martedì 24 settembre 2013

«In pittura ammiro Caravaggio: le sue tele mi parlano»



Riporto un brano tratto dall’intervista che Jorge Mario Bergoglio ha concesso ad Antonio Spadaro per l’ultimo numero de La Civiltà Cattolica (CLXIV/3918), perché riapre una questione che ho già discusso su queste pagine: «Visitavo spesso la chiesa di San Luigi dei Francesi, e lì andavo a contemplare il quadro della Vocazione di San Matteo di Caravaggio” […] È il gesto di Matteo che mi colpisce: afferra i suoi soldi, come a dire: “No, non me! No, questi soldi sono miei!”» (pag. 452). Come Sandro Magister si è subito affrettato a segnalare con comprensibile soddisfazione, si tratta della stessa «interpretazione che la storica dell’arte Sara Magister ha rilanciato con forza su TV 2000», lo scorso anno, senza troppa fortuna: anche «Jorge Mario Bergoglio – scrive il babbo della Sara – ha sempre visto il Matteo della Vocazione dipinta dal Caravaggio non nel maturo signore al centro del gruppo, come predicano le guide turistiche e la maggior parte dei critici, ma nel giovane a capo chino, che ancora “afferra i suoi soldi” proprio mentre Gesù lo chiama» (Settimo Cielo, 20.9.2013). Il pudore lo trattiene dal dire che il Papa abbia parlato ex cathedra – d’altronde non sarebbe una cathedra di Storia dell’Arte – ma per dar forza a questo inaspettato avallo alla tesi di sua figlia ricorre a una graziosa variante di quella che i logici di scuola anglosassone chiamano «fallacy for appeal to authority», e cita un altro passaggio dell’intervista, quello in cui Sua Santità dice: «In pittura ammiro Caravaggio: le sue tele mi parlano», quasi ad insinuare che lo Spirito Santo assista in Bergoglio un infallibile critico d’arte.
Sull’infondatezza della tesi di Sara Magister mi sono già intrattenuto in due occasioni, ma qui occorre ripetere:
(1) Per almeno dodici secoli fino al luglio del 1599 in cui Caravaggio mette mano al dipinto, nella tradizione d’occidente e d’oriente San Matteo è raffigurato anziano e barbuto, e lo stesso Caravaggio lo raffigura così in almeno tre sue opere. In pratica, non si conosce un solo San Matteo che sia stato ritratto giovane e imberbe nella Storia dell’Arte fino ai tempi di Caravaggio, né dopo. Se fosse valida la tesi della Magister, questa sarebbe la sola eccezione. Per giunta risalirebbe ad una epoca nella quale la Chiesa aveva un controllo ferreo sulla produzione artistica e non ammetteva soluzioni ardite. D’altronde, Levi (che poi si chiamerà Matteo) aveva tra i 40 e i 45 anni al tempo in cui Gesù gli chiese di seguirlo (le fonti più attendibili datano la sua nascita tra il 10 e il 15 a.C.): del tutto improbabile che si consentisse di ritrarlo con le sembianze di un giovanotto intorno ai 20 anni, com’è quello in cui la Magister e Bergoglio ritengono di poter identificare l’apostolo.
(2) All’opera del Caravaggio si ispirarono parecchi artisti coevi o di poco posteriori: talvolta il giovane che per la Magister dovrebbe essere Matteo è addirittura assente e in tutti il gesto di Cristo risulta inequivocabilmente indirizzato a un personaggio anziano e barbuto, di regola nella posa di chi, indicando se stesso, chieda:  «Chi? Io?»








(3) Il committente della Vocazione di San Matteo, il cardinal Contarelli morì una quindicina d’anni prima che fosse realizzata, ma aveva lasciato istruzioni dettagliatissime all’esecutore testamentario sul come dovesse essere concepito quel quadro: vuole – scrive un «San Matteo [che sia ritratto] dentro un magazeno, over, salone ad uso di gabella con diverse robbe che convengono a tal officio con un banco come usano i gabellieri con libri, et danari [...] Da quel banco San Matteo, vestito secondo che parerà convenirsi a quell’arte, si levi con desiderio per venire a Nostro Signore che, passando lungo la strada con i suoi discepoli, lo chiama». E l’esecutore testamentario, Virgilio Crescenzi, sarà scrupolosissimo nel trasmettere queste indicazioni al Caravaggio, come è accertato dal carteggio tra i due e dal contratto. Non già un San Matteo nell’atto di «afferra[re] i suoi soldi, come a dire: “No, non me! No, questi soldi sono miei!”», come la tela ha detto a Bergoglio, ma in quello che è un tutt’uno tra il chiedere: «Chi? Io?» e per levarsi dondera seduto. Basta osservare la postura delle sue gambe, nellinequivocabile torsione di chi stia per alzarsi e scivolare via tra sedia e banco.


D’altra parte, il giovane in cui la Magister e Bergoglio hanno visto Matteo non sta affatto «afferrando» le monete  sul tavolo: l’impressione è data dalle due mani che sono giunte sul banco, ma il fatto è che non sono entrambe sue. Sono due mani destre, e appartengono ovviamente a due diverse persone, basta constatare che le maniche degli abiti sono di foggia e di colore diversi: una è la sua, del giovane seduto a un capo del banco, e si limita a contare le monete, forse ad impilarle; l’altra è dello stesso San Matteo che stringe in mano un foglietto, forse una ricevuta. Così accostate possono dare l’impressione che appartengano alla stessa persona colta in una posa di rapace avidità di denaro. Questo tipo di infortunio non è affatto raro in Caravaggio, lo hanno già segnalato Bernard Berenson e Maurizio Calvesi: maestro degli effetti speciali della luce, non era eccelso nel disegno, per tacere delle proporzioni anatomiche e degli equilibri di massa. 


