venerdì 22 febbraio 2013

Quel grumo di convenienza reciproca

La prima descrizione clinica di un caso di impostura è di Karl Abraham (1925). Scrisse che il millantatore «non si era sentito amato da bambino e sentiva in sé un profondo desiderio di dimostrarsi degno dell’amore di tutti», sapendo bene tuttavia che prima o poi le sue bugie si sarebbero rivelate tali agli occhi del mondo e che ciò avrebbe dato «prova a lui e agli altri di non meritare questo amore» (Opere – Bollati Boringhieri, 1978 – pag. 164). Potremmo dire che la truffa più crudele dell’impostura sia giocata dall’impostore stesso a proprio danno, in cambio di un utile che spesso non è mai goduto appieno e in vista di una punizione che egli sente necessaria perché si ritiene indegno dell’affetto e della stima che pure cerca di lucrare facendo carte false.
Se l’ipotesi di Abraham vi sembra zoppicante proprio su quell’utile che non è mai goduto appieno, il caso di Oscar Giannino ne raddrizza l’andatura: tutto ciò che ha millantato (due lauree, un master e una partecipazione allo Zecchino d’Oro) non gli tornava affatto indispensabile a sostenere la sua reputazione, anzi, avesse dichiarato fin da subito che era un autodidatta, probabilmente l’avrebbe vista accresciuta.
Tutto sommato, ciò che sappiamo è troppo poco per trattare la vicenda come un caso clinico, e tuttavia qualche dato anamnestico ci è fornito dallo stesso paziente: è figlio di genitori tutt’altro che abbienti, aveva una gran premura di rendersi economicamente indipendente, subiva enormemente il fascino del salotto che desiderava gli schiudesse le porte, e tuttavia non se ne riteneva degno. Mentire non gli è servito a entrarvi, ma a farlo coi requisiti che egli a torto riteneva indispensabili. Solo in apparenza v’è contraddizione con la sua battaglia per l’abolizione del valore legale del titolo di studio, perché il meccanismo che porta l’impostore a infliggersi una punizione per il suo inguaribile deficit di autostima è tutto inconscio, mentre cercare di rimuovere il pregiudizio che vede il merito maturare in virtù di un iter burocratico è faccenda tutta razionale.

Sulla vicenda che ha visto per protagonista Oscar Giannino si è detto e scritto tanto, più spesso per cader nell’ovvio e dunque per dar libero sfogo al biasimo e allo scherno, sennò per dargli un soldo di pietà. Poco o niente si è detto di Luigi Zingales, e ritengo sia dovuto a un’autocensura: se si doveva biasimare Giannino, si doveva necessariamente esser grati a chi ne aveva smascherato l’impostura, ma al posto di Zingales quanti avrebbero fatto altrettanto, inguaiando un amico e mettendo a repentaglio gli esiti di una comune intrapresa? Ha vinto il riserbo e sulla sua onestà intellettuale, che era la più puntuale negativa della disonestà intellettuale di Giannino, ha prevalso una sospensione di giudizio: avremmo preferito che a smascherare il millantatore fosse stato un suo avversario o uno che caccia bufale per professione.
L’impostore eventuale che è in ognuno di noi – e parlo della porzione più vulnerabile del nostro Io, quella che nessuna autostima riesce mai a soddisfare – ha dimostrato di non tollerare che la punizione possa esserci inferta dal mondo per il venir meno della complicità che di solito ci aspettiamo da un amico e ancor più, forse, da un sodale. Chi si fosse permesso di dire che riteneva Zingales una carogna avrebbe giocoforza dato voce al Giannino che ha pudicamente celato in seno. Meglio sorvolare.

Sono disposto a scusare la debolezza di Giannino, ma penso occorra dir chiaro che Zingales è stato esemplare nel mostrare una virtù tanto rara da sembrare un crimine: ha sacrificato sull’altare della correttezza quel grumo di convenienza reciproca che per pigrizia – solo per pigrizia – chiamiamo amicizia. Perché sarà pur vero che Plato amicus, sed magis amica veritas. E io nutro la certezza che, passato il peggio, Giannino troverà modo di esser grato a Zingales. 

