sabato 10 luglio 2010

Non è in grado di soffrire



“In reviewing the neuroanatomical and physiological evidence in the fetus, it was apparent that connections from the periphery to the cortex are not intact before 24 weeks of gestation and, as most neuroscientists believe that the cortex is necessary for pain perception, it can be concluded that the fetus cannot experience pain in any sense prior to this gestation. After 24 weeks there is continuing development and elaboration of intracortical networks such that noxious stimuli in newborn preterm infants produce cortical responses. Such connections to the cortex are necessary for pain experience but not sufficient, as experience of external stimuli requires consciousness. Furthermore, there is increasing evidence that the fetus never experiences a state of true wakefulness in utero and is kept, by the presence of its chemical environment, in a continuous sleep-like unconsciousness or sedation. This state can suppress higher cortical activation in the presence of intrusive external stimuli. This observation highlights the important differences between fetal and neonatal life and the difficulties of extrapolating from observations made in newborn preterm infants to the fetus”.

Rammento di essere entrato nel merito della questione in due o tre occasioni – la prima volta, penso, verso la fine del 2004 – ed era sempre in polemica con quel brutto vizio tipicamente prolife di sparare observations a cazzo di cane, extrapolating da mere suggestioni sentimentalistiche l’esistenza di una qualche awareness fin nell’ovocellula or ora fecondata. E rammento di aver scritto che, prima della ventesima settimana gestazionale, il feto – simpliciter – non è in grado di soffrire.
Bene, sono costretto a far presente a quanti rimasero turbati da quella mia affermazione (rammento che uno rimase tanto turbato da darmi pure del “medico di merda”) che in realtà ogni consapevolezza è impossibile addirittura prima della ventiquattresima settimana. Nel pregare lorsignori di ritrarre di altre quattro settimane la velleitaria proiezione di ex embrioni, li invito a prenderne conoscenza nel sopralinkato e ben documentato Review of Research. Senza metter su musino, via.

Dimissioni irrevocabili


Da: Massimo Bordin
Data: 09 luglio 2010 16:41:54 GMT+02:00
Oggetto: lettera al CdR

Devo comunicare al CdR, come sono tenuto dalle buone maniere oltre che dai contratti e dai regolamenti, le mie dimissioni da direttore di radioradicale già presentate all'amministratore del Centro di Produzione Paolo Chiarelli. Si è concordato di renderle esecutive dal giorno 1 agosto 2010.
Mi ritengo costretto a questa scelta da alcune prese di posizione dell’editore della radio, che ho sempre considerato editore di riferimento politico da prima ancora che divenisse proprietario di fatto. Da almeno due anni Marco Pannella ha più volte pubblicamente dichiarato che non si sente rappresentato dal modo in cui viene espressa la linea editoriale della radio. E' evidente che il rapporto fra editore e direttore si fonda proprio su un accordo sulla trasposizione in chiave giornalistica di una idea editoriale che promana dall’editore. Dunque le affermazioni di Pannella non possono che essere intese come una mozione di sfiducia nei miei confronti. Posso ritenere ciò immeritato, perfino infondato, ma non posso pretendere di far cambiare idea a Pannella e francamente non so nemmeno se ne avrei comunque voglia. Il fatto che Pannella abbia sempre aggiunto che in ogni caso intende stare a vedere come evolverà la situazione senza prendere alcuna decisione ("almeno per sei mesi" ha aggiunto nella riunione plenaria della radio da lui recentemente convocata) a mio modo di vedere non migliora la mia situazione. Mi pare chiaro che un direttore sfiduciato non possa contare sulla pienezza di mandato necessaria non solo con gli interlocutori esterni ma anche e soprattutto con la redazione. Va bene che tutti dobbiamo essere pronti a metterci in discussione, va bene che gli esami non finiscono mai, ma c’è un limite a tutto e qui si sta esagerando. Dunque le mie dimissioni da direttore sono irrevocabili.
All’editore che, in prima battuta, mi ha comunicato che intendeva respingerle ho dovuto rispondere che una simile decisione non era concretamente nella sua disponibilità. All’amministratore che si informava della mia disponibilità a mantenere comunque in altra forma un rapporto di lavoro con la radio ho risposto che non avendo assunto impegni con altri avrei ben volentieri valutato qualsiasi proposta che non riguardasse la direzione. Solo che non è arrivata alcuna proposta perché l’editore ritiene preliminare per me un lavoro di prefigurazione del futuro della radio. Ho dovuto rispondere che mi dimetto da direttore proprio perché non voglio avere ruoli di questo tipo, che evidentemente non so svolgere visto che da anni ho cercato senza successo di coinvolgere l’editore proprio sul tema del futuro della radio. Ho ottenuto solo rinvii ed è stato un palese insuccesso della mia direzione, uno dei pochi per la verità. Ricominciare un lavoro del genere è senza dubbio superiore alle mie forze, almeno attuali. Men che meno ho titolo e interesse a occuparmi dell’organigramma futuro e non ho nessuna voglia di trattare la mia posizione agitando lettere di dimissioni. Se la proprietà ha , come ha detto l’amministratore, interesse ad avanzare una proposta, la avanzi.
Io a questo punto ho una sola richiesta da fare: la liquidazione delle mie spettanze. E credo che sarà semplice mettersi d’accordo, anche se purtroppo l’entità sarà incommensurabilmente inferiore a quella che qualche imbecille ha già messo in circolazione su Facebook.
Con i migliori auguri di buon lavoro e i dovuti ringraziamenti,

