giovedì 28 aprile 2016

Paralisi

Dal ribaltamento sintattico dei luoghi comuni (per esempio, «luomo è il miglior amico del cane») e dalla conversione lessicale di uno o più elementi che in essi sono inclusi (per esempio, «il pesce puzza dalla coda»), per conseguente e pressoché costante effetto ironico, iperbolico o paradossale, si ricavano spesso delle inaspettate e sorprendenti perle di saggezza che dimprovviso illuminano aspetti del reale che la frase fatta, il motto, il proverbio, la sentenza, ma anche la semplice espressione idiomatica, sembrano allora come aver voluto fin lì occultare sotto la rassicurante coltre di ovvio che conferiva loro autorità. È per questo che, anche quando non è intenzionale, il risultato di queste operazioni assume spesso un tratto dissacrante, talvolta perfino eversivo, comunque di sfida, così comè con quelle che sono di comune impiego nellenigmistica (bisenso, scarto, cambio, zeppa, metatesi, ecc.), dove il fine è quasi esclusivamente posto nella sorpresa. Altre volte, tuttavia, rovesciare il concetto espresso da un luogo comune non aggredisce affatto il fondo di realtà di cui ogni luogo comune, anche il più abusato, può a buon diritto dichiararsi depositario, con ciò riuscendo solo a offrirsi come prova che ogni tentativo sia inutile, e che quel fondo di realtà sia inattaccabile, sicché assume la funzione del buffone a corte, cui è concesso e perfino richiesto che sia irriverente nei confronti del re, ma solo perché sia data prova di quanto sia ridicolo ogni tentativo di lesa maestà. Così accade anche con la satira di regime, che non a caso si serve spesso di strumenti opportunamente smussi, com’è nel caso della parodia dell’oppositore. Un esempio è offerto dal tweet di ...

Uno prova ad argomentare, poi arriva il tizio che, cacchio cacchio, tomo tomo, al tweet di ... risponde: battuta che manco mi nonna, pure senza apostrofo, e ti risparmia il post, però rimani paralizzato per due giorni. 


18 commenti:

  1. Azz, Malvino: c'è di nuovo!!! Mi ha cambiato la giornata.

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  2. Non c'è una parola italiana che traduca "post"? Mi sa tanto di Luca Sofri

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    1. E' parola che ha sempre posto lo stesso problema anche a me. E però "articolo" farebbe di queste pagine qualcosa di simile a un giornale, e peggio ancora sarebbe "pezzo". Il "log" del "(we)b-log" autorizzerebbe a parlare di "pagina di diario", che però ha un fastidioso retrogusto intimistico. "Testo" mi pare - insieme - generico e supponente. "Scritto" mi suona un po' troppo aulico. Qualche volta mi sono lasciato tentare dal sostituire "post" con una perifrasi che desse il senso della riflessione, dell'intrattenimento, ma l'effetto non mi è mai sembrato troppo convincente. No, io penso che "post" sia il meno peggio: dice "questo è un blog", "quello che stai leggendo lo ha scritto un blogger", ecc.

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    2. Sì, però ciò non risparmia al lettore di dover distinguere tra "quello che stai leggendo l'ha scritto un blogger" e "quello che stai leggendo l'ha scritto un blogger cretino".
      Il che richiede perlomeno la lettura di qualche riga, come nel caso citato dall'anonimo qua sopra.
      Stia bene.
      Ghino La Ganga

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    3. Il ragionamento del titolare è l'esempio di quanto l'imbarbarimento sia avanzato. "Post" è parola orrenda quasi quanto "occhei". Si potrebbe dire diversamente in tanti modi assai più degni: appunto, breve nota, commento, brano, corsivo, invio, messaggio, corrispondenza, diario, pagina, suggestione, intervento...

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    4. Eh, i tempi, signora mia, i tempi!

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    5. non dica più post, la prego

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    6. @Anonimo
      Lei quindi inserisce i documenti nel direttorio presente sulla scrivania del suo elaboratore elettronico personale?

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  3. Beh, ma qual'era il tweet??

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    1. Non ha importanza, l'autore l'ha eliminato dopo aver avuto in risposta "battuta che manco mi nonna". Quello che mi rode è che quasi certamente non l'avrebbe eliminato se glielo avessi contestato io, e a modo mio. Il foro l'è un troiaio: se non si è troia, conviene non metterci piede.

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  4. Ma lei "e però" e "epperò" li pronuncia allo stesso modo?

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    1. Ma no, è ovvio, nel primo caso la dentale è molto più gutturale di quando nel secondo la labiale sia nasale. Comunque la ringrazio per avermi dato modo di chiarirlo, era questione che da tempo mi riproponevo di affrontare.

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    2. I linguisti dicono il contrario: la pronuncia è la medesima.

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    3. Ah, perché lei non ha colto che la mia risposta fosse un modo delicato per mandarla a cagare?

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  5. Il segreto sta nell'adeguare lo stile..
    Spiegare, dilungarsi, cercare le parole giuste per esprimere il proprio pensiero quando si scrive un post sul blog.
    Cercare la battuta veloce e risolutiva quando si sta sui forum.

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  6. @Giamba:
    però l'efficacia di "che cagata!" credo valga in entrambi i casi.
    No?
    Stia bene.
    Ghino La Ganga

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  7. No, anche qui c'è da discutere. E' noto (vedi, ad esempio, il "De rerum excrementorum" di Quinto Sesterzio) che in questa espressione la g al posto della c è caratteristica del centro nord. Al sud la si usa per ingentilire la parola che altrimenti avrebbe un suono troppo "volgare". Allora, se questo è vero, si chiederebbe il linguista, perché voi meridionali dite cacca e non gagga? La questione è stata approfondita nei secoli scorsi: il De Bruni e il Guarnacci dedicarono all'argomento profonde ed erudite riflessioni. Senza scomodare i grandi del passato, modestamente potrei suggerire che il termine è già sufficientemente ingentilito dall'uso scherzoso e infantile che ne fanno i bambini. Et de hoc satis.

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