11 commenti:

  1. io credo che qui vi sia una sopravvalutazione di Zingales e della sua
    condotta. costui è solo un economista che vive in un contesto sociale
    che fornisce incentivi volti a preservare quel tanto di correttezza nei
    comportamenti necessaria alla ottimizzazione, per cosí dire, del
    benessere collettivo.

    egli sapeva che, tacendo pur sapendo, avrebbe corso il rischio, elevato
    a quel che si capisce, di pagar caro, con la moneta sonante della sua
    reputazione accademica, la propria connivenza.

    a riprova della differenza tra italia e stati uniti è la condiscendenza
    con la quale si descrive il millantatore pubblicamente confesso. qui,
    come spesso accade, tirando in ballo quella pseudoscienza che è la
    psicologia per suggerire che egli fosse sovrastato da una necessità alla
    quale non potesse che soccombere.

    quanto poi agli individui, prescindendo quindi da quegli incentivi di
    cui si diceva, beh, non mi sento di dire alcunché.

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  2. mi pare che tutto l'affaire presenti una quantitá di paradossi logici che cresce quanto piú ci rifletto o leggo sul tema, ad esempio, andrea qui sopra me ne evidenzia un altro che non ero ancora riuscito a mettere a fuoco sulle motivazioni e il ruolo di zingales, che intuitivamente ritenevo avessero una forma di correttezza, tanto che pensavo, e penso, anche io che giannino e FID dovrebbero essergliene grati.
    se anche ha ragione andrea nel sostenere che zingales non é stato mosso da una "etica assoluta" (e chi ce la avrá mai, tra l'altro), ma dalle motivazioni che descrive (e che andrea mi sembra non apprezzare, quasi fossero opportunistiche e perfino un po' meschine), é anche vero che giannino e il suo movimento sono propugnatori di quelle stesse motivazioni come fondamento della correttezza, ovvero sposano in pieno lo stesso punto di vista e le motivazioni di zingales, ne fanno uno dei fondamenti, per cui dal loro punto di vista, incluso da quello di giannino, zingales non ha fatto altro che quello che si sarebbero aspettati e che ritengono si debba fare.
    e qui si genera un altro paradosso, perché tutto sommato, se non ci piace quel punto di vista e si pensa che zingales avrebbe dovuto fare altro, gli si rinfaccia di non essersi comportato come quelli che critichiamo per la loro mancanza di onestá, principi, coerenza, o di non essere stato opportunista. (ovviamente, se invece siamo dalla parte di questi ultimi, dovremmo essere solidali con giannino, difenderlo a spada tratta e votare per lui, e anche questo é, in fondo, paradossale)

    chissá, forse un giorno verranno sommariamente raggruppati sotto il nome di paradossi di giannino

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  3. O forse Giannino e Zingales erano e sono in combutta per tentare un raffinatissimo esperimento di psicologia sociale. Chissà. Buone elezioni!

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  4. Nessun esperimento di psicologia sociale, uno è stato un coglione e l'altro lo ha sputtanato, tutto il resto scritto è inutile tranne " anamnestico " un altro vocabolo di cui cercherò il significato ma che sicuramente non avrò mai occasione di usare, a questo punto mi pare anche inutile cercarne il sigificato.

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  5. Io però vorrei far riflettere su un punto di vista "obliquo": perhè in Italia diamo retta al primo che arriva e che si presenta come "professionista" del libero mercato? Chi gli ha dato retta per primo, perché nessuno ne ha messo a nudo le contraddizioni? Spero però che questo valga come precedente e che la prossima volta non possa accadere questa grande presa in giro generale.

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  6. Secondo me l'unica cosa veramente paradossale è che a detta di chiunque l'autodidatta Giannino è veramente esperto d'economia, eppure adesso molta gente ha deciso di proclamare che il re è nudo quando in primis non v'erano stati alcun re e nessun vestito scintillante di cui tesser le lodi.