Massimo Bordin

venerdì 9 luglio 2010

Santità, attento!


Un lettore, Paolo Möseneder, mi segnala “un inciso che rivela un mormorio assordante” in un articoletto di Vittorio Messori sulle affettuose attenzioni di George Gaenswein a Joseph Ratzinger: “di limpido sentimento filiale” (Santità, attento al “saturno”Sette, 8.7.2010). Bene, il Möseneder coglie con grande acume e rara sensibilità il fine ultimo di un articoletto come quello (vado fiero di lettori così): un invito alla cautela, a non esporsi troppo, a non far precipitare certe sospese allusioni (non adesso, per carità di Dio!) e a evitare che qualcuno metta in cima alla “sporcizia”, che è ormai una torta multipiano, la calunniosa ciliegina di una tenera frociaggine tra i due. Timori che evidentemente circolano, almeno negli ambienti in cui Messori si muove come in famiglia, disinvolto con nuora come con suocera.
Sia chiaro che il Möseneder – e io con lui – dà per scontato che tra George e Joseph non ci sia nulla men che lecito a norma di Catechismo, ma fa presente che si potrebbe sospettare. Neanche chi manda Messori col messaggino ha questo sospetto, mancherebbe, e però teme che esso possa farsi strada nella malata mente di chi abbia una troppo riduttiva idea di segretario personale. Non c’è monarca assoluto senza pettinabambole personale, ogni gran sarto ti fa sempre una carezza sotto il cavallo, mica è frociaggine. Sì, ma queste merde di laicisti che possono capire delle finezze della monarchia assoluta?
Traduzione del messaggino: Santità, non ci si metta pure Lei.

