martedì 18 novembre 2014

«Qualunque cosa sia»

In Io e Annie (Usa, 1977) c’è una scena che ho utilizzato mille volte per un sogno ad occhi aperti. Alvy (Woody Allen) e Annie (Diane Keaton) sono in coda per entrare al cinema e proprio dietro di loro c’è un tizio insopportabile che, parlando ad alta voce con la tizia che le è affianco, spara senza sosta sentenze su sentenze – sui film di Fellini, sul teatro di Beckett, sulle tesi di Marshall McLuhan – irritando visibilmente Alvy, che finisce per sbottare: «Che cosa non darei per avere un’enorme palata di cacca di cavallo», provocando così le proteste del tizio: «Ma per caso è vietato esprimere le proprie opinioni?». E Alvy: «No, ma deve esprimerle ad alta voce? Insomma, non si vergogna di pontificare così? E la cosa più buffa è Marshall McLuhan… Ma lei sa niente di Marshall McLuhan?». Al che il tizio ribatte che insegna alla Columbia University, tiene un corso su Tv, media e cultura. «Beh, poco male – risponde Alvy – perché il signor McLuhan è qui». E Marshall McLuhan – proprio lui in persona – appare all’improvviso e al tizio dice: «Ho sentito quello che ha detto. Lei non sa niente del mio lavoro. Come sia arrivato a tenere un corso alla Columbia è cosa che desta meraviglia». E Alvy chiosa: «Ah, ragazzi, se la realtà fosse così!».
Non è un caso, penso, che Woody Allen abbia scelto un critico come deus ex machina, perché un artista poteva uscirsene con qualcosa del tipo: «Credo che nel mio lavoro il signore abbia visto quello che forse già pensava di suo, che non è assolutamente la verità, perché io una verità assoluta non ce l’ho e non credo possa esistere quando si parla di problematiche così complesse come quelle che affronto io. Quello che so è che il mio lavoro è stato accolto bene da chi ci ha visto una cosa, ma anche il suo contrario. Io stesso, d’altra parte, non mi sono posto il problema di capire cosa stessi cercando di dire, quale fosse il messaggio»
È che all’artista interessa più essere apprezzato che essere capito? Se si accetta che egli non debba porsi il problema di cosa voglia dire ciò che crea, anzi non debba neanche porsi il problema di capire cosa esattamente abbia intenzione di fargli dire, questo non è affatto grave: l’importante è che la sua creazione trovi apprezzamento, poco importa che sia tanto ambigua da trovarlo presso chi la legge in un modo e presso chi la legge in modo opposto – anzi, tanto più ambigua, tanto meglio – perché l’unico modo sbagliato di leggerla sarà quella che non le farà trovare apprezzamento, unico caso, questo, in cui l’artista potrà lamentare un fraintendimento. Ma a questo punto mi auguro che il lettore abbia colto l’ironia nell’uso del termine artista, mentre mi auguro che l’artista non l’abbia colta, perché questo di bello ha l’ironia: mette d’accordo chi capisce e chi fraintende.
Forse, però, è meglio ricorrere a un esempio.


Qual è il messaggio che vi pare trasmetta questo corto? Una «esplosiva verità», cioè che l’Italia sia piena di gioventù «improduttiva, cazzeggiona, scioperaiola, protetta, corporativa, e per di più travestita da organismo protestatario minaccioso violento radicale antagonista»? Se l’avete inteso a questo modo, siete d’accordo con Giuliano Ferrara, al quale proprio perciò è piaciuto tanto e dice che «dovrebbe essere premiato, trasmesso nelle scuole, e ritrasmesso in tv a cura della Presidenza del Consiglio, con abbondanti sovvenzioni pubbliche e di Confindustria perché le menti libere che lo hanno concepito e realizzato possano insistere nel filone d’oro della presa per il culo dei miti italiani poveraccisti».
O pensate piuttosto che il corto volesse essere un ironico ribaltamento di quella realtà di fatto che in Italia sta bruciando un’intera generazione tra disoccupazione e precarietà? Vi verrebbe voglia di chiederlo all’autore, vero? Beh, non lo fate, potreste rimanere delusi, e poi l’ho fatto io per voi. Capirete che, col miraggio di abbondanti sovvenzioni dalla Presidenza del Consiglio e dalla Confindustria, l’ironia, se c’era al momento di scrivere la sceneggiatura, ora può anche andare a farsi benedire. E allora, sì, «non è stato accolto come un video che sfotte i bamboccioni, anzi, molti hanno scritto di non sapere se ridere o piangere, lo hanno definito divertente e drammatico, comico e triste», però «potrebbe anche essere vero che certi giovani sono sfaticati e mammomi», e tuttavia «ciò non toglie che lo stato è assente, il lavoro è precario e mal pagato, ecc.». Insomma, «credo che nel mio lavoro Ferrara abbia visto quello che forse già pensava di suo, che non è assolutamente la verità, perché io una verità assoluta non ce l’ho e non credo possa esistere quando si parla di problematiche così complesse. Io stesso, d’altra parte, non mi sono posto il problema di capire cosa stessi cercando di dire, quale fosse il messaggio. Lironia era solo il mezzo per raccontare qualcosa di vero, qualsiasi cosa sia».
«Qualunque cosa sia»: e poi c’è pure qualche cretino che afferma che i giovani italiani non siano ormai disposti a tutto pur di portare a casa qualche soldo?

