martedì 28 giugno 2011

Penseremo che non c’era altra soluzione

A fronte dei reiterati moniti che negli ultimi anni si sono fatti sempre più pressanti da parte della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, l’Italia rimane ampiamente inadempiente alle direttive che regolano i parametri di una carcerazione in linea con gli standard comunitari, peraltro liberamente sottoscritte. Con una densità del 153% rispetto alla capacità ufficialmente dichiarata e in condizioni igienico-sanitarie che non è esagerato definire disumane, le carceri italiane sono affollate da 68.795 detenuti, 29.992 dei quali sono in attesa di giudizio. È una situazione esplosiva e potrebbe esplodere già tra qualche settimana, se luglio e agosto dovessero essere mesi particolarmente caldi e afosi. Sarebbe serio ritenere illegittime le rivolte che dovessero divampare nei nostri istituti penitenziari? È difficile immaginarne la portata e le conseguenze?
L’unica soluzione in grado di evitare l’inevitabile – e qui, ancora una volta, sono solo i radicali ad aver visto giusto – sarebbe un provvedimento di amnistia, che tuttavia avrebbe solo la funzione di strumento emergenziale. La gran parte dei detenuti nelle nostre carceri vi è in forza della Fini-Giovanardi, la legge più inutile e cretina della Seconda Repubblica: se non la si abroga, nel giro di pochi mesi, al massimo un anno, le carceri torneranno ad essere stracolme come lo sono ora. Amnistia, dunque, ma anche una riforma tempestiva in grado di assicurare pene alternative alla detenzione, cancellando l’ignominia della reclusione per chi ancora non sia stato condannato in primo grado, e depenalizzando in primo luogo l’uso di sostanze stupefacenti.
Naturalmente non saremo in grado di farlo, perché da noi la certezza della pena vale solo per i poveracci e poco importa se si tratta di pena disumana. Un pauroso deficit di cultura liberaldemocratica segna la destra, il centro e anche buona parte della sinistra di questo paese, e da tempo la politica rincorre i più bassi istinti di un popolo che si è fatto plebe. Non vi sono le premesse per pensare ad una soluzione strutturale del problema delle nostre carceri. Avremo rivolte, le annegheremo nel sangue, penseremo che non c’era altra soluzione.  


lunedì 27 giugno 2011

Il nuovo che avanza

“Dietro le quinte si stanno muovendo Comunione e liberazione, Compagnia delle Opere e Opus Dei, ma anche pezzi di Acli e di Azione cattolica. E infatti nelle prossime settimane verrà presentato pubblicamente un manifesto per una «politica buona», fondata sui principi della Dottrina Sociale della Chiesa, sottoscritto fra gli altri da Acli, Cisl, Coldiretti, Compagnia delle Opere, Confcooperative (ovvero le cooperative «bianche») e Movimento cristiano lavoratori. Prove di nuovo centro che guarda a destra, anche perché uno dei più autorevoli firmatari del manifesto è Giulio Tremonti, non a caso da tempo in rotta sia con Berlusconi – nonostante le reciproche rassicurazioni e attestazioni di stima – sia, più recentemente, con la Lega, di cui invece è stato sempre «quinta colonna» dentro il Pdl”

Il rango / 2


Eravamo agli inizi del 1996, la stagione di Mani Pulite era ormai finita e il “sistema” si andava riorganizzando. Lucio Colletti avvertiva: “È in corso un’operazione di sostituzione della politica, in cui una serie di oligarchie e di interessi corporati e protetti, che prima erano coperti dalla grande cupola democristiana, vengono in primo piano cercando di darsi una rappresentanza politica e aggregando tutto. Si va dagli interessi dell’andreottismo romano, agli interessi che fanno capo a parte della finanza laica e anche a una parte consistente della massoneria”.
La traccia mette in pista un giornale che da poco è in edicola e il cui direttore è assai vicino al filosofo. Il 6 febbraio, sulla prima pagina de Il Foglio, fa capolino un’ipotesi con contorno di sussurri.
Il Foglio resterà su questa traccia per mesi e quando Lorenzo Necci verrà arrestato, il 15 settembre, a Giuliano Ferrara sembrerà di essere stato il primo ad aver individuato il centro eversivo che mirava alla sacrilega “sostituzione della politica” negli affari che prima erano gestiti da Dc e Psi. Intervistato da Giuseppe D’Avanzo, gonfiava il petto: “Lo ripeto, sì: Lorenzo Necci è considerato esponente della massoneria” (la Repubblica, 18.9.1996). Indizi? “Troppo intima la sua amicizia con Luigi Bisignani, presenza fissa in casa Necci, in via Donizetti”.
Il giorno dopo, a pag. 2, Il Foglio pubblicava un capolavoro.
Una querela a la Repubblica, che si era limitata a riportare le affermazioni di Ferrara, e una richiesta di rettifica a Il Foglio, dolce come una rasoiata. 



