domenica 7 ottobre 2018

Una scienza dei fini? / 2


3. Il marxismo si dà statuto di superiore conoscenza – insieme, scientifica e normativa – traendone ragione dall’impiego del metodo dialettico. Se dunque è la dialettica ad essere il fondamento del marxismo, metterla in discussione significa avanzare dubbi sulla teoria e sulla prassi del «socialismo scientifico» – quello di Marx ed Engels, appunto – senza che peraltro questo implichi necessariamente una critica radicale al socialismo, che d’altronde nasce assai prima di Marx ed Engels, e che dopo Marx ed Engels vede multiformi sviluppi di teoria e prassi, non di rado anche distanti da quelle del «socialismo scientifico», col quale sono in aspra polemica.
Un primo dubbio è sulla stessa possibilità di una «scienza» che si dichiara fondata su un metodo, quello dialettico, che è proprio della filosofia, e, nello specifico del «materialismo dialettico» che informa il «socialismo scientifico», della dialettica di Hegel.
Ora, è vero che Marx riesce a presentarsi a noi come post-hegeliano che più incisivamente sia stato in grado di criticare e superare l’idealismo hegeliano. Resta di fatto, tuttavia, che della filosofia hegeliana ha fatto suoi, senza abbandonarli mai, i principi epistemologico-ontologici che le stanno a fondamento.
La prima a cogliere questa continuità, peraltro inserendola in una linea di pensiero che a Marx arriverebbe, tramite Hegel, addirittura da Aristotele, è la stessa Arendt per la quale «chiunque tocchi Marx tocca la tradizione occidentale», e che, mettendosi al riparo dai possibili strali delle allora folte ed agguerrite schiere di marxisti accampate in ogni angolo del mondo, ne difende il lascito dicendo che «accusare Marx di totalitarismo equivale ad accusare la tradizione occidentale stessa di terminare necessariamente nella mostruosità di questa nuova forma di governo» (Karl Marx and the Tradition of Western Political Thought, 1953).
Al di sopra di ogni sospetto di nequizioso intento mirante a scalfire l’autorevolezza di Marx, la Arendt segnala che in lui persistono i principi dell’idealismo hegeliano, e cioè che: (1) la realtà non si esaurisce nei suoi elementi materiali, essendo mossa dall’interno da quelle che per Marx sono «determinazioni formali non percepibili che strutturano e unificano la realtà empirica»; (2) tra determinazione materiale e determinazione formale vi è eterogeneità, perché la prima riguarda l’ambito delle cose particolari e finite, mentre la seconda inerisce a ciò che ad esse dà connessione e sintesi; (3) la Forma (qui con la maiuscola come ricorre nei testi di Hegel) è operatrice dialettica dei limiti di ciò che è materiale (in ciò è del tutto simile alla Form della Formbestimmung che così spesso ricorre nei Grundisse); di conseguenza, (4) la conoscenza scientifica è possibile solo come realizzazione (non già come scoperta) di un principio.
A me tutto questo basta e avanza per veder gravare una pesante ipoteca di idealismo sulla «scienza» che si pregia di essere informata dal «materialismo dialettico», almeno per come la scienza è concepita da Popper in poi: ipoteca che diventa pesantissima a constatare che il «socialismo scientifico» si compiace di dare sacralità di dogma alle sue verità e assetto di chiesa militante ai suoi accoliti, riproducendo in modo assai inquietante le posture e le dinamiche che sono proprie delle religioni a impronta profetica e messianica.

[segue]

63 commenti:

  1. Come scritto negli interventi precedenti, non c'è nulla di normativo nella teoria scientifica di Marx del Capitale. Il meglio da leggere sul tema è Christoph HENNING, Philosophy After Marx. 100 Years of Misreadings and the Normative Turn in Political Philosophy, Chicago 2015. L'equivoco fondamentale, prescindendo da Henning, sta nella confusione tra materia ed empirismo. La materialità di Marx sta nel fatto che le forme di cui parli derivano dalla prassi.

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    1. Prescindendo da Henning, come lei concede, quando Engels parla di "anima razionale del mondo fisico", lei come lega l'elemento trascendente che sta in "anima" a quello immanente che sta in "mondo fisico"? A me pare evidente che alla struttura legisimile dell'ordine naturale debba necessariamente farsi congrua una dimensione epistemologico-ontologica di schietta impronta normativa. E che "scienza" è - aderendo a quest'ordine di congruenza - quella che non faccia proprie le norme che crede di poter leggere nel mondo come eterne ed immutabili? E' una scienza senza fini. Non così quella "scienza" che nel suo oggetto di studio - chessò, il divenire storico - riesce a cogliere l'unidirezionalità del progresso umano in vista di una finale lisi delle contraddizioni, in una finale estinzione di ogni ingiustizia e di ogni dolore. Questa "scienza" ha da essere giocoforza normativa, perché ha per orizzonte una meta pre-stabilita: scopre ciò che cerca, e cerca ciò che scopre.

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  2. Tra parentesi, se vuoi te lo passo che ce l'ho anche in pdf. Come pure, se ti interessa la seconda questione (piuttosto nota peraltro), ovviamente c'è il classico (se non lo hai già letto) di Alfred Sohn-Rethel, Geistige und körperliche Arbeit. Zur Epistemologie der abendländischen Geschichte. Questo però ce l'ho solo in tedesco. E' stato tradotto anche in italiano, non so come, quindi magari fai prima a trovarlo così se preferisci. Si chiama tipo Lavoro intellettuale e lavoro manuale, non so il sottotitolo

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    1. AlfredSohn-Rethel ce l'ho in italiano (Lavoro intellettuale e lavoro manuale: per la teoria della sintesi sociale - Feltrinelli, 1977). Mi manca l'Henning, e mi farebbe piacere leggerlo: se non è di troppo disturbo, luigicastaldi@gmail.com. Grazie in anticipo.

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    2. Te l'ho appena inviato per email. Dopo leggo la tua risposta. Un saluto.

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  3. «determinazioni formali non percepibili che strutturano e unificano la realtà empirica». Al ché l'immaterialista che sono diventato si domanda: ma la realtà empirica non è già la forma determinata della sensazione "formale" della materia? Comunque il marxismo è una fede perché è una fede che l'umanità sarà più felice una volta messi in comunione i mezzi di produzione, e chi me lo garantisce? Questo se il fine è la felicità. Se il fine invece è la "giustizia", la giustizia è un sentimento opinabile quanto i gusti del gelato.

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  4. Ma immaterialismo nel senso di Graham Harman e Markus Gabriel, no spero :)

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    1. Mi limito a rilevare che quando facciamo esperienza della cosiddetta materia siamo pur sempre alle prese con la sensazione della materia, come diceva il Berkeley. La sensazione non dice nulla di incontrovertibile sull'esistenza di un mondo materiale in sé, altrimenti si ricade nel kantismo.

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    2. Certo. Ma c’è una premessa non detta nell’idealismo di Berkeley, come in ogni idealismo moderno, una premessa a cui Marx accenna, pur senza approfondire, nelle tesi su Feuerbach e nei lavori precedenti di critica hegeliana laddove contrappone ad esempio lavoro manuale e intellettuale – quindi facendone una questione politico-epistemologica. È la premessa che eleva l’esperienza contemplativa a paradigma dell’esperienza, a discapito dell’esperienza pratica. Nei termini del realismo critico (o ontologico) britannico degli anni Novanta, tuttavia: “if practical experience were foregrounded, idealism would be avoided because a reality that is independent of our ideas is intrinsic to practice in a way that it is not intrinsic to contemplation. One can, if one is weird enough, wonder whether the bike one sees is real or a hallucination; one cannot do the same with the bike one rides. This is also implicit in Heidegger’s critique of the Cartesian heritage in philosophy: not ‘I am conscious therefore I am’ but, in effect, ‘I fix a shutter with a hammer, therefore the world is’”. (Andrew Collier, In Defence of Objectivity and other Essays. On Realism, Existentialism and Politcs, London-New York 2003, p. 146)

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    3. Therefore the world is anche limitandosi al dato dell'esperienza, chiamiamola così, "contemplativa". Non è che se non posso avere certezza di un mondo materiale in sé il mondo che abbiamo davanti è un nulla. La bicicletta si guida anche sognando. Un mondo sognato, per ipotesi, "è" pur sempre e comunque. Io penso che il vero pregiudizio sia pensare che esista un'esperienza prima, quella pratica de lavoro manuale, che sia più reale di un'esperienza seconda, quella "contemplativa" del pensiero tout court. Non trova?

