lunedì 14 marzo 2016

La signora ne ha bisogno

Un mio amico ritiene che l’articolo sia delirante, dice sia un esempio di quella pornografia informativa che dell’attacco alla privacy altrui fa lo strumento per lucrare attenzione. Parlo l’articolo che apre il numero de la Lettura da ieri in edicola, quello nel quale Marco Santagata raccoglie indizi sparsi nei romanzi della scrittrice che si cela dietro lo pseudonimo di Elena Ferrante per arrivare a formulare un’ipotesi sulla sua reale identità. Io non condivido: l’ho trovato interessante, ben costruito, ben scritto, ma soprattutto penso sia decisamente fuori luogo apparentarlo, come fa il mio amico, ai blitz di Striscialanotizia.
Decisamente fuori luogo anche il paragone col fotoreporter che viola la privacy di Salinger fotografandolo mentre fa la spesa al supermercato: esagerazione per esagerazione, sarebbe più corretto dire che l’articolo è un saggio di filologia che prova a dare attribuzione certa all’opera di un anonimo. Esagero, ripeto, ma è che ritengo pienamente legittimo che si indaghi sulla reale identità di chi pubblichi i suoi libri usando uno pseudonimo: direi che faccia parte del gioco cui è l’autore stesso ad aver dato il via.
Altra cosa che molestare chi pubblichi col proprio nome, ma intenda lasciare tutto il resto nel privato: qui è corretto denunciare l’intrusione, non nel caso di chi proprio sull’anonimato conta - può sembrare un paradosso, ma in tutta evidenza non lo è nel caso di Elena Ferrante - per dar enfasi alla qualità del prodotto, avvolgendolo nella fascinosa nube del mistero.
Qui però sarà il caso che confessi che a me i romanzi di Elena Ferrante fanno cagare, e che l’unico interesse che in me sollevano - peraltro assai blando - è proprio quello relativo alla reale identità di chi si nasconde dietro lo pseudonimo, sicché mi azzardo a dire che ho trovato più interessante l’articolo di Marco Santagata che le ultime pagine de L’amore molesto.
Non sono in grado di stabilire quanto il suo gioco al rimpiattino contribuisca ad esaltare il piacere della lettura in chi trova belli suoi mattoni, ma ritengo naturale che neanche lei abbia interesse a scoprirlo. Smettiamola dunque di immaginarcela importunata da insopportabili ficcanaso: la signora ne ha bisogno.

14 commenti:

  1. Non sono molto d'accordo. In fondo del problema contano i libri (il contenuto dei libri) e non il prima durante dopo l'autore-autrice. Mi pare una forma sofisticata di guardonismo.

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    1. Certo, dei libri è importante il contenuto. Ma credo che lei non abbia letto con attenzione ciò che ho scritto: una cosa è molestare Salinger al supermercato, un'altra è l'essere interessati a sapere chi si nasconda dietro uno pseudonimo, perché nel primo caso si viola la privacy dello scrittore, mentre nel secondo si vorrebbe semplicemente sapere chi è, curiosità che ritengo legittima da parte del lettore. A meno che non si voglia considerare irrilevante la questione dell'attribuzione dell'Iliade, roba da guardoni che non si accontentano di gustarsi le gesta del pelide Achille.

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  2. Credo che l'importanza della biografia di uno scrittore rispetto all'opera dipenda dai contenuti dell'opera stessa. Per dire, le vicende di vita di Winifred Sebald sono fortemente intrecciate ai suoi testi, quelle di Manganelli un po' meno, e il rapporto tra verità biografica e verità poetica è, conseguentemente, diverso.
    Voglio dire, nel modo in cui leggiamo, rispettivamente, Salgari e Conrad c'è anche la consapevoelzza che il primo era un sognatore di provincia e l'altro un viaggiatore e avventuriero di esperienza.

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  3. Post scritto meravigliosamente come sempre, purtroppo non so chi sia Elena Ferrante, nè che libri abbia scritto.
    Sopporterò il disagio.