 

domenica 26 giugno 2011

Il pH della Costamagna


Poi, una di queste volte, Luca Telese ci spiega cosa intendesse dire con “ragazza ad alto tasso di pH” nel presentare Luisella Costamagna in apertura a In Onda, stasera. Se era una perifrasi per “acida”, il tasso di pH doveva esser “basso”. O Costamagna è molto basica o Telese fa battute a cazzo di cane.


sabato 25 giugno 2011

La monnezza

Sentire alle quattro di mattina i gabbiani urlare di felicità per così sfarzoso banchetto non ha sprezzo.

“Fosse ancora in vita”

“Ignoranza e disdegno di ogni speculazione sistematica:
ecco ciò che caratterizza la mentalità dei primi cristiani”

Albert Camus, Metafisica cristiana e neoplatonismo, Diabasis 2004



Ci sono offese ai morti che chiedono vendetta ai vivi e quella che oggi è fatta ad Albert Camus dalle pagine di Avvenire non può lasciarci indifferenti: si tenta di reclutarlo alle operazioncine furbe di Ratzinger & Ravasi come “guida nel«Cortile dei gentili»”, lui, l’ateo che con Métaphysique chrétienne et néoplatonisme ci ha dato una decostruzione del cristianesimo che rende Cristo inservibile alla dottrina cattolica e forse ad ogni cristianesimo. L’oltraggio non gli è fatto da Valeria Turra, la giovane ricercatrice dell’Università di Verona, autrice di un volume che probabilmente sarà pure onesto, ma da chi la intervista, tal Lorenzo Fazzini, alla disperata ricerca di una risposta che gli consenta di costruire il titolo del pezzo. L’intenzione è evidente fin dall’introduzione: “I 30 anni dalla sua morte, ce­lebrati nel 2010, hanno ri­messo sotto i riflettori la figu­ra lucida e appassionata di Al­bert Camus. Il quale da più parti viene additato – fosse ancora in vita – come uno dei frequenta­tori del Cortile dei Gentili, lo spazio di dialogo tra credenti e atei voluto da Benedetto XVI”.
“Fosse ancora in vita” è il biglietto da visita del Fazzini, “da più parti” (che poi è una parte sola, quella che lo tiene a libro-paga) è il suo domicilio.

L’occasione tarda ad arrivare e il Fazzini smania: Oggi la figura dell’intel­lettuale francese pare distante dal mondo dei non credenti. Il suo approccio può essere da guida per un dialogo positivo tra credenti-laici?”. La Turra non può deludere del tutto chi le sta pubblicizzando il libro, ma con garbata ambiguità fa presente che il pensiero di Camus è antidog­matico e duttile, capace di con­frontarsi con tutti gli aspetti del­la realtà e con autori di varie e­poche e credenze. Richiede però al lettore grande onestà intellet­tuale e capacità di apertura e confronto. In questo senso cre­do possa essere una guida al dialogo fra credenti e laici, come fra persone appartenenti a cul­ture diverse. A condizione però che ciascuno sia capace di met­tersi profondamente in discus­sione. Per chi non voglia correre questo rischio, Camus rimane un autore scomo­do e irritante. In­somma, Camus resta paradigma­tico nella sua for­ma di pensiero perché scava alla ricerca della ve­rità. Il suo anelito ad una società giusta non pre­suppone la fede in Dio ma la sua attenzione all’uomo rimane centrale”.
E questo – non più di questo – consente di titolare l’intervista: “E Camus? Fa la guida nel «Cortile dei gentili»…”.