Una rotonda sul mare / 8



Come ti psicoanalizzo il popolo viola


Temo che per il popolo viola sarà difficile trovare risposta adeguata ad Adolfo Scotto di Luzio (Il Foglio, 9.7.2010). Sotto un Inculateci tutti che nel titolo sta a graziosa parafrasi dell’“intercettateci tutti”, diventata la parola d’ordine contro la legge-bavaglio, il nostro stila una diagnosi rubricata Psicoanalisi dei messaggini viola, nella quale la protesta contro il disegno di legge che vieterebbe la pubblicazione delle intercettazioni è definita “esplosione di fantasie sadico-orali”. Orali, ma pure anali, perché “nel fronte antiberlusconiano si aggira a piede libero il bambino perverso polimorfo del dottor Freud” ed evidentemente tra polimorfismo e pleomorfismo non c’è troppo da star lì a trovare il pelino.
“Quelli che scrivono nei blog aspirano a essere intercettati nella speranza di un riconoscimento […] Si immaginano lì, davanti all’oggetto del proprio odio, finalmente, con la possibilità concreta di arrivare a toccare, colpire, lordare chi di solito sta lontano ed è irraggiungibile […] I blog sono muti, ma il segno grafico, le maiuscole, l’uso enfatico dell’interiezione simulano la voce e disegnano un gesto, quello della bocca spalancata appunto, dei muscoli del collo tesi fino allo spasimo, dei denti messi in evidenza [...] Fermiamoci un momento e pensiamo sul serio alla pretesa viola di essere intercettati tutti. Tutti qui vuol dire tutti i nostri pensieri, i nostri desideri, le cose di cui andiamo orgogliosi e quelle che vorremmo dimenticare. Tutti non può che significare tutta la sfera della nostra soggettività. E allora che significa davvero questo slogan così pericoloso? La trasparenza come corazza è il modo per rendere l’Io inaccessibile”.
E che cazzo vuoi obiettare? Meno male che non mi sento viola, sennò sarei davvero in difficoltà.

Spergiuri


Fossi in Berlusconi, li manderei a cagare, ’sti spergiuri. “Prendo il solenne impegno – giuravano in coro da un palco, non più di quattro mesi fa – a realizzare nella mia regione in sintonia con il governo nazionale tutti i punti del Patto per l’Italia presentato oggi dal presidente Silvio Berlusconi”. E cosa prevedeva il Patto? Testualmente, e carta canta: “Introdurre in un tempo prestabilito quelle normative varate dal governo, ma di competenza regionale e che, proprio per questo, hanno trovato ostacoli e difficoltà”. Tagli, per esempio.
Tornassero a casa, i signori governatori eletti coi voti del centrodestra, a piagnucolare per i tagli voluti dal governo lasciassero da solo Vasco Errani e gli altri governatori eletti coi voti delle opposizioni, gli unici a non aver giurato di stare in sintonia con le decisioni del governo nazionale.

“Davvero uno strano paese, il Belgio”


Si trattava di un cd-rom che ai tempi del caso Dutroux era stato inviato a giornalisti, politici e (a quanto pare, anche se non se capisce il motivo, pure a) cardinali, almeno al cardinal Danneels. Chi se l’era immaginato collezionista di materiale pedopornografico deve dirsi vittima di una notizia che lo insinuava a contorno di ben più grave presunzione di colpevolezza. E così pure sarebbe per la bambina sui dieci anni, ritratta nuda sotto una doccia, che pare sia arrivata in arcivescovato, sul pc di Sua Eminenza, dal sito di una tv (le dimissioni di Gad Lerner dalla direzione del Tg1 sarebbero impensabili in Belgio).
“Davvero uno strano paese, il Belgio”, dice bene Massimo Bordin. Quelle che si stanno rivelando miserabili bufale – a far da esca ai peggiori pregiudizi anticlericali, diciamolo – partono dal Belgio come ingenue vaccate, animali da pascolo familiari al paesaggio. Sicché bisogna convenire col portavoce dell’arcivescovato: “Sarebbe deplorevole che un’«informazione» sotto il segreto professionale sia stata comunicata volontariamente alla stampa da persone legate all’indagine per fare sensazione. Ciò non contribuirebbe alla serenità dell’indagine” (La Stampa, 8.7.2010).
La Chiesa belga desidera collaborare con la giustizia, ma rispondendo alle domande degli investigatori, non reagendo ad articoli di stampa che hanno tutta l’aria di provocazioni, e d’altra parte chi può aver dato alla stampa queste «informazioni»?
Davvero uno strano paese, il Belgio, manco si sente bisogno di una legge-bavaglio.