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    4. Chi direbbe mai che fare sia più reale di pensare? Non lo è, certamente. C'è non a caso un pagliaccio tedesco di nome Markus Gabriel che del portare all'estremo quest'ovvia considerazione ne ha fatto una carriera, predicando che gli unicorni sono reali quanto la forza di gravità. Del resto, se a sinistra si è provato a sdoganare tutti i conservatori, era da aspettarsi che prima o poi sarebbe toccato anche a Schelling. Circa i pregiudizi di cui parla, non me ne preoccuperei più di tanto. È un tratto fondamentale della filosofia moderna che trascura il valore epistemologico dell’attività pratica. Da questo derivano non solo idiozie (tipo quando Hume sostiene che non faremmo esperienza della causalità). Ma anche un’attenzione fortemente selettiva che pone al centro certi temi e problemi a discapito di altri. Intendo con ciò che, si trattasse anche di un pregiudizio, la priorità cognitiva, non ontologica, dell’attività pratica non è affatto diffusa tra i filosofi. L'opposto, ossia l'idealistico primato della contemplazione sì. E non capisco la ragione per cui il termine andrebbe virgolettato, poiché anche il pensiero che indaga il suo stesso funzionamento à la Berkeley si fa appunto spettatore delle sue stesse operazioni. Dovesse capovolgersi un giorno tale gerarchia, a quel punto valuterei volentieri insieme a lei quali storture si annidino in quell'ordine invertito. Ma è proprio il fatto che quella gerarchia epistemica si fonda su certe gerarchie sociali che ne rende prioritaria la critica. Non si tratta tanto di capire che il primato della contemplazione derivi dal fatto che i filosofi non lavorano di martello (il che è pur certamente vero). Anche perché non è la divisione del lavoro da cui derivano feticismo, reificazione, alienazione (come in alcune letture socialdemocraticheggianti contemporanee à la Heinrich). Il punto è che il feticismo di cui trattiamo quando opponiamo fenomeno e noumeno, pensiero ed essere, epistemologia e ontologia, non ha luogo per un errore della coscienza (qui la scuola di Francoforte, nella misura in cui ri-trascendentalizza la questione ha colpe enormi). Il punto di Marx è che quella reificazione (o feticismo) avviene in ragione dell’appropriazione capitalistica, ossia nel disempowerment del lavoro. Non si tratta analogamente di raddrizzare il pensiero, bucare lo schermo ideologico delle apparenze, delle illusioni, delle allucinazioni e accedere alla realtà per com’è “in sé”. Questa cagata di idea, che va dai Giovani Hegeliani e arriva fino alla serie televisiva Black Mirror, è l’ennesima permutazione di quello che giustamente tu chiami kantismo (che io chiamo idealismo). Pone nuovamente la differenza tra pensiero e essere, seppur mossa da intenti terapeutici e liberatori (è quel lato dell’hegelismo che Engels nell’opera interpretata dal Castaldi chiama rivoluzionario, o fodera rossa). Purtroppo tanti marxisti (occidentali) ci sono ricascati in questa ingenuità magico-linguistica. Ho parlato troppo e sono uscito dai ranghi. Sono certo che mi ci riporterai se vorrai proseguire il discorso. Ma come dicevo ieri, mi paiono discorsi inutili. Perché se a uno gli piace Berkeley, ben venga. Marx l’ha scritte le sue cose. E non mi paga nessuno per divulgarle (male tra l’altro). Da cui la necessità del partito, non tanto per combattere il capitalismo, ma perché qualcuno mi pagherebbe per questo sporco lavoro. Sporco lavoro che farei tra l’altro molto meglio, con più competenza e fervore, se di mezzo ci fossero dei verdoni in ballo.

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    5. Non ho capito dove stiamo andando a parare infatti, però su un punto siamo d'accordo, sui verdoni. Poi non è il fatto che se mi piace Berkeley allora cerco di ricondurre la ragione a lui, si ragiona e il ragionamento finisce sui temi trattati da Berkeley, escluso dio in cui non ho fede. Saluti.

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    6. Grazie della comprensione. Il tentativo era effettivamente di dire su Berkeley e rispondere al contempo all'obiezione di fondo che credevo di aver colto nel rimando a quell'autore. La performance non è stata delle migliori, non ho difficoltà a riconoscerlo. Vuoi per demeriti personali, vuoi per l'oggettiva ampiezza del tema. Se poi addirittura non sono chiare né la trama della divagazione né la traiettoria del ragionamento che ho provato a fare, le ipotesi naturalmente sono due. Bivio, questo, che certo non si trasformerà né in dubbio né in disperazione. Saluti a te.

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  5. Dove Engels parla di "anima razionale del mondo fisico"? Dove la scrive una cosa del genere? Ho googlato un po' ma non trovo il passaggio, che effettivamente a me suona curioso, se penso ad esempio alla Dialettica della Natura, dove caricaturizza un Haeckel propri in ragione del fatto che questo, travisando Hegel, distingue causa efficiens e causa finalis. Sulla giustizia, che come ben dici non è affatto il punto, citerò Engels: "social fairness or unfairness is decided by one science alone — the science which deals with the material facts of production and exchange, the science of political economy" (‘A Fair Day’s Wage for a Fair Day’s Work’, Labour Standard 1 (7.5.1881)). Veniamo a noi. "A me pare evidente che alla struttura legisimile dell'ordine naturale debba necessariamente farsi congrua una dimensione epistemologico-ontologica di schietta impronta normativa". Inizio a temere che ci sia un equivoco. Intendo per "normativo" l'utilizzo di concetti valutativi o assiologici. In questo senso, la scienza marxiana non è normativa. Se usato in questo senso, la tua frase non sta in piedi. Sospetto allora, anzi temo proprio che tu intenda qualcos'altro. Non è che usi "normatività" nel senso di ordine di leggi che regolano il funzionamento di un sistema? Se anche così fosse, e sarebbe un uso improprio, non capisco il senso di parlare di fini. Ordine legale e teleologia, Kant lo chiarisce molto bene nella prima Critica, non vanno di pari passo. Un equivoco del genere è tipico della 'vecchia metafisica', dice lui e dirà poi anche Hegel. Forse facciamo prima a trattare punto per punto. Dinne uno, io ne dico uno. Se necessario. Ma c'è chi ha scritto cose migliori delle mie su Marx, sinceramente. Quindi fossi in te, mi leggerei quelli invece che chiacchierare con me. Sul marxismo come fede e sulla necessità storica del socialismo, non intervengo nonostante tutte le provocazioni di questo mondo. Tra persone in gamba che sanno che non si trova nulla del genere in Marx ed Engels, esigo si rinunci a certi argomentucci :)

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    1. La locuzione che richiami è nel IV capitolo di "Ludwig Feuerbach e il punto d'approdo della filosofia classica", in cui si tratta della "rottura" che Marx ha operato rispetto all'idealismo hegeliano, giungendo alla singolare affermazione che "non ci si accontentò di mettere Hegel semplicemente in di­sparte, ma al contrario ci si ricollegò a quel suo lato rivoluzionario che abbiamo indicato sopra, al metodo dialettico". Lo si mette in disparte, e se ne tiene il meglio, cioè il peggio, quello che di Hegel fa un idealista? Boh, misteri di questo rivoluzionario materialismo che nella natura continua a intravvedere un'anima!
      A "normativo" non do "il senso di ordine di leggi che regolano il funzionamento di un sistema", ma proprio quello che implica "l'utilizzo di concetti valutativi o assiologi": in questo senso trovo "normativa" la "scienza" di Marx, ma, su questo punto e sugli altri di cui qui mi offri preziosi spunti, tornerò in 4., appena troverò un po' di tempo per sistemare in modo decente i miei materiali.

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  6. Sei un impostore :) Ho trovato il passo. Le virgolette che hai usato sono una truffa. Il passo recita: "Per Hegel la dialettica è l'autoevoluzione del concetto. Il concetto assoluto non esiste soltanto - non si sa dove - sin dall'eternità. Esso è anche la vera e propria anima vivente del mondo esistente". Sta chiaramente facendo la caricatura di Hegel, come fai a farla passare per un'idea di Engels?! Ho perso mezz'ora per questa cosa abominevole - la colpa non è tua ma di un mio amico che mi ha detto che questo blog era una cosa seria. Onestamente non mi aspettavo un uso tanto spregiudicato e direi anzi, con Berlusconi, "un uso criminoso" delle fonti. Inizio a intuire cosa vuoi dire - e mi auguro di no, perché nemmeno al livello del Bignami sarebbe d'uopo. Provo a sintetizzarti: Se la natura (o la società) funzionano secondo leggi, come Marx esplicitamente crede, e queste non sono intese come meri costrutti analitici ma come entità reali, allora per la teoria della corrispondenza il mondo possiede una struttura razionale e questo è idealismo. È questo che intendi? Se sí, suggerirei questo e qui però ci vuole davvero un atto di fede. Leggi tutto Henning e poi rifletti se scrivere il 3, il 4 o metterti a studiare certe cose in profondità. Secondo me trovi temi migliori che svelare l'idealismo segreto di Marx. L'atto di fede sta nel darmi retta che quello, tra le centinaia di lavori su sti temi che ho letto, è il miglior lavoro su Marx da decenni a questa parte. Io non capisco un cazzo, ma Henning sí. E uno più sveglio di me, tu certamente, può trarne molto. Spero ti sia arrivato il file. Notte

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    1. Perché l'emoticon del sorrisetto accanto "sei un impostore"? Credi davvero che Engels "sta chiaramente facendo la caricatura di Hegel"? E allora ci sta bene "impostore", "uso criminoso delle fonti" e la cosetta del Bignami, senza inutili carinerie. In realtà, se del IV capitolo di "Ludwig Feuerbach e il punto d'approdo della filosofia classica" individui il vero fine, che è quello di presentare il materialismo dialettico come ultima meta del tormentoso cammino che ha infine portato il pensiero umano alla verità, non puoi fare a meno di notare l'ambiguità dei "sentimenti" verso Hegel: si pretende di aver chiuso in maniera definitiva i conti col suo idealismo, salvo poi farsi vanto di averne fatto propria la sua logica interna, seppur capovolgendola ("la dialet­tica hegeliana veniva raddrizzata, o, per dirla più esattamente, mentre prima si reggeva sulla testa, veniva rimessa a reggersi sui piedi"); per arrivare, infine, a ricapovolgerla, con l'affermare che "il corso della storia è retto da determinate leggi inte­riori" e che "il caso stesso è retto sempre da intime leggi na­scoste". Anche qui sta caricaturizzando Hegel? Anche qui ho fatto un "uso criminoso delle fonti"? Leggerò Henning, e come mi consigli mi asterrò dal continuare a postare sul "materialismo dialettico", perché - non ti sembrerà, ma fa niente - mi considero sempre in errore fino a prova contraria. Proprio al contrario dei guardiani della fede che stanno a sentinella del tempio :)

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    2. Estrapolare mezza frase per puntellare una propria tesi non è corretto. Interpretare la locuzione “intime leggi nascoste” con “leggi interiori”, è ancora più scorretto (per usare un amichevole eufemismo), tanto più dopo la lunga premessa che precede e chiarisce il pensiero di Engels, il quale conclude, nella versione italiana, così:

      “Ma laddove alla superficie regna il caso, ivi il caso è retto sempre da intime leggi nascoste, e non si tratta che di scoprire queste leggi.”

      Perciò, “intime leggi nascoste” non sta per misteriose, ineffabili e inafferrabili. Si tratta, appunto, di scoprirle, al pari di qualsiasi altra legge di natura.

