lunedì 21 maggio 2018

Einaudi e Mattarella



Mi pare che Mattarella si sia rimesso alquanto impropriamente allesempio che, a suo parere, Einaudi avrebbe inteso porre a precedente, per giunta con effetto vincolante sui suoi successori, riguardo al corretto intendimento dellart. 92 della Costituzione («Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri»). Intervenendo nel corso della cerimonia che celebrava linizio del settennato einaudiano al Quirinale, infatti, ha detto: «Cercando sempre leale sintonia con il Governo e con il Parlamento, Luigi Einaudi si servì in pieno delle prerogative attribuite al suo ufficio ogni volta che lo ritenne necessario. [1] Fu il caso illuminante del potere di nomina del Presidente del Consiglio dei ministri dopo le elezioni del 1953, nomina per la quale non ritenne di avvalersi delle indicazioni espresse dal principale gruppo parlamentare, quello della Democrazia Cristiana. Fu un passaggio di un esecutivo di pochi mesi, guidato dallex ministro del Tesoro, Giuseppe Pella, e che portò al chiarimento politico con la formazione della maggioranza tripartita che governò con Mario Scelba fino alla scadenza del settennato di Luigi Einaudi. [2] Tale è limportanza che attribuiva al tema della scelta dei ministri dal volerne fare oggetto di una nota verbale da lui letta il 12 gennaio 1954 nellincontro con i presidenti dei gruppi parlamentari della Democrazia Cristiana, Aldo Moro e Stanislao Ceschi, dopo le dimissioni del Governo Pella. E scrisse in quella nota: “Dovere del Presidente della Repubblica è evitare si pongano precedenti grazie ai quali accada o sembri accadere che egli non trasmetta al suo successore, immuni da qualsiasi incrinatura, le facoltà che la Costituzione gli attribuisce”» (Dogliani, 12.5.2018).
I numeri che tra parentesi qui ho inserito nel testo stanno a titolo dei due problemi sollevati dallinterpretazione del 2° capo dellart. 92 della Costituzione in relazione al significato che si voglia attribuire a quel «nomina», che infatti, riguardo ai poteri del Presidente della Repubblica, può significare, in senso estensivo, «decide», «sceglie», «designa», mentre, in senso restrittivo, può assumere valenza esclusivamente formale, procedurale, rituale, di mera vidima. Qui non ci impancheremo a costituzionalisti nel tentativo di cogliere il più genuino senso che i redattori della Carta abbiano inteso dare a quel «nomina», limitandoci a contestare la lettura che Mattarella ha fatto degli avvenimenti descritti in [1] e della nota verbale di Einaudi così come offertaci in [2]. Si tratta in entrambi i casi di letture che ci paiono a dir poco assai forzate. Tanto forzate da farci sospettare che anche qui si sia voluto cadere nel malvezzo di piegare agli impellenti bisogni del momento la realtà di fatti ormai smarriti dalla memoria dei più. Dimostrazione ne è che allintervento del Capo dello Stato non è seguita alcuna critica. Sarà stato per il rispetto dovutogli, che tuttavia non può sopravanzare quello impone la realtà delle cose. Se il dotto studioso di Diritto costituzionale si fosse limitato a darci il suo pregiato parere su quel «nomina», staremmo qui con mento sul petto e col cappello in mano a ruminare i suoi argomenti, grati del lume offertoci sulla questione. Fatto sta che in questo caso ad argomento si è portato solo un precedente, per giunta interpretato in modo assai poco convincente.

