venerdì 19 ottobre 2018

«La fase storica è naturalmente diversa»


Nel 1945, per i tipi della University of Pennsylvania Press, usciva un volume di Arcangelo William Salomone dal titolo Italian Democracy in the Making, che apriva con una lunga Introduzione di Gaetano Salvemini, dalla quale Claudio Cerasa estrae due passaggi (pagg. XV e XXVIII-XXIX) che finiscono nelleditoriale col quale sapre Il Foglio di giovedì 18 ottobre.
Prima di riportare qui il virgolettato, per poi passare a considerare luso strumentale cui viene piegato, occorre precisare che i due brani tratti dallIntroduzione sono riportati fedelmente (fa eccezione linciso «ed era» del primo periodo, racchiuso tra due virgole su Il Foglio e tra due trattini nel testo originale, il che ovviamente è irrilevante) e che il loro accostamento non tradisce il pensiero di Salvemini per quanto viene ad essere eliso nel mezzo. Precisazioni che potrebbero sembrare superflue, ma che qui invece sono necessarie, perché negli ultimi anni Il Foglio non si è fatto scrupolo di servirsi anche di infimi mezzucci per il suo piccolo cabotaggio nella palude della cronaca politica italiana: premettere che stavolta non se n’è fatto uso vuol far da viatico alla speranzuola che il giornale fondato da Giuliano Ferrara possa tornare ai tempi in cui mistificava in modo assai più raffinato, ruminando i paralogismi di Ratzinger invece di sfondarsi coi popcorn di Renzi. Ma veniamo al Salvemini di Cerasa.

«Mentre noi riformatori assalivamo Giolitti dalla sinistra accusandolo di essere, ed era, un corruttore della democrazia in cammino, altri lo assalivano dalla destra, perché era anche troppo democratico per i loro gusti. Le nostre critiche non favorirono una evoluzione della vita italiana verso forme meno imperfette di democrazia, ma favorirono la vittoria dei gruppi militaristi, nazionalisti e reazionari che trovavano la democrazia di Giolitti anche troppo perfetta... Se mi trovassi nuovamente in Italia fra il 1900 e il 1914 con quel tanto di esperienza che ho potuto mettere insieme nei trent’anni successivi, non tacerei nessuna delle mie critiche al sistema giolittiano, ma guarderei con maggior sospetto a coloro che si compiacevano di quelle critiche, non perché essi volessero condurre l’Italia dove noi avremmo voluto che arrivasse, ma precisamente nella direzione opposta».

Un ripensamento sul giudizio dato nel 1910 con Il ministro della mala vita? Macché, Giolitti rimane il «corruttore della democrazia» che era. Se sul «sistema giolittiano», dunque, non ha cambiato idea, di cosa si cruccia, Salvemini? Del fatto che le sue critiche a Giolitti «non favorirono una evoluzione della vita italiana verso forme meno imperfette di democrazia». Lo indebolirono, probabilmente, ma più da destra che da sinistra. Non nasconde la sua amarezza al riguardo, Salvemini, ma si sente in colpa per averlo indebolito con quelle accuse? Niente affatto: «Se mi trovassi nuovamente in Italia fra il 1900 e il 1914 [...] non tacerei nessuna delle mie critiche». E allora di cosa si sente colpevole, se in ciò che scrive cè proprio da leggere un rimprovero a se stesso? Del non aver guardato «con maggior sospetto» al compiacimento che «militaristi, nazionalisti e reazionari» traevano da quelle sue critiche.
Io qui azzarderei unipotesi. Salvemini sapeva che «militaristi, nazionalisti e reazionari» non volessero affatto «una evoluzione della vita italiana verso forme meno imperfette di democrazia»? Non cè da dubitarne. E allora perché afferma che, potesse tornare al 1910, non si farebbe scrupolo di riscrivere Il ministro della mala vita? Le sue critiche hanno indebolito Giolitti aprendo la via al fascismo (ne «favorirono la vittoria», dice), e ciò nonostante pensa che fossero ugualmente necessarie? Lonestà intellettuale, per Salvemini, imponeva costi così gravosi? La sua biografia risponde: sì. Quale cruccio, allora? Quale senso di colpa? Credo che ce lo riveli il seguente passaggio: «guarderei con maggior sospetto a coloro che si compiacevano di quelle critiche». È un termine appropriato, quel «compiacimento»? Non è più probabile che fosse stato lui a compiacersi del fatto che quel suo pamphlet incontrasse un plauso trasversale, a sinistra e a destra? E non è più probabile, dunque, che nel 1945 Salvemini si penta solo di quel suo peccato di orgoglio intellettuale, che dinanzi alla tragedia del ventennio fascista rischia di essere rubricabile a sciocca vanità? Lasciamo perdere, in fondo questa era solo una digressione. Torniamo alleditoriale di Cerasa, per il quale la «lezione di Salvemini» torna buona ai nostri giorni, a biasimo di chi ha criticato i guasti della Prima, della Seconda e della Terza Repubblica, rendendosi con ciò «complice» – sì, dice proprio «complice» – dei barbari che oggi devastano il sancta sanctorum della democrazia italiana: «La fase storica è naturalmente diversa – scrive Cerasa – ma a voler osservare con attenzione il modo in cui chi doveva combattere gli anticasta è finito invece per essere spesso complice degli anticasta, viene naturale ricordare una riflessione fatta da Gaetano Salvemini alla fine della Seconda guerra mondiale relativa al logoramento della democrazia liberale generato dalla battaglia senza quartiere organizzata contro il giolittismo prima dell’avvento del fascismo»; e qui segue la citazione sopra riportata.