      La traduzione italiana è quella che è, al solito. L’originale tedesco rende meglio l’idea:

      “... eine Aufgabe, die schließlich darauf hinauscläuft, die allgemeinen Bewegungsgesetze zu entdecken, die sich in der Geschichte der menschilichen Gesellschaft als herrschende durschsetzen [MEW, XXI, p. 296] .”

      “… un compito che infine culmina nella scoperta delle leggi generali del movimento che prevalgono come regola nella storia della società umana.”

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    3. Infatti non c'è nemmeno nell'originale quella cosiddetta "metafisica della profondità" su cui battono le cialtronerie degli epigoni di Derrida o Merleau-Ponty. Se le leggi dell'accumulazione capitalistica APPAIONO più intime o nascoste, non è perché esse agiscano più in profondità o in qualche sottosuolo metafisico rispetto ad altre forze. L'apparenza di 'intimità' è unicamente dovuta al fatto che l'umanesimo borghese tende a trattare le volizioni e i moventi degli attori come primarie forze motrici della dinamica sociale.

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  7. Certo che sta facendo una caricatura di Hegel. Non c'è equivoco sul punto. Una cosa è il punto di Engels. Un'altra è se uno è d'accordo o no, sia nel senso se legge bene Hegel o se cio che ne deriva sia condivisibile, che qui non ci riguarda. Il punto di Engels è che quelle leggi interiori (e questa è notoriamente non un'invenzione di Engels, ma di Marx, in relazione però all'economia, non alla storia) non sono quelle del concetto. Niente di più e niente di meno c'è in quella frase. L'interesse per le leggi di un sistema non vuol dire affatto l'adesione all'idealismo (o tanto meno, vesti che mi pare che batti su questo) alla teleologia! Poi, certo, che Engels (e Marx e Lenin) ritenga Hegel superiore a ciò che gli è succeduto non è un mistero. Non è però che siccome Charlie Parker ammira e studia Bach, vuol dire che fa musica classica no? Poi c'è un ovvio discorso di contesto. Engels riprende Hegel perché quello scritto è rivolto contro la ripresa nel movimento operaio di quel tempo di letture Feuerbachiane tinte di Comtismo. Recuperare Hegel serve a ridimensionare l'innovazione di Feuerbach. Circa la verità, Engels dice nel Feuerbach a più riprese che la forza della dialettica è proprio di aver rivelato che verità eterne non ce ne sono e banalità del genere. Se poi mi dici che Engels è un po' troppo meccanico nel capovolgere Hegel e pare voler applicare la dialettica alla materia come Hegel la applicava al concetto, ok. E possiamo dare la colpa a Engels di aver con ciò trasformato il marxismo in una Weltanschauung. Ma, vedi, sono inezie. Per l'ovvio motivo che non è che in Unione Sovietica o nella Cina comunista il partito stava a badare a quanto hegelismo c'è in Marx. Si trattava di far funzionare l'agricoltura, trovare i soldi per gli aiuti allo sviluppo ai paesi del terzo mondo e altre questioncine del genere. Analogamente, ci vuole un idiota per dire che i caratteri del sistema politico sovietico (la teoria del totalitarismo è una delle più grosse volgarità occidentali in guerra fredda) derivasse dal fatto che quella marxista è una Weltanschauung. Pensare che il pensiero di qualcuno influisca sull'assetto politico di uno stato di un secolo successivo è da idealisti, ma di quelli confusi. Saremo d'accordo su questo. Ma i borghesi ovviamente ragionano così (non mi interessa se per propaganda o sincera stupidità). Non avevano già detto forse che il Terrore giacobino veniva dall'immaginario temporale che traspariva ad es. dalla costituzione del 1793? Questo tipo di storia delle idee non ha senso. E nemmeno in ragione della preferenza tra "idealismo" e "materialismo", ma perché in quel momento la Francia era in guerra. Ed è facile che il terrore venisse da lì piuttosto che da certe idee.

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    1. "E possiamo dare la colpa a Engels di aver con ciò trasformato il marxismo in una Weltanschauung. Ma, vedi, sono inezie."

      scusi, sono inezie in che senso ? Il tema della discussione mi pare fosse stabilire se il materialismo dialettico possa vantare lo statuto di scienza e se abbia delle pretese valutativo-assiologiche. Ora può essere mai concepibile una Weltanschauung che non abbia di queste pretese ? E che Weltanschauung è ? Ma c'è un altro problema più grosso. Parlare di Engels senza interpretarlo (e quindi senza prestare il fianco all'accusa di inquinare le fonti ) è impossibile perché (mi perdoni, è una mia opinione) l'unica alternativa possibile sarebbe quella di considerarlo semplicemente un ciarlatano che dice cose insensate. Quindi se di fronte ad un'opera come "La dialettica della natura" uno lo accusa di animismo è un modo per nobilitarlo, per dargli la possibilità di essere criticato. Dicevo, è una mia opinione personale, ma posso provarla. Si prenda un qualunque testo di Engels, si sostituiscano le parole "natura" con la parola "fisica quantistica", "società" e "leggi sociali" con "psicologia individuale" e "leggi dello sviluppo pschico individuale". Si sarà inevitabilmente costretti ad ammettere due cose un po' inquietanti: che la struttura logica del testo non ne risente affatto e che il testo sembra partorito ieri dalla penna di uno degli innumerevoli guru che promettono cose come "la rinascita personale attraverso l'impiego dell'energia quantica etc". Questo se si vuole essere intellettualmente onesti, se no si può sempre continuare a dire che Engels è stato un grande pensatore che ha detto delle cose fondamentali etc. Però è un peccato, perché in questo modo voi neutralizzate politicamente Marx se costringete chiunque voglia approcciarlo a bersi anche il materialismo dialettico.

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    2. Avevo capito male, allora. Il mio tema era se il Capitale di Marx sia un'opera di filosofia politica normativa o piuttosto scienza nel senso weberiano (sottolineo nel senso weberiano, e non nel senso della fisica newtoniana). La mia posizione era che è quest'ultima. Qui finisce la mia posizione. Nel dibattito, per altro verso, l'ho scritto io che Engels forza un po' Marx nel senso weltanschaulich (ma manco più di tanto, e certamente non più di quanto sia accaduto ad altri teorici sociali). Trovo la questione irrilevante perché non credo che il socialismo reale abbia attuato programmi economici derivati dalla Dialettica della Natura. E penso sia nota a tutti i convenuti la cautela delle tarde lettere degli anni 1890-5 ai giovinastri del partito sul materialismo storico nonché le tante asserzioni precedenti circa il suo ruolo di teorico (vedi oltre alla fine di questo intervento). Non ci trovo infine nulla di strano nel fatto che un po' di catechismo faccia parte della vita di ogni partito. È semmai interessante analizzare quali contenuti dell'opera di Marx vengano enfatizzati e quali finiscano invece sulle sfondo nei vari catechismi socialisti (dal crollismo della Seconda Internazionale che evocate tanto spesso all'opposto primato della politica della Terza a cui evidentemente non sapete di richiamarvi perché vi fidate della caricatura che del marxismo sovietico fa il marxismo occidentale definendolo determinismo economico. Non mi dilungo su questo perché ho studiato il socialismo tedesco-orientale, in particolare come veniva insegnato il marxismo negli istituti di formazione dei quadri sindacali, e so che gli unici deterministi economici nei paesi est-europei sono i dissidenti proprio per opporsi alla statolatria che naturalmente si accorda alla tesi leniniana del primato della politica). Tra i tanti articoli di fede, il più scemo mi pare peraltro proprio la tendenza fieramente eterodossa del marxismo occidentale (tutti si autostilizzano come grandi innovatori, originali interpreti di Marx ecc.). Qui il canone estetico è offerto dal genere letterario della biografia borghese. Infatti il marxismo occidentale è una roba esclusivamente da accademici. Questa gente non sta nei partiti. E fare il socialismo con gli articoli sulla New Left Review o simili consessi è dura - non penso a Colletti, che si occupa di cose veramente irrilevanti e che è noto a pochi nei civili paesi industrializzati, penso a E.P. Thompson, Castoriadis, Mouffe e Laclau, Lyotard, Deleuze/Guattari ecc. La cosa che proponi di sostituire in Engels certe parole con altre non la capisco. Limite mio, sia chiaro. Per concludere, su Engels mi fido di lui ciecamente. In particolare quando scrive che "da quando abbiamo perso Marx, il guaio è che io lo devo sostituire. Per tutta la mia vita io ho fatto ciò per cui ero stato creato, ho suonato cioè il secondo violino. (...) Se ora devo improvvisamente prendere il posto di Marx in questioni di teoria e suonare il primo violino, ciò non può avvenire che con grande riluttanza" (Lettera a Becker, MEW 36: 218). E ancora, altrove: "In seguito alla divisione del lavoro esistente fra Marx e me, è toccato a me il compito di presentare le nostre vedute nella stampa periodica, e quindi specialmente nella lotta contro le vedute avverse cosicché a Marx restasse il tempo per l'elaborazione della sua grande opera principale. Io mi sono trovato dunque nella situazione di dover esporre le nostre concezioni per lo più in forma polemica, in contrapposizione ad altre" (MEW 18: 650). Perché vi prema tanto discutere su Engels, tanto più nella totale indifferenza verso le occasioni politiche da cui derivano i testi, non capisco proprio. Viva Hegel e a morte i Savoia

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    3. grazie della risposta. Comunque penso che tu mi sopravvaluti, io non sono un teorico del marxismo né qualcuno che vuole avanzare una propria interpretazione marxista. Io sono un profano (cioè sto fuori dal tempio), a cui interessa indagare le possibilità di utilizzazione politica di Marx nell'attualità e secondo gli usuali canoni democratici, che tu forse definiresti borghesi. Poi è vero che sono anche affascinato dal modo di essere e di comunicare di coloro che si professano marxisti o studiosi di Marx, ortodossi o eterodossi che siano. Non capisco bene il perché di questo fascino, però non posso fare a meno di notare ogni volta che mi capita di comunicare con uno di questi le incredibili assonanza che riscontro con fatti, idee, forme, della tradizione religiosa. Tu dici di fidarti completamente di Engels. Bene, non è quel ciecamente che mi colpisce. Mi colpisce il fatto che Engels sia morto e che tu ti fida ciecamente di una persona che non c'è più e a cui non riconosci nessuna particolare qualità se non quella di aver riportato più o meno fedelmente il pensiero di Marx (che chissà perché poi ha pubblicato in vita solo il primo del capitale ). Questo mi porta irresistibilmente a pensare a nostro Signore che non ha lasciato niente di scritto ma che poi ha fortunatamente trovato un apostolo che lo facesse conoscere alle genti. Ma si potrebbero fare mille esempi di queste strabilianti consonanze di forma.