Sul «caso illuminante del potere di nomina del Presidente del Consiglio dei ministri dopo le elezioni del 1953, nomina per la quale [Einaudi] non ritenne di avvalersi delle indicazioni espresse dal principale gruppo parlamentare, quello della Democrazia Cristiana», occorre rammentare quali fossero gli estremi del quadro politico allindomani delle elezioni del 1953. Da quelle elezioni la Dc uscì fortemente penalizzata (dal 48,5% del 18 aprile 1948, infatti, scese al 40,1%), e in favore del fronte delle destre (il Msi dal 2% al 5,8%, il Pnm di Lauro dal 2,8% al 6,9%). A questa sconfitta reagì cercando di spezzare quel fronte, tentando, da un lato, però invano, di mettere fuori legge il Msi e, dallaltro, con successo, di guadagnarsi la benevolenza di Lauro con sostanziose agevolazioni per la sua flotta, fino ad ottenere la scissione del Pnm, col conseguente suo indebolimento. Regista delle operazioni miranti a blandire i monarchici, in attesa di dividerli, fu lala conservatrice della Dc (De Gasperi, Scelba, Pella, Piccioni), che di lì a poco sarebbe stata liquidata da quella facente capo a Fanfani con la costruzione del caso Montesi.
Nellagosto del 1953 Einaudi non dà in prima battuta lincarico a Pella, ma a De Gasperi, che però non trova i numeri in Parlamento: il Pnm, che inizialmente aveva annunciato lastensione, gli nega il suo appoggio, alzandone il prezzo, che a Lauro sarà invece assicurato da Pella. Quando Einaudi, dunque, «non ritenne di avvalersi delle indicazioni espresse dal principale gruppo parlamentare, quello della Democrazia Cristiana», nel dare lincarico ad Alcide De Gasperi, non operò affatto una scelta arbitraria, limitandosi semplicemente a prendere atto che in Parlamento non ci fossero i numeri per la nascita di un Governo a sua guida.
Ma forse cè una ragione assai più banale per spiegare perché a Mattarella possa sembrare che lincarico a Pella fosse più saggio di un incarico a De Gasperi, con ciò illustrando esemplarmente la natura delle prerogative che il Quirinale avrebbe sulla formazione di un Governo: è che nella compagine governativa che a capo aveva Pella figurava anche suo padre, Bernardo Mattarella, assente in quella prospettata da De Gasperi. Nellaffrontare la questione posta in [2] vedremo la reale natura di quello che Mattarella definisce «chiarimento politico», ma già qui pare chiaro che in esso Einaudi non vebbe altra funzione che quella notarile: prendere atto che Lauro avrebbe dato appoggio a un Governo Pella, ma non a un Governo De Gasperi.
Non è corretto, poi, affermare, che la scelta di Einaudi sia stata saggia in funzione di una stabilità che sarebbe nei fini affidati alla funzione di chi siede al Quirinale: il Governo Pella durò solo cinque mesi, e vedremo che Einaudi non fu certo in grado di farlo durare di più.

