lunedì 24 febbraio 2014

Fare per fare / 2


Sarebbe ingenuo, prima che ingiusto, considerare Matteo Renzi un avventuriero con straordinarie capacità di impostura. Com’è stato per Silvio Berlusconi, è piuttosto da intendersi come sintomo di una patologia, e della stessa patologia, come vedremo, ma ad uno stadio notevolmente più avanzato. Come non è dato impostore, infatti, senza platea di gonzi che ne esprima il bisogno, ancorché inconscio, legato all’illusoria aspettativa d’inclusione in quella narrazione che Helen Deutsch ha definito «pseudologica phantastica» (Neuroses and Character Types, 1965), allo stesso modo non è dato carisma, weberianamente intenso come «qualità della personalità di un individuo, in virtù della quale egli si eleva sugli uomini comuni ed è trattato come uno dotato di qualità soprannaturali, sovrumane, o quanto meno specificamente eccezionali, non accessibili alle persone normali» (Wirtschaft und Gesellschaft, 1922), che non sia espressione di un investimento emotivo che tende ad acquisire i benefici effetti di una «grazia» (χάρις): in entrambi i casi, l’apparente ineffabilità della relazione si scioglie nello spostare l’attenzione dall’offerta alla domanda. Nella promessa di un interesse assai più alto di quello un promotore finanziario può ragionevolmente assicurare ai suoi clienti c’è sempre la richiesta di un doppio investimento che in buona parte è sui suoi «poteri magici» (Max Weber, ibidem): tale domanda trova ineluttabilmente adesione nel bisogno di essere toccati da questa «magia», della quale si presume esser fatti degni dall’atto di fede alla narrazione che l’impostore o il leader carismatico affidano alla cifra simbolica della propria persona, che si offre come fattore «legante». E non è un caso, infatti, che il termine «legatura» ricorra nelle pratiche magiche come sinonimo di sortilegio che implica mandante e mandatario.
Lo straordinario caso di Silvio Berlusconi, che mostra la natura di questo vincolo pattizio anche nei suoi effetti residuali, laddove la «magia» si è rivelata deludente per oltre un terzo della platea che aveva sottoscritto il mandato, si offre come paradigma di questo meccanismo di fidelizzazione, e trova le ragioni che ne hanno reso possibile la parabola non già nella sua persona, o comunque non solo, ma innanzitutto nelle aspettative di quello che per una lunga stagione è stato un vero e proprio blocco sociale, la risultante di un profondo mutamento della società italiana. Per dirla in altro modo, la tv di Silvio Berlusconi non ha creato ex novo dei bisogni, ma li ha solo liberati dalla rimozione che li traduceva in nevrosi, sicché è stato facile, per chi si offriva come «liberatore», accreditarsi come più genuina espressione di un profondo che esigeva legittimazione. È così anche per Matteo Renzi, ma in uno stadio ulteriore di questo venir meno della denevrotizzazione del rimosso, che denota una palese tendenza all’ingravescenza della peraltro cronica incapacità degli italiani ad assumersi responsabilità. Questo, d’altronde, è il motivo per cui la personalizzazione della politica, che è orientamento cui solitamente inclina la democrazia nelle sue più gravi crisi, in Italia assume ancora e ancora le fattezze dell’Uomo della Provvidenza, quelle del decisionista le cui decisioni nascono da un cieco senso della volontà, dell’innovatore che rappezza il vecchio in patchwork neanche tanto originali, del rivoluzionario che ha per orizzonte un rimpasto del presente. Non è un caso che da trentanni non si abbia idea di Rinascita, che non debba dirsi in debito con la profetica visione di Licio Gelli.        

4 commenti:

  1. Con tutto il rispetto che Le porto, non credo che il problema vero sia la "personalizzazione della politica", che voi intellettuali seri sembrate temere più dell'uomo nero, quanto piuttosto un'assoluta mancanza di programmazione e d'obiettivi concreti ovvero di percorsi adeguati e realistici per conseguire quelli che vengono troppo trionfalmente quasi già dati per raggiunti.
    Alla fine, io credo solo ai numeri e i numeri lasciano intravvedere che Renzi non durerà oltre l'estate prossima ventura. Al primo impatto serio, dove per serio s'intende la discussione su qualcosa di realmente vitale per il Paese, questo governo cade.
    LB

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    1. A mio modesto avviso, al punto in cui è giunta, la personalizzazione della politica è sempre deserta di un progetto e il suo programma, ancorché costruito a misura dell'eclatanza che intende sollevare, si riduce irrimediabilmente a provvedimenti di emergenza, neanche tanto efficaci alla prova dei fatti. Dove la persona e le sue presunte virtù taumaturgiche stanno in luogo delle idee che cercano consenso, il consenso è dato in forma di adesione ad un'impostura. La personalizzazione della politica è uno stallo della democrazia: l'unica via di fuga che consente è la deriva populistica, eventualmente plebiscitaria, sennò la soluzione autoritaria (ancorché messa in atto in forma strisciante).

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    2. quello che salva il pensiero è 'al punto in cui è giunta'. E qui ci vorrebbe un discorso più ampio, visto che non si tratta solo di un problema italiano. Appena c'è una difficoltà, anche minima, ormai i populisti spuntano come funghi, pure in nord Europa per intenderci, quando per anni c'hanno spiegato che si trattava di popolazioni politicamente e civilmente mature. Finchè hanno la panza piena, direi.

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  2. io penso che da anni siamo caduti nel nullismo politico. ed ai politici, di politico, non è rimasto niente da dire, si sono soltano misurati a dire quanto era "nullo" l'altro.

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