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    4. Come si insegnava anche in Germania Est, tutti dentro per combattere il padronato. Anche gli spiriti religiosi, gli artisti, i borghesi, tutti quanti insieme. Poi, certo, se poco poco va bene, fanno bene a far le valigie. Si scherza, naturalmente. Non c'è nessun problema con la religione, né lo ha Marx. Quando dicevo di Engels, dico che mi fido ciecamente di come lui ammetta di non essere il teorico dei due. A Engels certo che riconosco qualità. Sul perché Marx abbia impiegato 22 anni a pubblicare il solo primo libro, questo è un punto decisamente importante, secondo me più importante di tutti quelli toccati finora. E soprattutto sapere che ci ha messo tanto tempo spiega pure che non è facile liquidarlo (o incensarlo) in poche righe. La lunga gestazione ha peraltro a che fare con un altro punto che tocchi, secondo me ancora più intelligentemente - a riprova del fatto che se si esce dalla filosofia liceale e si parla di vita e pratica e realtà si ragiona meglio. Marx è un borghese. Sul che mi aspetto il tuo parallelo che Cristo è un ebreo. Ebbene, Marx è un borghese radicale che realizza i limiti del radicalismo borghese. E tra questi limiti il primo è proprio l'idealismo. C'è la famosa prefazione a Per la Critica dell'Economia Politica in cui racconta questa realizzazione (la trovi qui, è una facciata, https://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1859/criticaep/prefazione.htm Quella realizzazione è dolorosa, ovviamente. Significa fare autocritica. Autocritica dell'ideologia. Ossia non satira (che guarda da un piedistallo a un mondo che deride e da cui si distingue, appunto la sinistra borghese che conosciamo) dell'ideologia. Ma critica, ossia: io in quel mondo ci sto in mezzo. E quell'ideologia che critico è la mia pure. Io in quel mondo ci sto in mezzo significa pure quello che il realismo critico inglese chiama "concept-dependence", ossia l'interdipendenza causale tra scienza sociale e il suo oggetto. E da qui la realizzazione che i concetti che usiamo dipendono in parte dalla società in cui viviamo, o come la mette Marx "non è la coscienza a determinare l'essere". O come diceva Guzzanti profeta di Quèlo: "la risposta è dentro di te. Ma è sbagliata". È sbagliata nel senso che è imbricata in quelle strutture di potere che connotano il sociale. Da qui il proposito di una critica dell'economia politica (ossia della scienza economica borghese), che infatti è il sottotitolo del Capitale. Ma falla tu la critica di qualcosa che nel mondo in cui vivi appare come natura. E allora, nonostante gli innumerevoli richiami di Engels 'dai, muoviti, c'è bisogno del libro, anche se ci sono degli errori non fa niente, gli asini (i professori di economia) non li trovano' ecc., ci vogliono sì 22 anni. Da profano ma grande curioso di patristica cristiana, pure da Cristo ad Agostino del resto passa qualche secolo per definire la natura umana e divina al contempo di quello - il compito non è facile. C'è un aneddoto carino. Capitale 1 (la prima edizione, che poi rimodificherà) esce nel 1867. Nel 1847, Marx aveva già un editore presso cui pubblicare la sua progettata Critica dell'Economia Politica. Io mi sono letto le lettere. Gli dice continuamente: qualche mese e abbiamo finito - analogamente, arrivato a Londra nel '51 se non sbaglio scrive a Engels che "in cinque mesi" avrebbe risolto "con la merda economica". Ma torniamo all'editore. A un certo punto la polizia prussiana gli arriva nella stamperia a perquisire. Allora l'editore improvvisamente inizia ad avere remore circa il carattere "scientifico" dell'opera. Chiede a Marx: siamo sicuri che è scientifico? Marx gli risponde grosso modo: certo, è scientifico, sebbene non nel senso del governo prussiano.

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    5. "non è la coscienza a determinare l'essere"

      sì ma è la coscienza a determinare le forme in cui l'essere appare alla coscienza. Cioè a dire coscienza ed essere, soggetto e oggetto stanno sempre di fronte nella loro irriducibile separatezza. Nessuno dei due può essere ricavato dall'altro. E' questo il vero idealismo, come spiega bene Schopenhauer, non l'idealismo classico tedesco che prefigura sempre in un modo o nell'altro la coincidenza tra soggetto ed oggetto. Chi è il soggetto della scienza weberiana (come la chiami tu) del Capitale ? La società. E chi è il suo oggetto ? La società stessa. E' per questo che Costanzo Preve (che tu non apprezzi molto) pone Marx come il terzo grande idealista dopo Fichte ed Hegel.
      In ogni caso credo che si possa essere d'accordo sul fatto che Marx non ha mai coerentizzato, in prima persona, il suo pensiero. D'altronde è impossibile coerentizzare un pensiero che si vuole determinato dal suo oggetto che si pone a sua volta per definizione come mutevole. Secondo me è questa la ragione vera che ha impedito a Marx di pubblicare nient'altro che il primo libro, non è stata la paura di "compiere errori".
      Però se Marx non ha mai coerentizzato il marxismo invece Engels sì! Non dico che non avesse le sue buone ragioni per farlo (fornire un'ideologia alla classe proletaria in apparente irresistibile ascesa), però di fatto quando parliamo di marxismo come fenomeno che agisce ed è visibile nella storia noi stiamo parlando dell'opera di coerentizzazione svolta da Engels. Con ciò non nego che si possa idealmente postulare una forma di marxismo non riconducibile totalmente all'opera Engels ma idealmente ricostruibile anche dall'opera di Engels. Ma per farlo, scusa il bisticcio di parole, è necessaria una considerevole dose di idealismo (classico tedesco). In ogni caso però sarebbe faccenda solo per teorici e studiosi professionisti di Marx.
      Io sono estremamente lontano per competenze ed interessi dall'essere uno di questi e non mi resta che divertirmi scovando analogie formali tra il marxismo come fenomeno storico e la tradizione giudaico-cristiana. Secondo me la nascita del capitalismo (nell'immagine che del marxismo è passata nell'immaginario colletivo) è assimilabile alla chiamata di Abramo. Abramo, poverino, se ne sarebbe stato anche tranquillo lì dov'era e invece no, bisognava per forza sviluppare 'ste benedette forze produttive. E cosa promette infatti Dio in ricompensa ? Mica la felicità, promette una discendenza numerosa "come le stelle". E vabbè, ci mettiamo in marcia. I successi indiscutibilmente arrivano (in mezzo ad atroci sofferenze) però ad un certo punto ci rendiamo conto che qualcosa non funziona più. I successi ad un certo punto finiscono e lasciano il posto ad un periodo di stagnazione materiale, spirituale e alla perdita stessa dell'autonomia politica. La politica (che una volta era l'attività che connotava l'uomo libero) diventa farsa, bugia, inganno. Ci vuole un salvatore! Ma un salvatore non può nascere dal nulla, deve appoggiarsi ad una tradizione per rinnovarla e, nel caso, anche capovolgerla. Si vede dunque come l'idealismo di Hegel abbia la stessa funzione, nell'economia del racconto soteriologico, dell' Antico Testamento. Bisogna però anche fare attenzione ai "falsi profeti" (i socialisti utopistici). Il salvatore (Marx) arriva, arriva anche il suo apostolo (Engels) Dunque arriverà sicuramente la salvezza. Sì ok, ma quando ? Questo lo sa solo Dio, quindi abbiate fede, lavorate alacremente nella vigna del signore e vegliate perché non sapete né il giorno né l'ora.

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    6. PREFAZIONE

      Caro amico, ci sono tante belle cose nel tuo intervento. Sui parallelismi con la religione, non mi soffermo perché in storia delle idee va bene tutto e non toccano comunque il senso teorico del lavoro di Marx. Prometto che sarà il mio ultimo intervento su questi temi. L’unico motivo è il timore di tediarti. Anzi, l’altro timore è di essere ridicolo. Il ridicolo risiede in questo. Siccome è l’ultimo intervento, cercherò di essere preciso. E qui sta l’oscenità dell’impresa. Poiché è ovvio che non si può parlare di certe cose in questa forma e su un blog. Sui blog si può parlare a cazzo di cane, far pensieri estemporanei, satirici, provocatori, aforismi e simili. E non c’è niente di male in questo.

      Ma trattare temi del genere in questo formato, laddove sarebbero invece richiesti continui chiarimenti, rimandi alle fonti, illustrazioni per la metà delle parole che stiamo usando, è un’operazione ridicola, da idiota esattamente nel senso greco di idiotes, un individuo isolato dalla polis. Uno che non capisce le regole d’ingaggio, le etichette, e i contesti in cui si trova. Un idiota radicale anzi, che è molto peggio. Un idiota radicale nel senso di Zizek, da cui traggo due esempi da parti diverse della sua opera (che credo vi piacerebbe molto, tra l’altro) per illustrare cosa intendo per oscenità. Il primo esempio è quello del buon soldato Švejk tratto dal romanzo di Jaroslav Hašek che, “when he saw soldiers shooting from their trenches at the enemy soldiers, ran into no-man’s land and started to shout: ‘Stop shooting, there are people on the other side!’” (Slavoj ŽIŽEK, Less Than Nothing: Hegel and the Shadow of Dialectical Materialism, London 2012).