    Questo mi sembra proprio il volto oscuro della meritocrazia, quello per cui il titolo è l'unica cosa che conta per valutare le capacità di un individuo. È la Meritocrazia contro cui si scagliava Michael Young, quella per cui se sei una capra ma ricco di famiglia allora potrai permetterti l'educazione che ti darà i titoli necessari (e sufficienti!) ad aprirti le porte ad un lavoro redditizio, e così l'elite potrà riprodursi e mantere la distanza dalle classi meno abbienti.

    È vero, per un Italiano del 2013 un discorso del genere è comprensibile quanto quello di un prete gesuita che blatera della Divina Provvidenza all'imperatore della Cina. Del resto le nostre università sono tutto sommato ancora a buon mercato rispetto agli Stati Uniti e alla Gran Bretagna. Ma non vorrei che alla fine, a forza di ripetere il mantra del merito, non si finisca per ripercorrere il loro stesso cammino.

    I miei rispetti,

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  7. Stupendo il tuo pezzo.
    Complimenti!
    AP
    Unico refuso, l'articolo di Abrahm è del 1923.

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  8. Io non so quanto mai Giannino possa essere grato a Zingales, e non perché non apprezzi il gesto di quest’ultimo, quanto perché chi si ammanta di panni non suoi è in genere lontano dall’esser grato a chi lo denuda di colpo.
    Siamo abituati ancora oggi all’idea del “pallido delinquente” del “delinquente per senso di colpa”, e all’idea che cinematograficamente rende ancora molto bene del serial killer il cui inconscio senso di colpa lo smaschera attraverso una competizione col bravo detective che, grazie all’errore clamoroso, giunge a risolvere un caso altrimenti insolubile.
    Io ho a che fare con persone per cui ciò che da Freud in poi è stato chiamato Super-Io sembra non esistere, se non nella versione lacaniana del “Godi!” o della vulgata secondo cui il Super-Io sarebbe solubile in alcool o in altre sostanze anche meno spirituali dell’alcool.
    Non vedo il senso di colpa, semmai la vergogna dell’essere stati scoperti, o la paura della sanzione che un giudice, un tribunale o la legge possono infliggerti; per il resto è “rodeo”, è il fare ciò che voglio, quando voglio, come voglio, senza limiti, senza senso del peccato (che non è da giudicare necessariamente negativo) e senza molto interesse circa le conseguenze delle proprie azioni sugli altri, senza vera identificazioni con colui il quale sono dirette le nostre azioni. Giannino è sembrato un individuo spregiudicato, che millanta titoli che lo autorizzino ad essere ciò che pensa che non sarebbe mai potuto essere per vie normali o legali; Zingales è sembrato colui che mette fine ad un sodalizio (forse anche amicale, ma sarebbe da approfondire il perché di questo legame e come nasce il sospetto) anche a costo di porre fine ad un progetto comune (una figura più etica, dove Giannino si configura di più come figura estetica e ... a giudicare dai panni, anche esteticamente deludente). Forse sta più dentro questi tempi Giannino che Zingales, forse fra qualche mese ci sarà più un Giannino che incoraggia Zingales che il peggio è passato, che non viceversa ... vi pare stano? Paradossale? Considerate Silvio Berlusconi, un uomo che sta vivendo tutta una vita al di sopra delle sue possibilità, senza alcun senso di colpa, risollevandosi sempre e comunque quando sembra moribondo, uno che riterresti un disperato, uno che paga per le sue donne presenti, passate e future, uno che non deve aver avuto nulla di gratuito nemmeno dalla propria madre e che vendeva i compiti ai suoi compagni di scuola, uno che non ha amici ... eppure è sulla cresta dell’onda, “amato” e invidiato da molti, votato ancora da parecchi ... troppi anche se fossero decine o unità, ma che sembra rappresentare meglio di tanti altri i tempi in cui viviamo e in cui Giannino e tanti altri sono solo inconsapevoli scimmie.
    Un saluto

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  9. Si,vabbè, ma questo si chiama delirio...

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  10. Hai una strana idea del delirio, sembra assomigliare più a ciò che tu non condividi o a ciò che ti è più distante ... è una strana definizione di delirio questa, la più delirante che abbia mai sentito :-)

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