lunedì 13 giugno 2016

Il retrattore di Percy


È assai frequente che dallarto aggredito da un processo gangrenoso si levi un fetore talmente insopportabile da rendere estremamente dura la caritatevole opera di chi assiste il paziente che ne è affetto. È che, a differenza di quanto avviene con tutti gli altri sensi, i recettori deputati alla percezione olfattiva afferiscono a una delle porzioni più antiche del nostro cervello senzalcuna intermediazione e modulazione talamica nel collegamento a quelle aree più giovani della nostra corteccia cerebrale dove la sensazione acquista il connotato specie-specifico umano, conservandole così quel tratto belluino che riverbera inevitabilmente nella reazione allo stimolo: come dimostra l’enorme importanza che gli odori continuano ad esercitare, talvolta in modo incontrollabile, in ambito sessuale, nel corso dellevoluzione lolfatto ha conservato tutti i suoi caratteri più ancestrali, molti dei quali antecedenti addirittura allo stadio in cui eravamo scimmie. Questo spiega perché in casi simili listinto possa facilmente prendere il sopravvento sulla ragione, che invece sa nitidamente distinguere in chi effonde il miasma gangrenoso il malato bisognoso di rispetto e di cura. Perché la ragione possa aver la meglio sullistinto, tuttavia, occorre disarticolare la reazione dallo stimolo, e per far questo basta saper distinguere il malato dalla malattia, cosa che quasi sempre è resa possibile da un procedimento logico abbastanza elementare: il poveretto puzza, puzza di brutto, ma non è certo colpa sua: è affetto da una patologia, che potrà pure essere stata agevolata da un malsano stile di vita, dalla sua incuria, ma questo non autorizza a giudizi morali, né solleva dallobbligo di prestargli assistenza, sacrificando il naso, e non solo, com’è con l’extrema ratio della pietosa amputazione dellarto, dove sia il caso.
Per questo occorre essere grati a Eugenio Scalfari: nel corso del dialogo avuto con Matteo Renzi a RepIdee, riportato ieri da la Repubblica, è stato capace di strappargli unaffermazione che ci costringe a mettere da parte lincommensurabile schifo che ci infligge come uomo e lincoercibile disprezzo che ci infonde come politico, per indurci a quellelementare procedimento logico che ci consente di vedere in lui il malato, nientaltro che la vittima di ciò che la personalizzazione della politica ci ha invece indotto così spesso a ritenere connaturato al leader narcisista e arrogante,  e drogato di autostima. Insomma, per non tirarla troppo a lungo, grazie a Eugenio Scalfari ci è stato dato modo di capire che Matteo Renzi puzza, e di brutto, e senza dubbio è puzza che gli viene dal di dentro, ma che la questione non si risolve dandogli del puzzone. Di più: facendoci distinguere il malato dalla malattia, ci è stato dato modo di evitare lerrore di ritenere che basti dar libero sfogo al disgusto per fare anche un solo passo avanti nella profilassi della personalizzazione della politica, gangrena da sempre endemica in società segnate dall’ignoranza e dalla soggezione in cui vengono compresse le masse.
È in questo stato di compressione, infatti, che vengono a realizzarsi quelle condizioni di anaerobiosi – vera e propria asfissia del pensiero – che favorisce lattecchimento e lo sviluppo dei germi che distruggono il tessuto della democrazia, liberando i fetidi prodotti del suo disfacimento. Primo fra tutti, il mito della governabilità, alla quale sarebbe lecito sacrificare il «pregiudizio» che la rappresentatività è il cuore stesso della democrazia. Poi, la certezza che governare stia nel sapiente ricircolo di paure e speranze operato da unélite in grado di produrre alla bisogna le une e le altre, proiettandole a dovere in una narrazione che riduca il cittadino a spettatore di un destino che gli è estraneo. Ancora, la convinzione che alle masse basti dare un nemico al giorno e un obolo ogni tanto per meritare quel silenzio-assenso da poter essere vantato come consenso. Non cè bisogno di analisi gascromatografica per riconoscere in queste ammine volatili i prodotti della putrefazione che ha trasformato il popolo in plebe, il voto in plebiscito, l’informazione in propaganda, lo stato in una piramide corporativa cui in cima siede l’intercambiabile uomo di paglia da bruciare quando diventa inservibile.
«Penso che dobbiamo fare al massimo due mandati: sarei disposto a firmare qualsiasi legge in questo senso», così ha detto Matteo Renzi, riferendosi alla carica di Presidente del Consiglio, per assicurarci che non ha intenzione di «governare lItalia per 15 anni», diffidando chi voglia attribuirgliela («lo querelo»). È evidente che gli sfugga che un tal limite trovi senso nel caso in cui una carica sia direttamente espressa dal popolo, come accade per il Presidente degli Stati Uniti, per quello della Repubblica Francese e per quello della Federazione Russa, dove ha il fine di evitare che il notevole potere concesso all’uomo che la riveste per un periodo troppo lungo possa degenerare in arbitrio. Potrebbe aver senso per gli eletti dal popolo, ma che senso avrebbe un limite di due mandati in una democrazia parlamentare dove le massime cariche dello stato, ivi compresa quella del Presidente del Consiglio, non sono espresse direttamente dal voto popolare? Per meglio dire: cosa porta Matteo Renzi a volerci dare una garanzia che non avrebbe alcuna ragion dessere se davvero, come ha più volte affermato, la riforma costituzionale e la legge elettorale da lui volute non stravolgono limpianto di una democrazia parlamentare? Pare palese la contraddizione, che rivela in lui il disegno di un presidenzialismo camuffato, tanto più pericoloso rispetto a un presidenzialismo esplicitamente rivendicato perché privo di ogni contrappeso istituzionale. È un progetto che puzza, e di brutto, ma giacché sappalesa in modo da lasciar credere che Matteo Renzi ne sia agito piuttosto che esserne attore, eccoci costretti a non lasciar far tutto al naso: occorre trattenere lo schifo e tener pronto il retrattore di Percy. 