giovedì 8 luglio 2010

Directory temp


In una cartella che spesso è contrassegnata in etichetta dalla dicitura directory temp vanno a finire quei file che vengono detti temporanei e che sono essenziali per il funzionamento di quelle applicazioni che utilizziamo quotidianamente: generati a intervalli costanti dalla stessa applicazione, se ne vanno nella directory temp come in backup, in attesa che il lavoro sia eventualmente salvato, per essere via via eliminati manualmente o con procedura automatica, programmando una periodica pulitura della cartella dei file temporanei o la loro eliminazione appena non sono più necessari, a lavoro salvato o comunque ad applicazione correttamente richiusa. C’è un però: se il pc si blocca per un crash di sistema, cosa che accade spesso quando si va per siti infestati da ogni sorta di trojan, worm e ogni altra sorta di malware, i file temporanei vanno ad essere memorizzati sul disco fisso.
È sul disco fisso del pc del cardinal Godfried Danneels che è stata trovata la foto di una bambina nuda, e lì può esserci finita solo se Sua Eminenza l’ha scaricata o se ha avuto problemi di connessione mentre la visionava dalla pagina di un sito non sicuro. È ragionevole pensare che comunque non si sia arrivati a caso a quella pagina, perché si tratta di un genere di foto che non si trova dappertutto, ma per lo più in un’area del web alla quale si arriva solo volendo arrivarci, spesso chiedendo guida. E allora che mi significa “potrebbe essere ritenuta sospetta, ma è stata ritrovata in un file temporaneo: chiunque naviga su internet può ritrovarsi con questo tipo di foto in file temporanei”? Chiunque navighi su internet, sì, ma andando alla ricerca di cosa? E il fatto che una foto del genere risulti sul pc di un cardinale accusato di aver coperto per decenni gli abusi sessuali su minori commessi dai preti può essere considerato irrilevante? E allora che mi significa “riguardo il presunto materiale che sarebbe stato scoperto sul suo computer, il cardinale Danneels è saldo come una roccia”?

[...]

Ah, però!

mercoledì 7 luglio 2010

Una mezza tragedia


Sono in dirittura d’arrivo le nuove norme antipedofilia della Congregazione per la Dottrina della Fede e i più danno per certa la rimozione dagli incarichi parrocchiali del sacerdote sospettato e una corsia preferenziale per la riduzione allo stato laicale, con l’obbligo per il vescovo di denuncia alle autorità civili, lo stop alla prescrizione per l’abuso su minore e l’invio immediato della documentazione raccolta in diocesi alle autorità centrali in Roma. Vedremo, ma, se così fosse, saremmo alla necessità di rimettere mano al Codice di Diritto Canonico dopo neanche 30 anni da che è stato scritto.

Una rotonda sul mare / 7




Quando i giudici si improvvisano teologi, ma quando?


Avete notizia di un solo magistrato che abbia sollevato il seppur minimo argomento di natura teologica nel condurre le indagini sugli abusi sessuali su minori commessi da un prete e coperti dal suo vescovo? Potrà aver sollevato questioni relative all’ordinamento giuridico della Chiesa e dunque potrà essersi intrattenuto su argomenti di interesse canonistico, avrà eventualmente sfiorato temi di natura ecclesiologica, potrà forse essersi spinto a formulare considerazioni di tenore sociologico o di rilievo storiografico, ma avete notizia di un solo magistrato che, negli Stati Uniti, in Irlanda, in Austria, in Germania o in un qualsiasi altro paese nel quale la “sporcizia” sia venuta a galla, si sia spinto a improvvisarsi teologo? Io no. Per questo penso che Sandro Magister abbia scelto un titolo infelice per il post che firma in data 6 luglio: “Quando i giudici si improvvisano teologi”, ma quando?