      L’altro esempio è quello appunto dello studente radicale esteuropeo sotto il comunismo (l’equivalente dei nostri sessantottini, figura assolutamente aproblematica per i regimi esteuropei che ne capivano la totale innocuità e li tollerava). Siamo all’indomani di un’elezione nella Jugoslavia degli anni Ottanta e, Zizek racconta in una conferenza, c’è la riunione della redazione giornale universitario per decidere il da farsi. “We at the journal asked ourselves: what should we do? Some radical idiot proposed ‘why don’t we simply do a heroic gesture? Let’s publish an issue of this journal in which we claim that these were not free elections, a fake, and so on’. Ok, we said, but everybody knows this. What would be the point? We would just appear idiots”. Sebbene esuli dall’illustrazione, vale la pena ricordare il gustosissimo titolo a caratteri cubitali per cui optò infine la redazione, destando sì le furie dei burocrati.

      “LATEST ELECTION RESULTS
      It looks like the Communists will remain in power”

      (L’aneddoto è narrato in: Slavoj ZIZEK, What does it mean to be a great thinker today? (prolusione presso l‘Institut für die Wissenschaften vom Menschen in Vienna il 5/5/2015). https://www.youtube.com/watch?v=-MoLdQA7aSg (1:13:30).

      Spero di aver chiarito perché sarà il mio ultimo intervento. Non piace a nessuno sentirsi idiota come il buon soldato Svejk e il sessantottino jugoslavo, no? Certamente non piace a un marxista. L’intervento è diviso in due parti perché troppo lungo. Me ne scuso come mi scuso per tutto il resto. Da qui in poi, però, ridicola e inappropriata serietà teutonica per noi. Via.

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    7. PRIMA PARTE
      Secondo Marx, le forme in cui appare l'essere non le determina la coscienza. L'equivoco di Preve, anzi lasciamo perdere Preve. L’equivoco delle letture idealistiche risiede proprio in quanto segue. Non deve dircelo Schopenhauer che l’essenza dell’idealismo risiede nella separazione tra soggetto vs. oggetto. L’idealismo moderno nasce con Descartes e in Germania è Kant a importarlo. Siccome è stato nominato su questo blog, passa per Berkeley e tanti altri nomi. Se si accetta quella premessa idealistica, e anche la teoria della corrispondenza come unica possibile fondazione epistemologica (e anche questo non possiamo più darlo per scontato), avresti ragione tu. La società è qui oggetto e soggetto, la validità teorica dunque deriva dall'identità tra i due termini.
      Il punto di Marx, però, sta proprio nel negare la validità di quella premessa, nel negare la separazione. Ti do ragione sul fatto che non ne ha fatto un trattato sopra e che i suoi schiarimenti filosofici sul tema, pubblicati per la prima a Mosca nel 1932 col titolo di Ideologia Tedesca, testo fortunatissimo nel marxismo occidentale (penso agli “Spettri di Marx” di Derrida a inizio anni Novanta, che si concentra proprio su quello scritto) e di solo modesta portata filosofica lui li abbandonò notoriamente volentieri alla “critica roditrice dei topi” per la ragione che erano serviti al loro scopo, appunto chiarirsi le idee. Ma nelle tesi su Feuerbach (pubblicate per la prima volta in appendice al testo engelsiano preferito dal Castaldi) si accenna direttamente al problema della separazione tra soggetto e oggetto del conoscere. Nella prima delle tesi, Marx annota: "Il difetto principale di ogni materialismo fino ad oggi, compreso quello di Feuerbach, è che l'oggetto, il reale, il sensibile è concepito solo sotto la forma di oggetto o di intuizione; ma non come attività umana sensibile, come attività pratica, non soggettivamente".
      Ci sono oltre testi precedenti, quelli di critica hegeliana, dove Marx capisce da dove viene quella premessa, che dunque da mero problema tecnico per filosofi viene posto come problema teorico-politico. La premessa non detta di ogni idealismo (ripeto: da Descartes a Kant), è la contrapposizione tra lavoro manuale e intellettuale. La premessa idealistica (la separazione soggetto/oggetto) eleva l’esperienza contemplativa a paradigma dell’esperienza a discapito dell’esperienza pratica. Nei termini del realismo critico britannico degli anni Novanta, tuttavia, se si procedesse diversamente, ossia (traduzione italiana, se occorre, in fondo all’intervento) “if practical experience were foregrounded, idealism would be avoided because a reality that is independent of our ideas is intrinsic to practice in a way that it is not intrinsic to contemplation. One can, if one is weird enough, wonder whether the bike one sees is real or a hallucination; one cannot do the same with the bike one rides. This is also implicit in Heidegger’s critique of the Cartesian heritage in philosophy: not ‘I am conscious therefore I am’ but, in effect, ‘I fix a shutter with a hammer, therefore the world is’” (Andrew Collier, In Defence of Objectivity and other Essays. On Realism, Existentialism and Politcs, London-New York 2003, p. 146.). Il rimando è chiaramente al passaggio di Essere e Tempo: “Quanto meno il martello è oggetto di contemplazione, tanto più adeguatamente viene adoperato, e tanto più originario si fa il rapporto a esso”. E l’esperienza pratica di cui stiamo parlando non ha nulla a che fare con il pragmatismo o con l’empirismo di Hume, che pure accettano la premessa idealistica. Se questa osservazione su Hume stupisce, si pensi che già solo chiamare il mondo ‘empirico’ lo riduce a oggetto di esperienza. FINE PRIMA PARTE.

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    8. SECONDA PARTE.
      E veniamo al merito della tesi. Dire che le forme della coscienza sono determinate dalla coscienza significa non aver letto Marx. Poiché la sua è precisamente una scienza delle forme, lo diceva il Castaldi bene peraltro, riguarda la determinazione formale. È della forma valore, ad esempio, che si occupa nel primo capitolo del Capitale. E però quelle forme non derivano dalla coscienza, cavolo. Né sono mere forme coscienziali. È questo il punto più difficile ma anche più saliente di Marx. Lascio da parte la questione del lavoro astratto, perché sarebbe troppo lunga, mi sottolineo che Marx non intende per astrazione un procedimento cognitivo, bensì un processo reale. Un’astrazione reale. È analogamente questo il significato di alienazione. Le forme della coscienza derivano dalla prassi. L’oggettivazione del mondo (ossia la sua riduzione a oggetto di conoscenza) discende dalla destituzione del lavoro nella struttura sociale capitalistica. Il lavoro, che è come il mondo viene prodotto, è alienato perché il valore che esso produce è appropriato da una classe altra. È l’alienazione del lavoro che determinata la reificazione del mondo che autorizza la premessa idealistica.
      Il che ha almeno una conseguenza fondamentale. Sarebbe bello se illusioni, capovolgimenti della realtà, allucinazioni venissero dalla coscienza, se l’alienazione fosse un problema mentale. Basterebbe a quel punto rettificare il pensiero, bucare lo schermo distorcente e guardare attraverso. Questo è Hegel, non Marx. Sono le forme, non i contenuti della coscienza ad essere determinati. Chi non capisce questo (non dico tu, dico certi interpreti) riprende Hegel. Marx lo dice chiaro che non si tratta di vedere attraverso le sembianze. Ci apre l'Ideologia Tedesca, che ripeto essere un testo a dir poco iperidealista e giustamente disconosciuto dal suo autore, ma il senso è chiaro, cazzo.
      "Finora gli uomini si sono sempre fatti IDEE FALSE (enfasi mia, FC) intorno a se stessi, intorno a ciò che essi sono o devono essere. In base alle loro idee di Dio, dell’uomo normale, ecc. essi hanno regolato i loro rapporti. I parti della loro testa sono diventati più forti di loro. Essi, creatori, si sono inchinati di fronte alle loro creature. Liberiamo dalle chimere, dalle idee, dai dogmi, dagli esseri prodotti dall’immaginazione, sotto il cui giogo essi languiscono. Ribelliamoci contro questa dominazione dei pensieri. Insegnammo loro a sostituire queste immaginazioni con pensieri che corrispondano all’essenza dell’uomo, dice uno; a comportarsi criticamente verso di esse, dice un altro; a togliersele dalla testa, dice un terzo, e la realtà ora esistente andrà in pezzi.

      QUESTE FANTASIE INNOCENTI E PUERILI formano il nucleo della moderna filosofia giovane-hegeliana, che in Germania non soltanto accolta dal pubblico con orrore e reverenza, ma è anche messa in circolazione dagli stessi eroi filosofici con la maestosa coscienza della sua criminosa spregiudicatezza. Il primo volume di questa pubblicazione ha lo scopo di smascherare queste pecore che si, credono lupi e che tali vengono considerate, di mostrare come esse altro non fanno che tener dietro, con i loro belati filosofici, alle idee dei borghesi tedeschi, come le bravate di questi filosofici esegeti rispecchino semplicemente la meschinità delle reali condizioni tedesche Essa ha lo scopo di mettere in ridicolo e di toglier credito alla lotta filosofica con le ombre della realtà, che va a genio al sognatore e sonnacchioso popolo tedesco.

      Una volta un valentuomo si immaginò che gli uomini annegassero nell’acqua soltanto perché ossessionati dal pensiero della gravità. Se si fossero tolti di mente questa idea, dimostrando per esempio che era un’idea superstiziosa, un’idea religiosa, si sarebbero liberati dal pericolo di annegare. Per tutta la vita costui combatté l’illusione della gravità, delle cui dannose conseguenze ogni statistica gli offriva nuove e abbondanti prove. Questo valentuomo era il tipo del nuovo filosofo rivoluzionario tedesco".

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    9. CONCLUSIONE: CRITICA TRASCENDENTALE vs. CRITICA DELL’IDEOLOGIA

      Sono "fantasie innocenti e puerili" quelle dei giovani hegeliani, perché quelle "idee false" con cui Marx apre la prefazione non derivano appunto da un deficit cognitivo (che si supererebbe dialetticamente trapassando dalla certezza sensibile all'idea assoluta). Quelle idee false derivano da un processo materiale. È l'essere a determinarle. L'immagine ribaltata del mondo non è un difetto di prospettiva. È radicata nella struttura sociale. Analogamente, dunque, l'ideologia non è una cagata per dementi. È proprio, per riprendere i tuoi termini, la forma capitalistica della coscienza. Marx ammazza qui il soggetto trascendentale kantiano, lo storicizza materialisticamente. La critica trascendentale idealistica lascia il posto a quella dell’ideologia.
      Un’ultimissima notazione. Come in tutti i casi analoghi di cimento col pensiero borghese, però, non si ammazza l’universale kantiano per una sorta di piacere ribellistico. Sul soggetto trascendentale kantiano, è come se Marx dicesse: sarebbe proprio bello se ci fosse. Ma c'è un ostacolo al suo inveramento, il capitalismo.