8 commenti:

  1. Mi scuso se vado fuori tema, ma avrei una domanda per l'autore, in ragione della sua conoscenza profonda e diretta dell'esperienza dei Radicali. Come inquadriamo la figura di Pannella (teoria e prassi, dall'uso del corpo alla gestione del partito fino al riformismo istituzionale) rispetto alla patologia qui denominata della personalizzazione della politica? Se l'argomento fosse già stato trattato in qualche post precedente, leggerò volentieri quel che mi sono perso. Grazie in anticipo

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    1. Il problema non merita più attenzione.

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    2. Peccato, penso invece che si tratti di un caso di studio molto interessante del fenomeno in questione (e della sua genesi).

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    3. anch'io. Penso che a Pannella ( e a tutti coloro che lo hanno seguito ) possa tranquillamente essere attribuita una sorta di primogenitura per quanto riguarda la personalizzazione della politica, l'idolatria per il sistema maggioritario, la subalternità della politica rispetto ai soldi,
      l'esportazione della democrazia e molte altre cose.

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  2. Solo una puntualizzazione: il limite a due mandati negli USA non è una disposizione legale (che probabilmente sarebbe incostituzionale) ma solo una consuetudine non vincolante. Franklin Delano Roosevelt fu eletto quattro volte (1932, '36, '40 e '44), anche se la sua terza candidatura suscitò un bel po' di polemiche da parte dell'opposizione repubblicana. Detto questo, citare FDR e Renzi nello stesso contesto è un'eresia, a meno che non sia un gioco del tipo Trova l'intruso.

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    1. ventiduesimo emendamento, ratificato nel 1951. Proprio il caso di Roosevelt suggerì il provvedimento.
      Incostituzionale non esiste, se qualcosa è in contrasto con una costituzione si fa un emendamento, si interpreta come conviene o si aggira in qualche altro modo.

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