Il resto non è più felice. Sul blitz del 24 giugno all’arcivescovato di Malines: “Gli inquirenti hanno sequestrato 475 dossier, molti dei quali riguardanti vittime che si erano rivolte a questa commissione invece che alla giustizia civile per salvaguardare la loro vita privata”. Da quando può dirsi legittimo sottrarre alla giustizia civile la notizia di un crimine commesso da un prete? La discrezionalità su quei 475 dossier traeva legittimità da un assunto teologico?
Sul no della Corte suprema statunitense alla richiesta della Santa Sede di sottrarre ad ogni responsabilità penale la Segreteria di Stato e la Congregazione per la Dottrina della Fede: “La richiesta della Santa Sede aveva ricevuto l’appoggio dell’amministrazione Obama”. Errato: l’avvocatura della Casa Bianca si era limitata a ritenere legittima l’istanza. “Anche nel 2005, durante la presidenza Bush, il dipartimento di Stato americano aveva definito illegittima la chiamata in causa di Benedetto XVI in un processo nel Texas per abusi sessuali, in forza dell’immunità di ogni capo di Stato e quindi anche del papa. E quella volta il giudice accolse il parere dell’amministrazione”. Errato anche questo: il giudice si limitò a prendere atto dell’improcedibilità in relazione al solo reato di obstruction of justice.

“Che prima o poi una corte si arroghi di stabilire con criteri propri ciò che la Chiesa è e quale rapporto abbia la gerarchia con i suoi «dipendenti» non è più un’ipotesi da escludersi tassativamente”. Perché dovrebbe continuare ad esserlo? Il rapporto della gerarchia con i suoi «dipendenti» non è desumibile arbitrariamente se desunto dal Codice di Diritto Canonico e dalle Istruzioni particolari, e basta leggere la Crimen sollicitationis (1922, 1962), la Secreta continere (1974) e la De delictis gravioribus (2001) per trarre conclusioni chiare. Come non considerare «dipendenti» della Santa Sede quei preti ai quali la Santa Sede ordinava di spostarsi di diocesi in diocesi? Obbedivano, senza eccezione, e lo spostamento era solo un’articolazione del sistema che li sottraeva alle denunce delle loro vittime per mandarli a farne altre altrove. Anche qui non c’è bisogno di improvvisarsi teologi per farsene un’idea.

“Le perquisizioni ordinate dalla magistratura belga non sono affatto rassicuranti. Lì la Chiesa è stata considerata alla stregua di una cosca di malfattori”. Gravi indizi avranno consentito agli inquirenti almeno di ipotizzarlo, nessun pregiudizio li avrà inibiti nel cercare le prove e – questa è la novità – nessun privilegio cumulato dalla Chiesa avrà posto ostacolo. Infatti, le lamentele della Santa Sede si sono limitate alle maniere, ritenute brusche, ma nessuno, neanche il Segretario di Stato, si è azzardato a contestare la legittimità del provvedimento ispettivo.
Ma Sandro Magister si spinge oltre: “Un po’ ovunque, cresce la tendenza a giudicare la natura e l’organizzazione della Chiesa ignorando ciò che essa è e i suoi ordinamenti originari e peculiari, che pure sono entrati nella migliore cultura giuridica e sono stati riconosciuti da patti di validità internazionale. L’’iauspicio, quindi, più volte espresso dalle autorità della Chiesa, che il foro civile e quello canonico operino ciascuno nel proprio ordine per contrastare gli abusi sessuali del clero, non sempre si traduce in pacifica e fruttuosa cooperazione”. E come potrebbe? Le autorità ecclesiastiche pretenderebbero privilegi che configurerebbero l’immunità piena e permanente: non si fa prima ad affermare che la pacifica e fruttuosa collaborazione è tale solo se questa immunità si fa improcedibilità di fatto?
“La Chiesa – conclude Sandro Magister – da qualche tempo e soprattutto grazie all’impulso di Joseph Ratzinger cardinale e papa, sta facendo molto per correggere le proprie colpe e omissioni”. Errato: da papa, poco e male, con molte ambiguità e contraddizioni; da cardinale, praticamente niente. E pare che molti cattolici l’abbiano capito.

martedì 6 luglio 2010

La stampa


Il mullah Omar è sfuggito alla cattura, ma per poco non finiva intervistato da Tommaso Debenedetti.

Disservizi

Blogspot fa i capricci nella moderazione dei commenti.