Non bastassero questi elementi, ve ne sono anche di più evidenti. Matteo era un esattore: è ragionevole pensare che un esattore segga su un lato lungo o su un lato corto di un banchetto rettangolare? Il registro di accredito, poi, è aperto in favore del soggetto anziano e barbuto o del soggetto giovane e a capo chino?
Pratica, cioè soluzione formale per adempiere il mandato della committenza; precedenti, cioè consolidata canonistica degli stilemi e dei simboli che caratterizzano un personaggio; pubblico, qui autorevomente rappresentato da autori coevi o di poco posteriori al Caravaggio, che reinterpretano la scena senza trovare alcuna perplessità nei discepoli del Caravaggio ancora in vita (Carlo Saraceni, Orazio Gentileschi, Giovanni Serodine): le tre P che guidano un critico darte tagliano le gambe ad ogni altra lettura. 

Resta una domanda: cosa può aver ingannato Bergoglio?  Possiamo solo andare per ipotesi, cominciando a escludere che abbia fatto sua la tesi della Magister, che non è antecedente al 2012. Prima di allora, a identificare Matteo nel giovane seduto a capo chino era stato solo padre Joseph N. Tylenda, dell’Università di Scranton, in Pennsylvania, autore di una guida turistica (The Pilgrim’s Guide to Rome’s Principal Churches, 1993) che sarebbe interessante sapere se stia sugli scaffali di Papa Francesco. Potrebbe averla acquistata quando venne a Roma per il concistoro del 1998.
Più complicato cercare di capire come Tylenda sia arrivato a formulare la tesi di un Matteo che il Caravaggio avrebbe voluto rappresentare nell’atto di «afferra[re] i suoi soldi, come a dire: “No, non me! No, questi soldi sono miei!”». Un indizio può darcelo la bibliografia della sua guida turistica, nella quale sono almeno due i volumi che riportano una suggestiva cazzata che per qualche tempo era data come fatto assodato: per la costruzione della scena della Vocazione di San Matteo il Caravaggio avrebbe tratto spunto da una delle incisioni di Hans Holbein il Giovane della serie La danza della Morte, quella che ritrae un gruppo di giocatori di carte attorno a un tavolo, il più giovane dei quali, approfittando del subbuglio causato dalla comparsa di un satanasso, fa man bassa della posta ancora in gioco.


Peccato che la cazzata non abbia mai trovato fonte documentata. Libri e stampe che avevano visto la luce in paesi dove la Riforma aveva attecchito bene non avevano alcuna possibilità di circolare a Roma, né sul resto della Penisola. Inoltre, ammesso e non concesso che lincisione circolasse, non sarebbe stato estremamente pericoloso riprodurre una scena di quel genere mettendo Gesù al posto di un repellente diavolaccio?

8 commenti:

  1. In «Scrive il babbo della Sara» notasi fascio di luce caravaggesca.

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  2. Ma come si fa a capire dalla sua frase che Bergoglio si riferisca al giovane e non al vecchio?

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    1. Ahilui, penso si riferisca proprio al giovane.

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    2. Mica lo so se Bergoglio si riferiva con certezza al giovane. Mi rimane il dubbio. Ciò che mi è chiaro, invece, è che né il giovane né il vecchio (che anch'io ritengo essere Levi) afferrano alcunché.

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    3. Cerchiamo d'essere buoni con Bergoglio. Diciamo che San Luigi dei Francesi ha un'illuminazione di merda e che un pessima guida turistica ha fatto il resto. Comunque, sì, nessuno dei personaggi rappresentato nella Vocazione di San Matteo afferra alcunché.

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  3. E' probabile che Matteo sia il ragazzo all'estrema sinistra del quadro. Perché così aumenterebbe il gioco di specchi, la ricorsività dell'opera. Caravaggio prende spunto dalla Creazione d'Adamo di Michelangelo. Gesù riprende il gesto della mano, imitato da Pietro, imitato dal signore con la barba, che infine indica il futuro Apostolo ancora ignaro. La ricorsività, il gioco di specchi è il sigillo del genio. Cfr. ebook (amazon) di Ravecca Massimo. Tre uomini un volto: Gesù, Leonardo e Michelangelo. Grazie.

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    1. Ho ricopiato qui quanto Lei aveva lasciato a commento di un altro post ("Caro Alessandro" - Malvino, 2.9.2013). Si è trattato di un banale errore, ma, volendo, potrebbe darsi che Lei l'abbia fatto intenzionalmente, per un "gioco di specchi": non sarebbe distrazione, ma genio. Di là dall'ironia, che sono certo vorrà considerare con benignità, con la sua osservazione siamo nel solito vicolo cieco di tanta critica d'arte, che, per liberarsi dal rigore dell'analisi scientifica dell'opera (contesto storico, tecnica, ecc.) vola per i cieli dell'interpretazione arbitraria. Non che sia vietato, d'altronde molte opere d'arte hanno ispirato sogni e poesie, spesso di bellezza maggiore della fonte d'ispirazione, e tuttavia si tratta di un'operazione che ha un grande difetto: piega gli elementi formali dell'opera d'arte alla concettuosità di chi la guarda, in pratica è la tela che deve adattarsi a ciò che l'occhio vede in essa. E non è detto che la cosa sia impossibile, anzi, anche qui, il risultato può essere d'un certo fascino (penso, ad esempio, a Salvatore Settis e al suo studio sulla Tempesta del Giorgione). Ma siamo - se mi consente il paragone - alla differenza che c'è neurologia e psicoanalisi dinanzi all'autismo.

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