giovedì 1 novembre 2012

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«Chi non va a votare ha le sue rispettabili ragioni, e il diritto di non farlo. Ma perde il diritto di lamentarsi per quanto accadrà, e acquisisce il dovere di tacere e subire, perché ha taciuto e subito nel giorno delle elezioni» (la Repubblica, 30.10.2012). La pensavo anch’io così, ma ho cambiato idea. Oggi penso che la logica che informa il fervorino di Michele Serra – la logica che per decenni mi ha portato a votare il meno peggio piuttosto che astenermi – non sia affatto ferrea come mi è sembrata fino a ieri. Meglio: può darsi fosse ferrea fino a ieri – «fino a ieri», quando? – senza dubbio ha smesso d’esserlo.
Il suo punto debole sta nell’assunto democratico che col voto, anche se nella infinitesima misura di un voto su milioni di voti, si eserciti un potere. Con la decisione di astenermi alle prossime elezioni non ho alcuna intenzione di metterlo in discussione, non ho smesso di credere nella democrazia, dico solo che in Italia ne è rimasto solo il guscio vuoto – le elezioni, appunto – ma di fatto col voto non si esercita alcun potere, neppure nell’infinitesima misura che un voto dovrebbe avere su milioni di voti. Il sistema dei partiti ha sospeso il principio democratico e si perpetua nella sua sospensione, che il voto rinnova, dandole legittimità. E nessun partito – nessuna coalizione di partiti, nessun fronte transpartitico – può volere sia diverso da com’è, pena il suo dissolversi. Ecco perché l’astensione preoccupa seriamente il sistema partitico: sebbene possa «ugualmente sommare i voti che gli restano dentro il cerchio magico del cento per cento», l’astensione erode la sua sola rendita di legittimità.
Sembrerà un paradosso, ma il voto si è ridotto all’avallo di questa finzione: la democrazia è rappresentata – è data mera rappresentazione della democrazia – da quanti vogliono convincersi e convincere che la democrazia stia nell’andare a votare di tanto in tanto. Tra chi vota e chi si astiene c’è ormai una sola piccola differenza: i primi sono convinti che la finzione mantenga in vita il principio, i secondi si rifiutano di crederlo. Per quanto mi riguarda, mi è diventato intollerabile prestarmi alla finzione. Se le regole del gioco sono queste, preferisco non giocare. Con ciò, come scrive Serra, perdo il diritto di lamentarmi per quanto accadrà? Non credo, né credo che astenersi dal voto sia un tacere e un subire che mi impegni a tacere e subire dopo, tutt’altro: se «si può far politica anche senza essere eletto», si può farla anche senza essere elettore.
Se «sono tutti uguali» è il giudizio che porta all’astensione chi guarda la politica italiana con occhio assai superficiale, anche aguzzando la vista e arrivando alla più interna conoscenza delle parti e del tutto, il giudizio non può essere diverso: al netto di ogni implicazione d’ordine morale, che può dare carattere fuorviante a questa formula liquidatoria – perfino ingiusta nel mettere dei poveracci ubriachi di buone intenzioni d’accanto a veri e propri delinquenti – «sono tutti uguali», tutti hanno gravi deficit di democrazia interna che ha tempo tolto ai partiti, se mai  l’hanno svolta appieno, la funzione assegnata loro dalla Costituzione. Sarà che «le ideologie sono morte» e le maschere sono cadute, sarà che il sistema maggioritario ha accentuato la natura proprietaria dei partiti rendendoli mere proiezioni dei loro proprietari, sarà che l’accelerazione dei processi di acquisizione e perdita del consenso hanno costretto i soggetti politici ad un pleomorfismo che toglie loro identità culturale per omologarli, ma il meno peggio è introvabile. Almeno per quanto mi riguarda.      


11 commenti:

  1. Me lo stampo e lo faccio leggere ai miei amici, perché domenica ho avuto difficoltà a spiegare loro perché non volevo andare la seggio a farmi passare per coglione. Con tanto di certificazione e timbro, tra l'altro.

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  2. Va aggiunto, comunque, che i sistemi elettorali attualmente in vigore in Italia hanno poco in comune col maggioritario di marca anglosassone; sono dei pastrocchi incredibili che alimentano la confusione degli elettori e distribuiscono in modo iniquo il potere decisionale.

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  3. Volpi Non credo che una astensione anche più massiva possa cambiare qualcosa. Se si cambierà il voto sarà solo una ratifica formale del cambiamento.

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  4. In attesa di un novello Robespierre, diamoci all'astensione di massa.

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  5. E la soluzione qual è, quindi? A me pare invece che un paese finisca ad assuefarsi alle percentuali di votanti. Se votassero il 40% degli italiani alle prossime politiche sarebbe una notiziona e un certo tipo di messaggio. Se il fatto si ripetesse altre due volte, manco un trafiletto, e la gente smetterebbe perfino di pensarci. Vedi USA.

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  6. La astensione potrebbe essere fattiva se vigesse una legge elettorale da "terzo mondo" come quella colombiana.
    Da queste parti il 51% di astensione conta moltissimo e significa rifiuto di tutti i candidati; quindi si torna alle urne con tutti candidati nuovi.

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  7. "Si torna alle urne con tutti candidati nuovi".
    Ovviamente la seconda volta i cattivi, brutti e disonesti svaniscono come per magia e si candidano soltanto persone buone, belle e timorate di Dio...

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  8. No, non svaniscono ma come "segnale" é ben piú valido che una astensione sterile come la italiana.
    Tra peggio e meno/peggio ancora preferisco il secondo.

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  9. Ci vuole il voto plurimo. Riforma sostanziale e radicale. Pesiamo i voti e valorizziamo il consenso informato.

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  10. io proponevo il voto assolutamente non segreto ma responsabile.
    hai votato tizio ed è scappato con la cassa? paghi tu.
    paolo

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  11. Non è un paradosso quello che noti solo adesso. E' sempre stato così, se non in casi eccezionali.

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