Sotto il cielo di Roma


Sotto il cielo di Roma è un’altra delle fiction prodotte dalla Lux Vide di Ettore Bernabei e figli alla quale per la Rai non saprà dire di no. Se non vado errando, sarebbe la 73ª che i Bernabei le vendono in meno di 20 anni. Chiuso il ciclo biblico, da Genesi (1993) a L’Apocalisse (2002), lasciando un po’ da parte i santi, dopo i successi di Padre Pio (2000), Madre Teresa (2003), Don Bosco (2004) e Sant’Agostino (2008), inframmezzando un Dio vede e provvede (1996) a un Lourdes (2000) o a un Crociati (2001) o a un Don Matteo 8 (2011), qui siamo di ritorno alla serie dei papi e, dopo Papa Giovanni (2002), Giovanni Paolo II (2005) e Paolo VI (2008) – ci informa Avvenire (6.7.2010) – la fiction prende a oggetto “lo scorcio di pontificato di Pio XII durante l’occupazione tedesca di Roma tra il 1943 e il 1944”.
Il giornale dei vescovi ci tiene molto a darci un cenno sulla trama e qui pare evidente che di fiction si tratta: “Rapire il Papa, è questo l’ordine che arriva da Berlino, dalla voce stessa del Fuhrer. [Mai dimostrato: ne parlò solo Karl Wolff, un generale delle SS che riuscì a sottrarsi alla giustizia grazie a un passaporto vaticano, e solo molto tempo dopo la fine della guerra...] Il Papa è l’unica fonte di speranza per il mondo [Stati Uniti e Inghilterra si trovavano lì per caso...] e Hitler non può tollerarlo. [È dimostrato che fosse l’ultimo dei suoi pensieri, nel 1943...] Un piano segreto, una minaccia reale di cui Pio XII viene a conoscenza; ma rifiuta tenacemente l’idea della fuga. Il suo posto è a Roma e a Roma rimane. [In realtà, un piano di fuga sarebbe stato discusso nel 1948, nel caso le elezioni fossero state vinte dal fronte di sinistra...] Per salvare la città e i suoi abitanti, usando tutti gli strumenti a sua disposizione: la diplomazia e le risorse materiali, l’influenza politica e la persuasione dei cuori, anche di coloro che fanno parte del campo avverso, come il generale Stahel, comandante della piazza di Roma. [Mirabile esempio di nazista cattolico, uno dei tanti tedeschi che cercò, finché gli fu possibile, di far coincidere la fedeltà al Führer con la fedeltà al Papa...] Nonostante tutti i suoi sforzi, Pio XII non riesce a impedire che l’orrore raggiunga anche la capitale. È il 16 ottobre 1943, le SS portano a compimento una violenta e improvvisa razzia del Ghetto: vengono deportate ad Auschwitz oltre mille persone, ne torneranno quindici. Il dramma degli ebrei diviene anche il dramma del Papa [Le testimonianze dirette lo danno fresco e rilassato in quelle ore: aveva strappato la promessa che alla Città del Vaticano non sarebbero venute a mancare le derrate alimentari...] Quando il 4 giugno 1944 le truppe alleate entrano in Roma, la folla, esultante per la liberazione, si riversa spontaneamente in Piazza San Pietro acclamando l’uomo che non li ha mai abbandonati: Pio XII [Ha chiesto agli alleati di non fare entrare a Roma soldati di colore ed è stato accontentato...].
Come fiction viene onestamente presentata, d’altra parte.

Supplica


Non entro nel merito di due dei tre post di Legnostorto di recente raggiunti da altrettante querele, ma vorrei soffermarmi sul terzo, quello in cui Piercamillo Davigo ha letto ai suoi danni una diffamazione a mezzo stampa risarcibile nella misura di 100.000 euro. A differenza di quanto negli altri due, in questo post c’è davvero poco di personale e, se diffamazione c’è, è ai danni di una porzione della magistratura: il querelante vi è indicato come facentene parte, ma non gli è attribuito nulla che possa essere considerato lesivo della sua personale onorabilità; e tuttavia Davigo non chiede il risarcimento per conto e in favore anche degli altri citati, ma per sé solo.
Citato in un solo punto: “È chiaro che un Borrelli, un Di Pietro, un Davigo, un D’Ambrosio, ecc, non possono avere nessuno spessore culturale per organizzare il golpe…”, dove gli si attribuisce solo una mancanza di strumenti per organizzare un golpe. Non mi pare tanto offensivo, anzi. Solo chi vuole organizzare un golpe può sentirsi offeso nel sentirsi dire che non ne è in grado, ma questo non è il caso di Davigo, mi gioco un coglione. E dunque, dottor Davigo, mi consenta una supplica: so’ ragazzi, chiuda un occhio, levi la querela.