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    10. beh, per me dire che "le forme della coscienza sono determinate dalla prassi" vuol dire semplicemente che non esiste una natura umana. Il che è legittimo ovviamente. Tranne che partendo da questo assunto si possono facilmente giustificare filosoficamente, moralmente e pragmaticamente i gulag e i lager. Se imponendo una prassi si può riuscire a cambiare le forme della coscienza la conseguenza è ovvia.
      Il che non significa ovviamente che i gulag e i lager sono conseguenza necessaria. I discorsi su contemplazione/esperienza e su lavoro manuale/lavoro intellettuale sono condivisibili se vengono intesi come semplici richiami. Ma è questo punto che trovo incomprensibile:

      "È della forma valore, ad esempio, che si occupa nel primo capitolo del Capitale. E però quelle forme non derivano dalla coscienza, cavolo. Né sono mere forme coscienziali."

      ma perché mai la forma valore dovrebbe essere una forma della
      coscienza ? Chi l'ha mai sostenuto ? Per forma della coscienza io intendo cose come il tempo, lo spazio, il principio di causalità. Direi anche la ragione ma non lo dico perché con Hegel il termine "ragione" assume connotati tali che è meglio evitare. Il paladino più acceso del capitalismo può sostenere che il capitalismo sia naturale, necessario, bello etc ma credo che nessuno mai abbia sostenuto che la forma valore abbia lontanamente a che fare con le forme della coscienza. Dedurre dal fatto che la forma valore domina l'economia (il ché è vero) che questa sia una forma della coscienza, è come dire che siccome gli esquimesi vivono in mezzo alla neve allora la neve è una forma della coscienza esquimese. Naturalmente so come si è formato l'equivoco. Marx vuole criticare la scienza economica classica
      non tanto o non in primo luogo dal punto di vista tecnico ma innanzitutto da quello ideologico. Per far questo estremizza la riduzione dell'economia classica dell'uomo a "homo oeconomicus" ed è
      come se dicesse: vedete che succede a prendere sul serio le premesse ideologiche dell'economia classica ? Succede che gli uomini si trasformano in connettori di valore, bisogna in qualche modo, assolutamente uscirne. Per provare ad uscirne c'era naturalmente un'altra via ed era proprio quella di partire dalla separatezza tra coscienza ed essere, propria dell'idealismo pre fichtiano, e rivendicare alla coscienza umana (non dell'uomo astratto, dell'uomo concreto, dell'operaio) un'autonomia. Naturalmente non si tratta di insegnare il mestiere a Marx, è possibilissimo che in quelle condizioni
      sociali e culturali questa fosse la mossa migliore. Ma riproporre ora la stessa impostazione mi chiedo davvero che senso abbia. In ogni caso è stato davvero un piacere parlare con te. Ciao.

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  8. E mi prendo anche volentieri il rimprovero di essere un dogmatico sacerdote del tempio. Perché il patetico culto dell'eterodossia nutrito dal meramente filosofico marxismo occidentale ha avuto conseguenze teoriche deleterie. Se uno si guarda l'intelligentsia di sinistra degli ultimi 50 anni, non a caso sono quasi tutti apostati marxisti. Non che contino un cazzo per le sorti del mondo, questi ciarlatani. Ma sicuramente non sono il mio partito. Se vuoi, ti mando una cosa che sto scrivendo sul tema. È una merda, sicuramente, ma se ti interessasse il tema, la bibliografia indicata è piuttosto vasta.

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  9. @ Olympe / @ Carloni
    Stanotte ho risfogliato Lucio Colletti ("Il marxismo e Hegel" e "Intervista politico-filosofica"), poi sono andato a rileggermi la voce "Marxismo" che stese per l'"Enciclopedia del Novecento". Carloni di consiglia di leggere Henning, lo farò. Voi, d'intanto, leggete Colletti. (Chissà se vale solo per Dietzgen quel "cercate di far critiche non tanto alla forma difettosa, non a ciò che dico, né a come lo dico, ma a ciò che voglio dire".)

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    1. Lucio Colletti? Ora è tutto più chiaro. Ti vorrò bene lo stesso, ma ti prego, non insistere oltre.

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    2. Per me sarà lo stesso, in fondo ho anche qualche amico cattolico. Sull'insistere o sul non insistere, invece, è tutta un'altra faccenda: e che, per caso ti ho mai chiesto di risparmiarmi i tuoi post teologici sul valore-lavoro? Facciamo che, fino a quando non sarà instaurata la dittatura del proletariato, anche a chi crede convincente Colletti è data libertà di scrivere quello che gli pare. Baci.

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    3. Non era un mistero per me che il Castaldi avesse letture collettiane alle spalle.

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    4. Solo per curiosità: la vostra Congregazione per la Dottrina della Fede lo posiziona tra gli eretici o tra gli apostati?

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    5. Dici prima o dopo il seggio senatoriale con Forza Italia?

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  10. In assenza di protocolli sperimentali verificabili e ripetibili, e condizioni di falsificazione, l'unica scienza possibile è quella dell'ipse dixit; che può aver posto nella "storia della scienza", ma non nella pratica. E non è riduzionismo, è che proprio la conoscenza si costruisce in questo modo, altrimenti si accumulano soltanto raccoglitori di polvere da scaffale (in riferimento alla pretesa scienza, ché vi sono miriadi di parole, idee, immagini, suoni e quant'altro che esistono utilmente senza doversi spacciare per scienza : da un estremo all'altro : si consideri solo cosa sarebbe il mondo senza le arti visive o la matematica (che non è scienza, tanto quanto una pialla non è un mobile)). Per ciò che, eticamente o praticamente, non è sperimentabile, la storia, nel bene e nel male, si è incaricata di fornire ampio materiale di studio da cui modellare le più limitate sperimentazioni praticabili, senza andare del tutto alla cieca.

    Detto questo sul metodo, è proprio sul fine che gran parte della filosofia politica manca completamente il bersaglio. L'idea che esista una forma sociale-politica-economica ideale (o anche più d'una) appare, alla luce di millenni di storia scritta e raccontata, francamente insensata. In gruppi sociali non minuscoli e non elettivi, forma sociale-politica-economica ideale è quella che permette il coesistere di più forme sociali-politiche-economiche e l'evoluzione del sistema in adattamento alle mutevoli condizioni, di cui solo alcuni fattori sono sotto il controllo delle entità organizzate dotate di una qualche capacità di manovra del sistema stesso.

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    1. Io me lo aspettavo che arrivasse il Luhmanniano/Parsonsiano prima o poi e ci dispensasse un po' di ideologia tecnocratico-amministrativa. E va bene anche questo. Se non fosse che a me non me ne frega niente della riproduzione del sistema. A me interessa che se Olympe sa bene il tedesco ma per mangiare la assumono ad un call center della Nike, le sue competenze linguistiche, i suoi talenti e la sua creatività non verranno spese per una rilettura della Theologia Deutsch luterana o uno studio sull'immaginario ebraico in Kafka, ma per rispondere ai reclami dei clienti scontenti delle scarpe che hanno comprato. Il che significa che c'è una classe che è tenuta (vedete come sono scientifico) a decidere come spendere la creatività dell'intera società e che così facendo determina i caratteri del mondo (sociale e naturale) in cui si svolge la mia vita, quella di Olympe, e della maggioranza delle vite delle persone - il mondo è costruito non tramite discorsi, simboli, azione comunicativa e altre fregnacce da cialtroni, ma con il lavoro, dal palazzo in cui viviamo alla cura contro il cancro. Non deve dunque piacere per forza la teoria del valore marxiana per apprezzare Marx. Basta una buona dose di radicalismo democratico-borghese.

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  11. "Basta una buona dose di radicalismo democratico-borghese."

    esatto e sono d'accordo con tutto il resto però c'è un piccolo (enorme) problema. La stessa Olympe nel suo blog (di cui sono assiduo, affascinato e mal sopportato lettore ) si scaglia contro l'unica misura economica che allo stato attuale potrebbe permettere a quella simpatica ragazza cdi cui parli di dedicarsi almeno in parte, affrancandola dalla necessità materiale impellente, alle sue passioni intellettuali: il reddito di cittadinanza. Questo in sé sarebbe normalissimo (ognuno la pensa come vuole) ma il fatto è che Olympe presenta questa sua posizione come conseguenza "necessaria" della sua interpretazione di Marx alla luce proprio del materialismo dialettico! E' vero che in teoria ci sarebbe un'altra misura economica ancora più efficace per il fine desiderato e cioè che lo stato assumesse un po' di ricercatori ma, ahimè, la stessa interpretazione di Marx la costringe pure a fare mostra di radicale anti-statalismo! E dunque ? Non è che in fondo il materialismo dialettico serve a nobilitare l'atteggiamento del "non c'è niente da fare" e del "tanto peggio tanto meglio ?