6 commenti:

  1. Magnifico post!

    Amara conclusione, questa di "qualunque cosa sia". L'autore, mi pare, voleva dire: non saprei spiegare analiticamente cosa ho voluto dire, so però che ho detto qualcosa di vero "qualunque cosa sia". E l'accoglienza di Ferrara sarebbe dovuta a un pregiudizio che gli fa estrarre dal filmato uno dei suoi aspetti per farlo diventare il senso totale: il "mi piace non fare un cazzo", da momento possibile nel vissuto complesso dei giovani senza lavoro, diventa la posizione centrale di tutto il vissuto prima di ricevere l'offerta di lavoro. Dopo, l'autore, nel far dire al protagonista e alle persone intorno a lui quello che dicono, mi è sembrato che suggerisse che lui sta dicendo l'opposto di ciò che è. Ma il "qualunque cosa sia" ha ormai spinto il filmato nella via di lettura che permette a Ferrara di gongolare, di fare fascio e stringere il nodo strozzando la complessità. Farei notare all'autore che il filmato avrebbe potuto girarlo lo stesso Ferrara, ne fosse capace. O Guglielmo Giannini, che ne sarebbe stato capace.


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  2. due commenti
    1)Ferrara o è stupido o è paraculo
    2)gli autori sono il top del paraculismo.

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  3. Bisognerebbe pensare fin d'ora ad una alternativa nel caso Giuliano Ferrara ci lasciasse. Con Eugenio Scalfari in altre situazioni, rappresentano le colonne degli intellettuali 'conservatori' con le quali ci si confronta. Questa la nostra realtà: il top del paraculismo.

    LB

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  4. Ma tu conosci i Jackal di persona personalmente?

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    1. No, ma do per inteso che siano quello che di loro dice Ferrara, fino a quando loro non lo smentiranno.

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  5. Annie Hall è davvero uno dei miei preferiti ed anche io ho sempre avuto ben presente quella scena con il vero McLuhan in carne ed ossa (l'altra indimenticabile è quella del dialogo coi sottotitoli).

    Sempre per rimanere in tema di ironia allora, mi pare che sia in quel film che ci siano anche le proteste di Alvy per le risate registrate aggiunte dall'amico attore in camera di montaggio e post prodotte. Che gusto c'è? si chiede.

    Io certamente in questo filmato non avevo riscontrato le suggestioni di Ferrara, ma nemmeno da lontano. Però ogni tanto mi torna in mente il caso dell'Ottavo Nano (o Pippo Chennedy?), quando ci fu censura sui padre pio interpretati da Guzzanti, Paolantoni, Covatta (mitico Tequila e Padre Pio) e Marcorè. Era una palese presa in giro del proliferare delle fiction sullo stesso tema, che diveniva spunto per gag divertentissime. Si disse invece che si voleva prendere in giro lo stesso Padre Pio e quindi offendere le persone di fede. Soprassediamo sull'annoso problema e prendiamo per buono che in Rai non si debba offendere il sentimento religioso: ho visto di recente uno spezzone dove ci fu una discussione del tempo mi pare con Gasparri, o forse Sacconi, nemmeno ricordo, e quando fu fatto notare che il tema non era Padre Pio ma le fiction, fu risposto una cosa del tipo: "ma questo lo possiamo capire noi che stiamo qui, ma la gente comune non ha questi piani di lettura e pensa che si stia prendendo in giro il santo". Fermo restando che quel tal politico fu probabilmente colto in castagna e attribuì ad altri la propria stupidità, Ferrara lo vedo certamente ispirato da quelle constatazioni: una parte del pubblico che lo segue ha effettivamente una singola dimensione e lui si premura di imboccargli quel che di volta in volta conviene. Il rischio che il piano di lettura vero sia ortogonale potrebbe spingerlo con più veemenza a sostenere il contrario giocando d'anticipo.

    Per quanto concerne il pezzo: io ci ho visto un mezzo mix delle due cose. Il lavoro non c'è, e da buoni italiani molti hanno fatto buon viso a cattivo gioco. Insomma, oggi viviamo così e quasi quasi a qualcuno sta bene (mentalmente). Interrompere la catena a-virtuosa crea scompiglio.

    Un altro elemento che considererei, e non ho capito: di chi è il punto di vista? Io non sono sicuro che i due simpatici e anche bravini attori sappiamo del tutto cosa stiano facendo: secondo me c'è un terzo che è un po' il creatore e creativo e rimane nell'ombra. Ipotesi stupida?

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