giovedì 12 luglio 2012

La voce del padrone



Nell’estate del 1976 scoppiarono violente rivolte in molte carceri italiane per le drammatiche condizioni di invivibilità cui versavano i detenuti. La risposta dei radicali fu immediata: sciopero della fame ad oltranza. Chiedevano un’amnistia, penserete. No, chiedevano un aumento dell’organico degli agenti di custodia. Lo sciopero della fame durò 73 giorni e s’interruppe solo alla promessa del Presidente del Consiglio, che a quei tempi era Giulio Andreotti, di interessarsi della questione nel giro di pochi mesi.
Non accadde e il problema rimase senza soluzione, per riaggravarsi ancora di lì a poco, sicché nel 1978 si decise un’amnistia in favore di alcuni reati: soluzione emergenziale, in linea con la filosofia del far tutto male, in fretta e solo quando costretti. 
Ai radicali sembrò una soluzione insufficiente: «Questo disegno di legge è un atto borbonico di clemenza. Non un provvedimento di ordine pubblico per l’efficienza della giustizia. Non libera i giudici della valanga di processi minori, per consentire loro di celebrare subito, senz’alibi, quelle migliaia di processi gravi e importanti. Serve a liberare, ma neppure subito solo le Preture» (Notizie Radicali, 28.7.1978).
Quando poi, nel 1981, si votò in Parlamento una legge delega per l’amnistia e l’indulto (favorevoli DC, Psi, Psdi e Pri, astenuti Pci, Msi e Indipendenti di Sinistra), i radicali votarono contro (insieme al Pli). Il deputato radicale Gianfranco Spadaccia ne spiegò le ragioni a Radio Radicale in questo modo: «Abbiamo votato contro per due motivi. Primo, perché quest’amnistia nasce da uno stato di necessità e noi non ci sentiamo corresponsabili di questo stato di necessità che si è determinato, perché siamo stati gli unici ad indicare una linea di politica alternativa nel campo della giustizia e del diritto. In secondo luogo, riteniamo l’amnistia insufficiente anche a risolvere questo stato di necessità. In fondo, questa volta l’amnistia è stata presentata senza ipocrisie: si è detto che le carceri erano troppo affollate e l’arretrato giudiziario si è enormemente accumulato, per cui era necessario sfollare le carceri ed eliminare un notevole numero di procedimenti giudiziari. Noi consideriamo restrittiva questa impostazione, perché nel 1978 noi abbiamo avuto un’altra amnistia e abbiamo avuto liberati 6-7.000 detenuti ed abbiamo avuto un decongestionamento che non è durato più di un anno: un anno dopo l’affollamento era tornato ai livelli precedenti alla concessione dell’amnistia. Ma il vero motivo per cui siamo contrari è perché l’amnistia non corregge le cause che determinano l’affollamento delle carceri… Noi chiediamo la depenalizzazione di alcuni reati, l’abolizione della carcerazione in attesa di giudizio, la riforma degli agenti di custodia, l’attuazione piena della riforma carceraria, la riforma del codice di procedura penale, investimenti per il potenziamento delle strutture carcerarie e via di seguito…» (Radio Radicale, 14.11.1981).
Analoga posizione in occasione dell’amnistia per reati punibili fino a un massimo di 4 anni che ci fu nel 1990. In Commissione Giustizia era passato un emendamento che estendeva il provvedimento di clemenza in favore dei reati connessi alla detenzione e all’uso delle cosiddette droghe leggere. Il radicale Mauro Mellini, che pure aveva votato a favore, spiegava che «non è l’inclusione o l’esclusione di alcuni reati a risolvere la questione» (Radio Radicale, 10.1.1990): senza la depenalizzazione di quei reati, il problema era destinato a riproporsi…

Sfogliando queste pagine di storia radicale, ritrovo le mie posizioni, peraltro espresse in più occasioni su queste pagine, e fin dal giugno dello scorso anno: «Senza una riforma della giustizia che elimini la vergogna della detenzione preventiva e stabilisca pene alternative alla carcerazione per i reati meno gravi – ho scritto – e senza la depenalizzazione dei reati connessi all’uso di sostanze stupefacenti, senza politiche che invertano la rotta sui problemi posti dall’immigrazione, un’amnistia servirebbe solo a rimandare la soluzione del problema, che probabilmente si riproporrebbe in dimensioni analoghe, e in breve tempo».
Continuo a pensarla così e penso che col concentrare tutte le energie sulla richiesta di amnistia, fino ad allucinarla come «soluzione strutturale» dei problemi della giustizia in Italia, Marco Pannella e i suoi seguaci stiano dando ulteriore prova, se ce n’era bisogno, che la logica radicale ha subìto una mutazione che la snatura in sterile cocciutaggine, consegnando i loro sbattimenti all’irrilevanza.
Non è accaduto d’improvviso, ma per avvitamento, nella convinzione che all’amnistia si possa arrivare solo mascherando la sua valenza emergenziale in questione di principio, centrale, a dispetto di quel sano pragmatismo che è il pilastro del metodo riformatore liberale.
L’amnistia non sarebbe affatto la soluzione definitiva dell’annoso problema carcerario italiano, ma ormai i radicali si sono giocati ogni possibilità di proporla come provvedimento d’urgenza e gli ultimi passaggi della loro azione politica segnano un’involuzione che non potrà avere altra lisi che nell’abbandono di questa iniziativa per un’altra ancora più disperata, in quell’ossessivo gioco al rilancio che è la sola arma di chi non ha niente da perdere perché ha già perso tutto. E il tragicomico arriva a quattro giorni di digiuno e di silenzio.
Ovviamente non può limitarsi a stare zitto solo lui, ci mancherebbe altro: dovrà tacere anche Radio Radicale, che quando si tratta di incassare denaro pubblico è «la radio del Parlamento e di tutti i partiti, dei congressi e dei dibattiti, il microfono nei tribunali e nelle vostre case», ma di fatto è il suo megafono personale: se lui tace, deve restare spento. Oh, naturalmente non si tratta di un diktat, la sospensione delle trasmissioni sarà proposta al direttore dell’emittente, il dottor Paolo Martini, al quale sarà dato modo di decidere in piena autonomia, ma sarà il caso che autonomamente decida di chiudere i microfoni, sennò – è notorio – lo aspettano cazzi amari. «Lunica radio senza filtri, senza mediazioni, senza veline», recita lo spot, ma mica è detto che non abbia un padrone:  «in una voce la sua  tutte le voci».
   

2 commenti:

  1. Gentile Malvino, le assicuro che ciò che lei solleva è un falso problema.
    I microfoni di Radio Radicale parlano al vento per il 99,99% della popolazione.
    Quindi che differenza fa se li spengono o li lasciano accesi?
    Prenda me per esempio: non ascolto più tale radio da 13 mesi e sto benissimo, mai stato meglio in vita mia!
    L'avessi spenta prima mi sarei evitato un serie infinita di delusioni e mal di pancia.
    Cordiali saluti
    Zio Peppe

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  2. "L'avessi spenta prima mi sarei evitato un serie infinita di delusioni e mal di pancia"

    Sapessi come la capsisco !

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