Venendo al tema relativo alla nomina dei ministri e al potere di veto che il Presidente della Repubblica avrebbe su questo o quel nome nella lista sottopostagli da chi egli ha incaricato di formare un Governo, occorre dire che Mattarella stravolge i termini della questione posta con la nota verbale di Einaudi, della quale infatti cita solo una frase che in nulla chiarisce quali siano le «facoltà» che la Costituzione attribuisce al Capo dello Stato, dando però ad intendere che siano decisive nella composizione della compagine governativa. Il fatto è che, se questo è nei fatti (vedasi il caso di Previti, che Scalfaro spostò dalla Giustizia alla Difesa), non è certo la nota verbale di Einaudi a porsi come precedente: Mattarella avrebbe avuto buon diritto ad appellarsi ad una pratica ormai assunta come consuetudine, e con qualche sovrappiù di ipocrisia definita «moral suasion», ma sembra aver preferito trovarne una radice dove – vedremo – non ve ne traccia alcuna.
Il 12 gennaio 1954, data in cui Einaudi recita la sua nota verbale a Moro e Ceschi, il Governo Pella è già insediato da quattro mesi. Il Presidente del Consiglio annuncia un rimpasto di Governo per rinforzarne la tenuta a fronte delle richieste che vengono dagli alleati (Pli, Pnm) e tra i nomi nuovi che propone, allAgricoltura, vè Aldisio, un parlamentare siciliano che, guarda caso, è padrino di battesimo del Mattarella cui oggi sembra assai saggia la scelta di Einaudi di favorire il Pella che fece ministro il suo papà a fronte delle sordide manovre di Fanfani miranti a farlo cadere. Sta di fatto che alla corrente della Dc che sta prendere la guida del partito il rimpasto non piace e pone il suo veto, minacciando di far cadere il Governo. Pella capisce che ha i giorni contati, va da Einaudi ad annunciargli le sue dimissioni, ma questi, preso atto di quanto sta accadendo, gli propone di ripresentarsi alle Camere col rimpasto che ha approntato. Qui Pella rifiuta, ed Einaudi si rassegna.
Dove sarebbe illustrato, in questo caso, il potere di veto che la Costituzione assegnerebbe al Presidente della Repubblica sui nomi sottopostigli da chi egli ha incaricato di formare un Governo? In quella nota verbale vè piuttosto il senso più adeguato che può darsi a quel «nomina», ma a Mattarella deve essere sfuggito: «È ovvio […] che la persona ufficiata od incaricata della formazione del Consiglio dei Ministri senta tutti quei parlamentari che a lui parrà più opportuno; ne ascolti i consigli, i consensi, i rifiuti, apprezzile considerazioni che in merito gli sono esposte e ne tenga il conto migliore nell’adempimento dell’incarico ricevuto. Nessun limite può essere posto ai pareri, ai consensi, alle esclusive, ai rifiuti che, nelle more della formazione del Gabinetto, potranno venir fuori. Tutto sarà oggetto di meditazione da parte della persona incaricata; ed ogni voce, passando attraverso lui, confluirà a determinare le proposte che egli presenterà al Presidente della Repubblica; le quali proposte, passate attraverso quel crogiuolo, saranno, come vuole la Costituzione, diventate le sue proposte» (Luigi Einaudi, Lo scrittoio del Presidente, Giulio Einaudi Editore 1956 - pag. 33).
Qui va sottolineato che, nel testo, «sue» è in corsivo, a far chiaro che «nomina», almeno per Einaudi, vuol significare tutt’altro che «decide», «sceglie», «designa». Per Scalfaro, forse, sì. Per Einaudi, certamente, no.

1 commento:

  1. Grazie per aver ricordato gli eventi del 1953. Secondo me però questa lettura è del tutto errata: il discorso di Mattarella va giudicato solo come mossa politica. Come tale, secondo me fu saggia, ancorché inascoltata.

    I passaggi principali a mio avviso sono: «Questa riflessione di Einaudi indicava come avesse ben chiaro, all'inizio del suo mandato di Presidente della Repubblica, di interpretare un'esperienza senza precedenti: essere il moderatore dell'avvio della vita dell'Italia repubblicana. [...] Consigli, previsioni, esortazioni che gli valsero, da taluno, la definizione di pedante. [...] Einaudi rinviò due leggi approvate dal Parlamento, perché comportavano aumenti di spesa senza copertura finanziaria, in violazione dell'art. 81 della Costituzione. [...] Tale l'importanza che attribuiva al tema della scelta dei ministri, dal volerne fare oggetto di una nota verbale».

    Parliamo di un discorso del 12 maggio 2018 (https://www.quirinale.it/elementi/1344 ), 15 giorni prima del fatidico annuncio del 27 maggio (https://www.quirinale.it/elementi/1345 ). Mattarella aveva previsto esattamente ciò che stava per succedere e mandò un messaggio chiaro, travestito da riflessione storica per dare alle forze politiche l'opportunità di recepirlo senza costringere la Presidenza ad atti di maggiore importo.

    Mattarella lo fa in continuazione: c'è anche un intervento su Gronchi https://www.quirinale.it/elementi/18296 e in ogni visita di stato all'estero produce una prolusione in qualche università dove si esercita in una riflessione storica che spesso ha anche riferimenti obliqui ma chiari al presente.

    Si può condividere o meno i contenuti e apprezzare o meno lo stile, ma io lo trovo un esercizio di trasparenza che migliora la nostra democrazia. Se si scava nel sito del Quirinale per ricostruire le motivazioni di certe decisioni di Napolitano, non si trova nulla, o al più si reperisce qualche scarno comunicato a cose fatte: gli interventi informali della Presidenza erano lasciati a inverificabili sussurri alla stampa, diffusi da ciascuna testata a seconda delle convenienze politiche. Qui invece tutti i cittadini, purché sufficientemente pazienti, potevano sapere con dovuto anticipo che cosa stava per accadere e perché.

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