre, di un figlio, di un fratello. Sono esagerate queste aspettative o è il legislatore che non riesce mai a mettersi nei panni di chi ha subìto la perdita?
Forse la questione è posta male, lo dimostra il fatto che la pena – la stessa pena – è invece considerata quasi sempre troppo severa dai parenti di chi è condannato per quello stesso omicidio. Probabilmente al legislatore tocca rimanere nei propri panni, e in quelli decidere; al giudice, caso per caso, tocca stabilire quale sia la pena giusta tra il minimo e il massimo stabiliti dalla legge; ai parenti della vittima e a quelli dell’omicida tocca chinarsi dinanzi alla sentenza. Facile a dirsi, più difficile a ottenersi. Lo dimostra il caso che di recente ha visto per protagonista Giovanni Scattone, riconosciuto colpevole dell’omicidio di Marta Russo con una sentenza definitiva.
Non ha troppa importanza ricostruire nel dettaglio la vicenda e le tappe giudiziarie che hanno portato Scattone a scontare una pena di sei anni di detenzione per omicidio colposo (il massimo della pena per tale reato è di sette), basti dire che nessun pm si è mai azzardato a formulare un’ipotesi accusatoria più grave. Potremmo eventualmente aggiungere che, a detta di molti osservatori non a digiuno di materia penale, a carico dell’imputato fossero più gli indizi che le prove, e che Scattone si è sempre dichiarato innocente del reato chi cui era accusato e per il quale è stato poi condannato, ma si tratta di considerazioni tutto sommato irrilevanti: abbiamo il dovere di tener conto unicamente della verità processuale e di ritenerla coincidente con quella storica, prendere atto che Scattone è stato riconosciuto colpevole, ma anche di tener conto che ha scontato la pena ed è tornato un libero cittadino, nella pienezza dei suoi diritti.
Parimenti irrilevanti, dunque, dobbiamo ritenere le lamentele, anche abbastanza vivaci, che sono state prontamente raccolte e rilanciate dai media in seguito a un incarico di supplenza concesso a Scattone, oggi insegnante di scuola media superiore, presso il liceo frequentato a suo tempo da Marta Russo. Basti solo riportare le ragioni che le hanno sollevate, così come motivate dal rappresentante di un movimento giovanile di estrema destra che si è distinto tra i più attivi sostenitori della protesta: “Secondo noi lui ha diritto di lavorare perché comunque ha scontato la pena e ha pagato il suo debito con la giustizia, quello che troviamo aberrante è che venga proposto come modello di educatore una persona che ha sparato nel mucchio di alcuni studenti universitari per provare una pistola”. Posizione in tutto coincidente a quella di Tiziana Russo, sorella della vittima: “Ognuno ha diritto di ricostruirsi una vita, ma ritengo che un uomo che ha afferrato una pistola, ci ha giocato, l’ha puntata sul vialetto di un’università piena di gente e ha poi ucciso una studentessa non può insegnare a dei ragazzi. Può fare altri lavori, non il professore di un liceo”.
Se è irrilevante che Scattone si sia sempre dichiarato innocente e che l’accusa non abbia mai prodotto elementi di prova certa, sono irrilevanti anche queste proteste: se ci tocca accettare la sentenza e la verità che in essa è contenuta, ci tocca anche il rispetto del dispositivo che restituisce al condannato i suoi pieni diritti dopo che ha scontato la pena. Ovviamente non possiamo pretendere che Tiziana Russo taccia, ma, ad evitare che la sua protesta corra il rischio di essere fraintesa come un’odiosa pretesa di pena suppletiva, sarebbe più proficuo che ella si spendesse perché ciò che chiede diventi legge dello Stato in ogni caso analogo al suo. Non ci risulta che l’abbia mai fatto prima che a Scattone fosse dato l’incarico presso il liceo frequentato dalla sorella, epppure questi ha insegnato in almeno altri dieci istituti romani dopo essere uscito dal carcere.

4 commenti:

  1. Che post bellissimo, sottoscrivo parola per parola

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  2. L'errore è del giudice, laonde avrebbe dovuto inserire in sentenza l'interdizione a un ufficio quale educatore.

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  3. Mi hai rubato le parole di bocca, non faccio che ripetere la stessa cosa anch'io da quando ho sentito la notizia. Di Scattone, non avremmo mai più sentito parlare se non fosse capitato in quella scuola. Potenza dell'indignazione che ormai di questi ultimi tempi fa gran tendenza, e soprattutto, non impegna.

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