domenica 8 marzo 2015

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C’è una vulgata di pretto stampo reazionario che in chi contesta i guasti e le ingiustizie di un sistema vuole sia prudente sospettare il malintenzionato che vuole costruirsene uno nuovo, a sua misura, non meno ingiusto, forse ancor più guasto, e che perciò sui suoi argomenti debba pesare sempre il sospetto che un domani migliore dell’oggi possa costare un dopodomani assai peggiore. È vulgata che assume ruolo ancillare nella difesa dello status quo, e come tale, al pari di ogni vulgata di pretto stampo reazionario, fa leva sulla diffidenza che è propria di una visione pessimistica della natura umana, libera solo di decadere, degradare, con ciò svelando la pericolosità, prim’ancora che l’illusorietà, del progredire. Tutto molto tetro, non c’è dubbio, d’altronde l’esperienza ci insegna che tanti fasulli innovatori sarebbe stato meglio abortirli quand’erano ancora in pancia allo status quo, ma poi si sa che l’esperienza serve sempre a poco o a niente, sicché non resta che far finta possa tornarci utile in un’altra occasione, che peraltro non ci è data mai.

Il lettore smaliziato avrà capito che queste riflessioni nascono a margine di una lettura, e probabilmente si starà chiedendo chi sia l’autore di un libro capace di istigare pensieri tanto insalubri. Dávila? Evola? Strauss? Macché, leggevo A viso aperto (Polistampa, 2008), di Matteo Renzi: «Le norme di selezione per i parlamentari – scriveva – assomigliano pericolosamente ai criteri di alcune trasmissioni tv, ma la casa degli italiani non è la casa del Grande Fratello, è il Parlamento della Repubblica. Ridateci le preferenze, tenetevi la vostra Isola dei Famosi». E poco oltre: «Dentro al partito farò una battaglia per il ritorno delle preferenze. È un diritto dei cittadini scegliere le persone e non vedersele imposte». A quei tempi sarebbe bastato un ferro da calza, oggi non basterebbe una divisione di alabardieri. 

3 commenti:

  1. La merda puzza meno di questi "signori" che governano le ns vite...il teatro dell'assurdo...
    Grazie per l'instancabile lavoro di commento.
    Roberto

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