venerdì 24 giugno 2011

16.9.1927-24.6.2011

Tonino




Se paragoni Berlusconi a Nerone, a Hitler, a Mussolini, a Ceausescu, a Noriega e a Saddam, puoi certamente intrattenerti a chiacchierare insieme a lui, ma devi renderne ragione a quanti condividono il tuo giudizio sulla sua persona, anche in minima parte, soprattutto se si tratta dei tuoi sostenitori. In realtà dovresti renderne ragione anche a chi ritiene che con Berlusconi non ci si più niente da dire.
Hai cambiato parere su Berlusconi? Si spiegherebbe il fatto che riesci a tollerare un civile confronto verbale con chi hai definito corruttore, mafioso, fascista, piduista, magnaccia e stupratore della democrazia, e non più di sette mesi fa, ma sei tenuto a dare spiegazioni del perché, e possibilmente prima di farti vedere a chiacchierare insieme a lui, seminando lo sgomento tra i gonzi che ti credono adamantino, e naturalmente gli devi delle pubbliche scuse. Sbagliavi o nel frattempo Berlusconi è cambiato? Non è certo un crimine intrattenersi a discutere, da capo di un partito d’opposizione, con il leader della maggioranza di governo, ma fino a ieri non sembravano questi i ruoli che ritenevi appropriati: lui era il tiranno e tu ti spacciavi come l’unica credibile alternativa. O la tua posizione era opportunistica ieri o lo è oggi.

Io penso che lo sia quella odierna, Tonino. Stai cercando di scavalcare a destra il Pd per non trovarti spiazzato da una sua possibile intesa con Casini: solo questo spiega la calmata che ultimamente ti sei dato, peraltro levando il significato politico che avevi voluto dare ai referendum quando chiedevi le firme. Hai una paura fottuta di essere emarginato politicamente, e in questo hai in comune qualcosa con Bossi.
D’altra parte solo i fessi possono credere in ciò che da sempre vorresti dar da credere, talvolta nella parte del villico sanguigno, talvolta nei panni del fiero tribuno. In realtà sei un demagogo, e neanche dei migliori. Non hai nemmeno un grammo di cultura liberale e, quando dici “democrazia”, non si fa troppa fatica a capire che stai parlando di un populismo esteticamente diverso da quello di Berlusconi, ma della stessa sostanza. Della cultura in generale, meglio lasciar perdere. In fondo anche tu hai nel fondo l’immarcescibile diffidenza verso tutto ciò che è vera intelligenza, optando per la furbizia degli ignoranti integrali. E in questo probabilmente nemmeno sai quanto somigli a Berlusconi: sei figlio della sua stessa Italietta, poi avete preso strade diverse, lui quella aziendale e tu quella clanica. Siete due facce della stesso familismo, della stessa destra prepolitica e antipolitica, della stessa subcultura da strapaese: in lui meglio mascherata, in te fiera di mostrarsi al naturale.   

Sì, ti sembrerà che sto esagerando, vero? Così sembrerà pure ai poveracci che sono ancora vittime dell’imprinting di Mani Pulite, che peraltro hai malamente sciupato, dilapidando un patrimonio di credibilità ottimamente lucrato (un po’ di mestiere e un po’ di culo), ma anche nel tuo caso siamo di fronte ad un berlusconismo uguale e speculare. Padrone del tuo partito, circondato da fauna ambigua e variegata, puoi concepire la politica solo come processo di fidelizzazione. Anche in te, come in lui, al netto di quanto vi fa sembrare antitetici, c’è lo stesso pezzente che ha fatto fortuna.
Ieri, Il Foglio ti dava dello statista, Tonino. Alla prima lettura, poteva sembrare il bacio del cobra, ma in realtà era la lode che Ferrara non nega mai a un vero fetente. E almeno in questo io di Ferrara mi fido.


giovedì 23 giugno 2011

Rank


Vorrei citare – citare solo – George Clooney, Lele Mora, Michele Misseri, Lorenzo Cherubini, Concita De Gregorio e Zdenek Zeman. Così, giusto perché sennò la page mi piange.