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  12. Non conosco il blog di Olympe e speriamo non lavori davvero al call center della Nike a questo punto. Il riferimento è stato solo casuale, come si dice in queste circostanze. Circa il reddito di cittadinanza, è chiaramente una manovra non socialista, ma questo dice poco. A me personalmente non frega molto essendo ricco sfondato di famiglia, quindi non ho un'opinione precisa in merito. Inoltre, da marxista dogmatico, non ne avrei comunque una anche se mi riguardasse perché Marx, Engels, e soprattutto Kondratiev non hanno scritto nulla al proposito e sono personalmente incapace di riflessione critica. Ciò detto, in Germania, dove ho fatto il ricercatore fino all'anno scorso, il padronato è da tempo e con ottime ragioni fermamente a favore dell'introduzione del reddito di cittadinanza (quello vero, non quello pseudo-di disoccupazione che dicono qua). Certo, se il ruolo dello stato è quello di mantenere la maggioranza della società tramite le tasse per consentire ai proprietari di capitale di continuare a fare profitti, mi pare sia una buona manovra. Questo era un commento viziato da premesse assiologiche. Scientificamente, e probabilmente Olympe di questo si occupa, si tratta di capire quali conseguenze economiche avrebbe l'introduzione del reddito di cittadinanza nel lungo periodo. Ossia, se lo Stato ci va a zampe per aria, come diciamo nel pavese, e se la manovra sia effettivamente in grado di garantire quei profitti che si aspettano i padroni senza i quali non c'è crescita nel capitalismo. Credo e spero tuttavia che se mai venisse approvata quella misura, Olympe non rifiuterà l'assegno mensile. Qualora invece fosse radicale fino a quel punto, le invio volentieri i miei dati bancari per girarmi l'importo - la crisi colpisce anche noi nobili, che siamo costretti al momento a rinunciare a tanti bene di lusso di prima necessità. In ogni caso, Marx non osteggiò l'introduzione delle 10 ore sulla base della teoria della sussunzione relativa. Continuo a ribattere che vanno distinte teoria e pratica politica. Personalmente ho coniato il concetto (ripreso da moltissimi miei familiari, ma purtroppo solo da loro) di opportunismo dogmatico - la butto lì, vedete se vi piace. Nella pratica politica, anything goes, a seconda dell'opportunità. In fatto di teoria, non si transige. Tanto il partito comunque non ce l'abbiamo, quindi anche questa è una puttanata. O forse il partito c'è e si chiama Cina. E, siccome davvero "non c'è niente da fare", che Pechino ci aiuti. Ragazzi, capite che stiamo facendoci le seghe? Ancora l'omologia tra pensiero e essere nel 2018?! Ma vi volete chiedere perché sti problemi ce l'ha solo l'economia politica marxista? E non la classica, non il marginalismo, non il monetarismo?! Ci sta gente che spiega l'economia con gli assi cartesiani e noi costretti all'eterno ritorno su fenomeno vs. noumeno da Bignami? Ma sarete dei boccaloni. Volete la mia? Leggete Marx ma studiate pure la storia del marxismo, ossia la storia delle critiche al marxismo e come passano all'interno di questo in varie forme. Prima di chiedersi chi ha ragione tra Hegel e Kant (o cose del genere), chiedetevi che ruolo ideologico svolge il neokantismo nell'ultima decade del 19esimo secolo all'interno dell'SPD tedesca. Purtroppo noi italiani siamo filosofi da liceo. Sembriamo i tedeschi ai tempi di Marx. Scusate lo sfogo. Vi abbraccio tutti cristianamente.

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  13. Un giudizio sul profondo legame tra marxismo e idealismo non può essere dato prescindendo da una figura ingiustamente trascurata come Costanzo Preve. Non ci si lasci ingannare dal fatto che fu mentore di Fusaro. Con i pregiudizi non si fa molta strada. Per Preve Marx era il terzo grande idealista dopo Hegel e Fichte.

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    1. Certo, infatti non vedi che tutto il mondo civilizzato non fa altro che leggere Preve da decenni per capire il rapporto Marx e Hegel? Se davvero vi interessa da morire sto cavolo di rapporto Marx-Hegel, nonostante Lukacs, nonostante Marcuse, nonostante Croce e Gentile, nonostante Colletti, e nonostante Zizek, il punto più recente e avanzato della discussione è in questo convegno internazionale del 2016 al Goethe Institut di Stoccolma (Honneth è un pagliaccio, la Comay notevole come sempre). Tutti i contributi sono accessibili online al link qui sotto.
      https://cominsitu.wordpress.com/2016/05/21/from-marx-to-hegel-and-back-to-the-future/
      Se poi uno ha voglia proprio di farsi del male e avere a che fare con gli italiani, e quindi con una prosa illegibile, di buono c'è Roberto Finelli, Un parricidio mancato. Il confronto finale di Marx con Hegel, Milano 2015. Sennò, ma ancora più difficile da leggere, Fulvio Papi, finissimo interprete hegeliano (parlo di cose serie) della scuola di Milano è pure una bestia. Tratta il tema recentemente in Fulvio Papi, Dalla parte di Marx, Roma 2015

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    2. Posso dire? Questo Carloni mi piace un sacco. Vorrei sapere dove si potrà rintracciare quando questa discussione sarà finita.

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    3. Il titolo di Finelli è Un parricidio compiuto. Il parricidio mancato è il titolo di un libro precedente sullo stesso tema che peró non conosco

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    4. @Erasmo
      Non saprei come accontentarla. Una ricerca sull'indirizzo e-mail dal quale mi ha inviato il testo di Henning rimanda, fra l'altro, a un sito che lo dà come "Doktorand im Doktorandenkolleg" della Universität Konstanz (https://www.exzellenzcluster.uni-konstanz.de/carloni.html). Di strano c'è che la fotina è quella di un cantante, un tal Ringo Cavalli (https://www.youtube.com/watch?v=EeoXKs_23sM). Doppia vita? Impostura? Boh.

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    5. Beh, se stiamo a vedere tutti quelli che, per esempio, hanno l’avatar di Elvis, oppure di Erasmo, ci troviamo di fronte a milioni di impostori.
      Io intendevo che fosse Carloni a fornire un link.

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    6. Come chiarisce il sito, il Carloni è da un anno ex membro del collegio dottorale "Europa in der globalisierten Welt" dell'Università di Costanza, collegio che fa parte del rinomato cluster di eccellenza SFB16 "Kulturelle Grundlagen der Integration" del medesimo ateneo. Il Cavalli invece naviga la china del britpop britannico anni '90 (chiari gli echi Bluriani nella canzone in oggetto), laddove la sua anteriore e posteriore produzione coi Van Faghers si svolge d'altronde più sull'asse Beatles-Prefab Sprout. Doppia vita o impostura? Suggerisco di parlare dialetticamente di doppia impostura laddove il talento del Carloni scienziato sociale e storico politico è infimo quanto quello del Cavalli singer/songwriter. Ringrazio il Castaldi, letterale come sempre, per lo zelo di ricercatore e profiler. Non credo però che ad alcuno interessi la biografia o la residenza del Carloni/Cavalli. La richiesta dell'amico Erasmo, che era probabilmente (e con ottime ragioni) un motto di spirito, era se il Carloni/Cavalli abbia prodotto altro oltre gli interventi su questo blog. Non è questo il caso. È un quitter nella carriera accademica come in quella musicale. Da cui si arriva al dove trovare questo duplice impostore. La risposta è dove merita. Conviene provare al locale centro per l'impiego appena sarà varato il reddito di cittadinanza.

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    7. Lei mi confonde, sa? Non ha detto di essere ricco sfondato?

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    8. Caro Erasmo, chiamami Francesco. Io avevo naturalmente capito che la domanda era rivolta a me. D'altronde, l'ineleganza e la spregiudicatezza morale ancor prima che teorica del Castaldi non hanno mai fornito materia di controversia - si scherza, naturalmente, Luigi.

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    9. Da quando ci siamo conosciuti non abbiamo fatto altro che scherzare, caro Carloni. All'inizio avevo qualche riserva, le confesso, ma poi ci ho preso gusto. In fondo, quel 4. (Impossibilità di un'esegesi del marxismo su cui possano essere d'accordo più di tre marxisti), quel 5. (Natura teologica e struttura ecclesiale del marxismo) e quel 6. (Retrogusto e rigurgito di un fallimento teoretico e storico), li ha scritti lei.

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  14. Marx sopravviverà al 2018 dopo il crollo del cemento armato e delle privatizzazioni teologiche?

    Da un altro punto di vista, tra ricchi e poveri sfondati in cerca di cittadinanza mi chiedo se la teoria sia indipendente dalla natura del capitale. La società industriale in oggetto è basata su carbone/petrolio e nemmeno gli scienziati sanno quali siano i tempi di formazione del petrolio: non 10 anni, non 100, nemmeno mille o diecimila, cioè oltre la storia stessa della religione, del monoteismo, dell'ebraismo o di pensieri orientali. Semplicemente oltre, impensabile. E d'altra parte siamo abbastanza atrofizzati e incapaci di pensare a scenari completamente diversi, possibilissimi anzi certissimi: la fine del capitalismo del petrolio, molti pozzi petroliferi statunitensi sono ormai secchi da anni, e senza petrolio non solo non si muovono le macchine e non si mette in moto la società industriale ma metterebbe in profonda crisi la scienza stessa obbligando la società ad un ripensamento radicale. E di sicuro il capitalismo del petrolio non finirà tra mille anni, nemmeno tra 100, forse stiamo a contare le decine, gli spiccioli.
    Con la fine del petrolio, e del capitalismo, molto probabilmente si tornerà a forme ed etiche comunitaristiche, e quindi forse alcune teorie ritorneranno e di prepotenza, magari rivisitate, se nel frattempo non ne avremo pensate altre, all'altezza. Ha ragione il professor Savona, nel suo piccolo, parlando dell'Euro: non siamo nemmeno in grado di valutare e studiare scenari alternativi, un piano B, come invece fanno da anni i capitalisti tedeschi, considerando che il nazionalismo più violento è proprio la concezione stessa del debito pubblico nazionale e che grazie al capillare rincoglionimento massmediatico ha ben presto sostituito la forma repubblicana.
    "Immunizzazione del marxismo" come scrive il pavese Salvatore Veca non basterà, di certo.

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  15. Vado fuori tema, ma neppure troppo come si vedrà in chiusura.

    Cos'è sta cosa di legare etica e identificazione? Cioè: liberi tutti e si prendono a calci cani e gatti perché non hanno natura umana? L'incapacità di percepire positivamente il benessere altrui e negativamente il malessere, la mancanza di empatia, non ha altra contromisura efficace, per quanta filosofia ci si faccia sopra, che cercarsela questa benedetta empatia e isolare coloro che non l'hanno e neppure riescono a comportarsi come se l'avessero.