lunedì 5 luglio 2010

Il Papa imputato



È il 1954, siamo sulle pagine de Il Mondo (IV/256), quella riprodotta qui sopra è la prima parte di un pezzullo del Taccuino del 12 gennaio. Scorrendo il testo potreste sospettare che quel titolo sia un refuso: avete notizia che da qualche mese è nata l’Aied, associazione che fra i suoi scopi ha quello di diffondere il concetto ed il costume della procreazione libera e responsabile, in patente violazione dell’art. 553 dell’allora vigente Codice Rocco (“per la difesa e l’integrità della razza e l’espansione della stirpe”), come un deputato monarchico ha segnalato al Viminale... Sì, vabbe’, ma il Papa che c’entra?
E invece c’entra, perché “prendere provvedimenti contro l’Aied implicherebbe infatti [qui chiude la colonna, in capo a quella a fianco segue:] necessariamente prendere provvedimenti anche nei confronti del Santo Padre, che si è più volte pronunciato a favore di un «ragionevole» regolamento delle nascite”. Poco importava che per «ragionevole» fosse da intendersi «mediante astinenza sessuale»: il Papa aveva violato il Codice Rocco, ed eccolo imputato nel titolo.
Un paradosso per amor di paradosso? Per Mario Pannunzio sarebbe stato un delitto, leggetene la biografia di Massimo Teodori (Mondadori, 2010) e vi farete un’idea del perché. L’idea che mi son fatto io è che considerasse la polemica una cosa maledettamente seria, da non consentire sprechi di figure retoriche.

Sai quanto puoi fregarcene di una imputazione mossa al Papa? Zero, tutt’al più è un paradosso per amor di paradosso, come la fucilazione del Papa ne La via lattea di Buñuel: se non serve a niente, il paradosso è un balocco. Chi può volere Il Papa imputato, nel 1954? Giusto quel pasticcione d’uno Spadazzi. No, il problema è un altro: è l’abrogazione dell’art. 553 del Codice Rocco che, guarda caso, la Santa Sede non vorrebbe fosse abrogato.
L’Osservatore Romano ha scritto che tanto è da considerare “caduto in disuso, onde nessuno può temerne l’applicazione a proprio danno”, ma che “conviene non mutare la legislazione per non dare l’avvio ad altre riforme che sarebbero state forse pericolose”. E qui quel pasticcione d’uno Spadazzi torna utile per dimostrare che l’art. 553 non è affatto caduto in disuso e non è solo l’Aied a doverne temere danno, fino a quando non sarà abrogato. “E allora si abroghi l’articolo – conclude Pannunzio – nell’interesse di un Papa minacciato dalle iniziative di monarchici più papisti di lui”.

[...]


Una rotonda sul mare / 6




Segnalibro

Lucilio Vanini negò l’immortalità dell’anima, inclinò a qualcosa tra panteismo e ateismo, anticipò Charles Darwin ipotizzando che gli uomini discendessero dalle scimmie e, in occasione della contesa tra Serenissima e Pio V, formulò un principio assai simile a quello della laicità dello stato, rimproverando al Papa di esercitare ingerenza in faccende che non gli competevano. Per un frate carmelitano era già troppo, ma Vanini fu fottuto perché allevava un rospo, animale considerato infernale: il tribunale dell’Inquisizione lo condannò al rogo, previo il taglio della lingua. Fu bruciato il 9 febbraio 1619, a 34 anni.