«La fase storica è naturalmente diversa» serve a stornare lattenzione dal fatto che, come vedremo, il parallelo è in realtà assai sghembo. Perché, se non lo fosse, significherebbe che Cerasa, come Salvemini in Giolitti, individua in Craxi, in Berlusconi e in Renzi tre «corruttori della democrazia». Verso chi erano rivolte, infatti, le critiche di chi denunciava un deficit di democrazia in Italia? Se il parallelo non è sghembo, perché non avrebbero dovuto rivolgerle ai quei «corruttori della democrazia», visto che neppure il senno del poi fa cambiare idea a Salvemini? Irricevibile, allora, linvito con cui Cerasa chiude il suo editoriale: «Provate a sostituire la parola “Giolitti”con la parola “casta”e avrete forse chiaro perché quella che abbiamo cominciato a chiamare casta in realtà non era altro che qualcosa di più prezioso: il nostro amore per la parola democrazia».
Dovremmo dedurne che Salvemini amasse Giolitti, ma non ne fosse conscio, visto che gli dava del «ministro della malavita» nel 1910 e del «corruttore della democrazia» nel 1945.

Salvemini morirà nel 1957: avrà tempo per dare occasione a Cerasa di poter dire che in fondo, seppur in fondo in fondo, amasse Giolitti? Per dirla alla francese, manco per il cazzo.
Nel 1952, per Il Ponte, una rivista fiorentina, Salvemini firma un lungo articolo dal titolo «Fu lItalia prefascista una democrazia?», nel quale c’è tutto l’impeto antigiolittiano del 1910 e neanche un po’ del senso di colpa – se senso di colpa era – del 1945. Ora, se ciò che viene dopo (1945) è sempre da considerare più ponderato e saggio di ciò che viene prima (1910) – così sembra farci intendere Cerasa – con ciò che viene dopo il dopo (1952) dovremmo essere al culmine della ponderazione e della saggezza. E cosa scrive, Salvemini, in questo articolo?
Giolitti non è più il «corruttore della democrazia», ma il «precursore» di Mussolini. Il sistema giolittiano non anticipò cronologicamente il regime fascista, ma ne fu la premessa. «La differenza fra Mussolini e Giolitti era in quantità e non in qualità. Giolitti fu per Mussolini quel che Giovanni il battezzatore fu per Cristo: gli preparò la strada». Proviamo anche qui a «sostituire la parola “Giolitti” con la parola “casta”»?

2 commenti:

  1. " il nostro amore per la parola democrazia "

    forse la chiave per capire l'articolo (che mi guardo bene dal leggere) sta qua.
    Bisogna diffidare di chi dice di amare la democrazia. Anche se la si ritiene
    il miglior sistema possibile, non si può in coscienza amarla, bisogna piuttosto
    sopportarla. Esiste anche un totalitarismo democratico, che può dar vita a due
    esiti diversi e solo in apparenza opposti: quello di Salvemini che evidentemente esagera quando dice che Mussolini è un Giolitti aumentato, e quello di Cerasa/Ferrara che con la scusa di amare la democrazia, finisce per amare pure i suoi prodotti: Craxi, Berlusconi, Renzi.

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  2. Grazie. Mi ha esposto perfettamente le ragioni per le quali avrei sbagliato, rompendo una consuetudine radicata, a prestare attenzione al Foglio. Continuo, se me lo consente, a contare su di lei.

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