    In fondo questo è anche il problema della politica e la sorgente del classismo. Hai voglia elaborare teorie politiche, il problema è culturale: una cultura che vede l'altro come minaccia o come risorsa da sfruttare non la correggi con nessuna azione politica, è la cultura che deve cambiare, la politica seguirà. Il che non significa che intanto la politica se ne sta sul bordo del fiume, ma solo che porsi mete assurde di natura politica, senza attaccare le radici culturali dei problemi, non è solo inutile ma controproducente e uno spreco di risorse.

    Già, ma come si cambia la cultura?

    Mostrando che un mondo diverso è possibile, ma soprattutto vivendoci in un mondo diverso: costruendo e difendendo spazi di quella cultura diversa che, si espanda o meno sulla popolazione globale, intanto tu ce l'hai negli spazi che contribuisci a costruire ed abitare. Con una riserva, occhio al comunitarismo, al porre la comunità al di sopra dell'individuo, ché è terreno di coltura di ducetti e scava la fossa alla comunità stessa.

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    1. ha ragione, ma citare la compassione/empatia come categoria metafisica (Schopenhauer) o anche come categoria empirica come fa lei, avrebbe potuto essere considerato provocazione gratuita parlando con un marxista.

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    2. Mi scuso dell'offesa.

      Scuse non automaticamente estese alla categoria, però, che non mi pare si caratterizzi per una dotazione di compassione/empatia sensibilmente superiore alla media.

      L'anonimo di qui sopra.

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    3. ma il Carloni è pure simpatico

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    4. Rispondo qui al commento che segue di Carloni, ché lì sarebbe in coda ad altro e farebbe confusione.

      No, non c'era un riferimento specifico a lei, ma solo la negazione di una eccezionalità della categoria in materia.

      La riserva sui rischi del comunitarismo era necessitata dall'invito a fare comunità (possibilmente molteplici e porose tanto in entrata che in uscita, aggiungo) che poteva essere letto come orientato a forme invece settarie.

      Gran parte della critica al capitalismo sorvola sul punto che i difetti del capitalismo, a differenza dei suoi mezzi, non gli sono affatto specifici.

      Strutture organizzative e decisionali sono necessarie a qualsiasi società complessa, a partire dalla tribù di cacciatori-raccoglitori. Ciò che crea problema non le sono concentrazioni di "cattiveria" individuale o organizzata (dato probabilmente ineliminabile) ma la diffusa desensibilizzazione al benessere/malessere altrui, la quale nega il naturale contrasto che invece proverrebbe da comunità e individui non desensibilizzati, chi per acquisita tolleranza (passiva o interessata), chi addirittura ormai incapace di riconoscere la tossicità di forme organizzative, azioni o individui.

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    5. Rispondo qui al commento che segue di Carloni, ché lì sarebbe in coda ad altro e farebbe confusione.

      No, non c'era un riferimento specifico a lei, ma solo la negazione di una eccezionalità della categoria in materia.

      La riserva sui rischi del comunitarismo era necessitata dall'invito a fare comunità (possibilmente molteplici e porose tanto in entrata che in uscita, aggiungo) che poteva essere letto come orientato a forme invece settarie.

      Gran parte della critica al capitalismo sorvola sul punto che i difetti del capitalismo, a differenza dei suoi mezzi, non gli sono affatto specifici.

      Strutture organizzative e decisionali sono necessarie a qualsiasi società complessa, a partire dalla tribù di cacciatori-raccoglitori. Ciò che crea problema non le sono concentrazioni di "cattiveria" individuale o organizzata (dato probabilmente ineliminabile) ma la diffusa desensibilizzazione al benessere/malessere altrui, la quale nega il naturale contrasto che invece proverrebbe da comunità e individui non desensibilizzati, chi per acquisita tolleranza (passiva o interessata), chi addirittura ormai incapace di riconoscere la tossicità di forme organizzative, azioni o individui.

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  16. Se nella "categoria" c'era un riferimento anche a me, e non credo, non l'ho colto. Non credo peraltro che mi tanga (quella cosa che portavano le donne, con merito, nei Novanta). D'altronde, mi pare appropriata un'osservazione sull'idea che il Marxismo metta la comunità sopra l'individuo. Non è così, nessuno ha mai tratto una cosa del genere da Marx, del resto. E basta davvero un'occhiata veloce a quello che ha scritto per capirlo. Marx è per un'associazione di liberi individui. Chi mette la comunità sopra l'individuo è il capitalismo, nella misura in cui le nostre vite sono appunto dominate da una "logica" di riproduzione sociale non determinata da noi (parlo male apposta per non irritare la categoria idealista). Marx vuole appunto inverare "il dominio della società sulla ricchezza" ossia rompere il dominio del capitale sull'individuo. Se poi voi chiamate l'individuo la proprietà privata, allora non ci posso fare niente a parte ricordare che quello è un concetto capitalistico di libertà, a conferma di come NEL CAPITALISMO, come in tutta "la preistoria umana", l'essere determina la coscienza. Quando leggo che il socialismo è "a ognuno secondo i suoi bisogni", del resto, mi pare davvero difficile parlare di comunitarismo. Uso proprio i passi più noti per evidenziare quanto letture comunitaristiche siano indebite. Similmente, non è Marx che è un determinista economico, è il capitalismo che è determinazione economica. Il socialismo è volto appunto alla distruzione di quella determinazione. La libertà è assenza di quella determinazione. Questo è il senso politico di Marx. Ancora analogamente, non è Marx che è totalitario. Il capitalismo lo è, nella misura proprio in cui l'economia determina e colonizza le altre sfere sociali. Due esempi: 1) l'"appiattimento" contemporaneo della "giustizia sociale" sulla "giustizia di mercato", secondo la diagnosi di Streeck; 2) la scienza sociale (ma soprattutto, per le conseguenze quella naturale) come ricerca "pura", esclusivamente all'autonoma ricerca di verità, da cui poi ad esempio le menate etiche borghesi su come porvi limiti. Il punto è che questo tipo di scienza, che noi ovviamente diamo per scontata come ogni altro ambito del capitalismo, è scienza capitalistica per l'ovvio motivo che, facendo lo scienziato SOLO conti, SOLO ricerca, SOLO innovazione tecnologica, SOLO esperimenti, poi è QUALCUN ALTRO a deciderne l'applicazione. Problema noto nel senso comune con la cosa che Fermi ecc. fanno ricerca sull'atomo e poi qualche cattivone ne ricava la bomba atomica. Più attuale è il caso della distruzione del pianeta, su cui gli scienziati mettono bocca solo da esperti della parte 'scientifica'. Insomma, la scienza come sfera autonoma e solo teorica rimanda al fatto che la pratica di quella teoria la decidono altri, ossia i capitalisti. E in quel decidere sta ovviamente il rapporto salariale. Questi sono fenomeni strutturali, non accidenti né frutto della cattiveria dei padroni ancora una volta. Qui sta la determinazione della sfera economica. Venisse in mente a qualcuno di rispondere che sono i militari e non i capitalisti a decidere dell'applicazione della scienza pura, ricordo l'espressione "complesso militar-industriale" non di Marx ma di un presidente americano conservatore. Più in generale, non è che le guerre si fanno per malvagità. I militari, è noto infine, sono stati sottoposti all'autorità politica borghese da un secolo in generale. Non siamo più in ancien régime. Vado a fare una lampada che sono in ritardo.

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    1. la categoria degli idealisti (pre-fichtiani) si dichiara d'accordo su quanto appena detto. Fa però notare che anche la scienza pura è un fenomeno sociale, che ha una dimensione sincronica (comunità di scienziati socialmente riconosciuta) e una diacronica (trasmissibilità del sapere scientifico attraverso le generazioni ). Già questo solo fatto basta a smentire la pretesa di ridurre tutto il sociale all'economico. Buona domenica!

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    2. tutto bene, salvo una precisazione:
      "a conferma di come NEL CAPITALISMO, come in tutta "la preistoria umana", l'essere determina la coscienza."
      Che l'essere sociale determini – poi bisogna vedere in quali forme e modulazioni – la coscienza, non ci piove. Non solo nel capitalismo, quindi non solo nella preistoria dell'umanità, ma in ogni società umana e in qualsiasi epoca futura (se ci sarà). C’è però da qualificare un punto a riguardo del capitalismo, in modo da rendere, se possibile, più chiara la cosa presso gli esponenti dell’idealismo che ad ogni modo NON se ne faranno minimamente persuasi.
      Insomma, entra qui in gioco, secondo un criterio rigorosamente materialistico, il nesso dialettico, la giunzione, tra la posizione oggettiva che ciascun individuo concreto occupa entro i rapporti di produzione materiale (compresi i famosi prodotti immateriali!) della vita e le forme della sua coscienza, della sua volontà, come pure quelle del dominio.
      E fin qui non vi sarebbe nulla di particolarmente misterioso, ma le cose cominciano a complicarsi da quel punto della storia in cui i rapporti sociali che si reificano negli oggetti d’uso (e nei “segni”) e si personificano in figure sociali particolari, prendono ad operare indipendentemente dai loro produttori e sfuggono a qualsiasi controllo.
      Da qui in poi basta leggere le prime pagine (non oltre, sia mai!) de Il Capitale per schiarirsi un po’ la vista sulla realtà, non quale appare e si maschera, bensì quale essa è.

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    3. in altre parole, è vero che il capitalismo ha la pretesa di determinare tutte le sfere della società (come anche tutte le forme dei rapporti interpersonali e pure tutte le forme della psicologia individuale ), ma non si vede perché si debba dare questa pretesa come già realizzata o come inevitabilmente destinata a realizzarsi. Buona domenica, di nuovo.

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  17. @ anonimo:

    "Che l'essere sociale determini – poi bisogna vedere in quali forme e modulazioni – la coscienza, non ci piove."

    ah beh allora...


    "e sfuggono a qualsiasi controllo."

    ah, beh, allora è vero che non c'è niente da fare. E al monaco fedele non rimane altro da fare che ripetere, con salmodiante umiltà, che non c'è niente da fare.

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