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  4. «La frantumaglia è un volume nato per soddisfare la curiosità del pubblico nei confronti dell'anonima scrittrice, in esso sono raccolte le lettere dell'autrice al suo editore, le poche interviste da lei concesse e le sue corrispondenze con lettori d'eccezione. Sua funzione principale è far comprendere al lettore i motivi che spingono l'autrice a rimanere nell'oscurità. La scrittrice stessa parla di un desiderio di autoconservazione del proprio privato, un desiderio un po' nevrotico di intangibilità, di mantenere una certa distanza e non prestarsi ai giochi giornalistici che tipicamente spingono gli scrittori a mentire per apparire come ritengono che il pubblico si aspetti. Ferrante è fermamente convinta che i suoi libri non necessitino di una sua foto in copertina né di presentazioni promozionali: devono essere percepiti come “organismi autosufficienti”, a cui la presenza dell'autrice non potrebbe aggiungere nulla di decisivo.»
    [Elena Ferrante, //it.wikipedia.org/w/index.php?title=Elena_Ferrante&oldid=79484552 (in data 15 marzo 2016)]

    Non conosco la scrittrice né la sua opera; ma, se i redattori della voce wikipediana (a loro volta in gran parte anonimi o pseudo-anonimi) hanno fatto un buon lavoro, non sembra proprio che "la signora ne [abbia] bisogno".

    Direi, anzi, che la perdita di un anonimato decisamente voluto sia vulnus assai più grave di una passeggera seccatura al supermercato (altra questione la pubblicazione delle foto, però).

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    1. Se fai qualcosa di pubblico, sei pubblico.

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    2. Non credo si possa considerare la questione in termini così netti.

      Se fai qualcosa di pubblico, di fatto pubblichi "in parte" te stesso, in parte. Tu decidi quale parte. Chi vuole deciderlo per te commette una violenza.

      La violenza è elemento apparentemente ineludibile delle società umane. Ma la violenza gratuita è qualcosa cui vogliamo vedere opposta la repressione istituzionale.

      Tra Facebook, leak di foto e video privati, smartphone onnipresenti, big data etc., la privacy è un bene sempre più raro e prezioso. Rispettare quella dei personaggi "pubblici" può essere il primo passo per sviluppare consapevolezza del valore di quella di ciascuno.

      Se poi una starlette combina un "leak" di foto in topless, sono affari suoi. Ma se un'altra, star o starlette che sia, decidesse che il suo topless sulla spiaggia di vattelapesca appartiene alla sua vita privata, dovrebbe poter impedire a chiunque la pubblicazione di quelle foto.

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    3. Puoi cercare di imporre le tue regole, devi consentire che cerchino di violarle: non sei tu che hai inventato il gioco. Poi cerchiamo di fare chiarezza: una cosa è difendere la propria privacy, e le leggi ne danno lo strumento, un'altra è l'anonimato, che è una sfida (perfino un invito) a violarla. E' che non credo alle ragioni di chi si nasconde dietro lo pseudonimo di Elena Ferrante, però ammetto che, non avendo in grande considerazione i suoi romanzi, reputo la sua fama in gran parte costruita sul mistero in cui ha deciso di avvolgersi.

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  5. Io penso che i tempi correnti, in particolare a causa di internet e delle sue caratteristiche di persistenza e indicizzabilità (on-line e off-line), richiedano lo sviluppo di un reale diritto all'anonimato, indipendentemente dal fatto che il caso in questione possa anche essere di natura venale e appartenere più al passato che al presente.

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    1. E' su questo che non siamo d'accordo. Quando è pubblica, la voce deve rispondere di quel che dice. Senza responsabilità, nessuna libertà. Senza titolarità, nessun diritto.

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    2. La libertà è elemento sostanziale e (auspicabilmente) persistente. La responsabilità è accidentale e potenziale.

      Si può chiamare qualcuno a rispondere delle sue azioni solo se queste impattano su un diritto altrui.

      La responsabilità è un limite potenziale, non un prerequisito della libertà.

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    3. Vuole un esempio della responsabilità come prerequisito della libertà? Esca dall'anonimato, sennò le cestino ogni ulteriore commento.

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  6. Io spero che "amico" sia stato usato in senso ironico.

    Lorenzo L.

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