Un sistema, il solito

L’uso del termine lobbista che viene attribuito a Bisignani è tanto improprio da rivelare senza troppo pudore, perfino in modo sfacciato, il fine disonesto di chi glielo attribuisce. Anche di questo dovranno rispondere alla storia i retori minori del berlusconismo, i Ferrara, i Sallusti, i Belpietro, i Sechi, i Minzolini, perché uno dei danni più gravi inferti a questo paese dai servi di Berlusconi è stato quello di distorcere la realtà dei fatti corrompendo il significato delle parole chiamate a rappresentarli.
In giro troverete molte definizioni di lobby, ma io penso che la più completa sia quella offerta dal Dizionario della Lingua Italiana della Treccani: Gruppo di interesse che opera prevalentemente nelle sedi istituzionali di decisione politica attraverso propri incaricati d’affari o apposite agenzie allo scopo di influenzare e persuadere il personale politico a tenere conto degli interessi dei propri clienti nell’emanazione di provvedimenti normativi. Tali attività possono essere più o meno istituzionalizzate e più o meno lecite, a seconda che vengano regolamentate (come negli USA, dove vige l’obbligo di iscrizione dei lobbisti in un apposito albo professionale), o si svolgano senza controlli normativi”. Stando a tale definizione, Bisignani sarebbe un incaricato d’affari al servizio di una clientela interessata all’ottenimento di misure legislative in favore delle proprie attività. Ed è qui, da subito, che appare improprio il termine che la stampa filogovernativa ha scelto per coprire le attività del noto pregiudicato. Da quanto finora è emerso, infatti, e per le stesse ammissioni fatte da Bisignani, non c’è alcuna concordanza tra le attività svolte dal “lobbista” e quelle per le quali una lobby nasce ed opera.
Ma prima di passare all’analisi di queste discordanze, che ci porteranno a optare per una più adeguata definizione della figura di Bisignani, occorre sottolineare che in Italia non esiste un albo professionale dei lobbisti, né tanto meno esiste una normativa che regoli l’attività di una lobby: al di fuori delle regole, e contro quelle esistenti come è in alcune delle ammissioni dello stesso Bisignani, il lobbismo si configura come attività illecita di là dai reati specifici addebitabili agli attori in gioco. Con l’aggravante della segretezza dell’associazione, fatto penalmente rilevante. E anche qui siamo costretti a constatare che la bandiera della legalità, un tempo issata su ogni casamatta della destra, è ormai usata solo per pulirsi il culo da questi ignobili parassiti che sbattono in carcere un ragazzino preso con due spinelli in tasca, respingono barconi di povera gente in fuga dai massacri, multano i viados e i loro clienti, dichiarano fuorilegge la fecondazione assistita e negano un diritto di famiglia ai gay, ma fanno la fortuna dei faccendieri e dei tangentisti ereditati dalla Prima Repubblica. Sono colpe che dovrebbero essere pagate col sangue, ma nelle protesi culturali non ne scorre.
Gruppo di interesse – dunque – che opera prevalentemente nelle sedi istituzionali di decisione politica attraverso propri incaricati d’affari o apposite agenzie allo scopo di influenzare e persuadere il personale politico a tenere conto degli interessi dei propri clienti nell’emanazione di provvedimenti normativi”. Ma quale provvedimento normativo, di grazia, è stato finora promosso dall’opera di Bisignani dall’ultima volta che è stato beccato tra Enimont e Vaticano? In nome e per conto di quali clienti? Quali sono stati gli strumenti dell’influenza e della persuasione messe in atto per operare pressione? Di quale natura è il mandato del quale Bisignani è stato fin qui investito? Ma, soprattutto, quale gruppo e quale interesse possono delinearsi come attore e fine delle sue attività?
Non regge, il termine lobbista non sta affatto bene addosso a Bisignani: si tratta dell’ennesimo espediente manipolatorio che fa di una sciacquetta un “ministro”, di un puttaniere un “utilizzatore finale”, di un venduto un “responsabile” e di un lager un “centro di permanenza”. La più esatta definizione di Bisignani è faccendiere. Faccende sporche, coperte da una tela di favori tessuta con la pazienza del ragno. Bisignani è un sistema, il solito. Chi lo copre e lo eufemizza a “lobbismo” ne è complice.


mercoledì 22 giugno 2011

“Potresti inviare 10, 20, 50 euro o più?”

Nel caso non sappiate cosa sia, “Zenit è una agenzia di informazione internazionale no-profit formata da una équipe di professionisti e volontari convinti della straordinaria ricchezza della Chiesa cattolica, e in particolare della sua Dottrina sociale… Un ruolo essenziale nella vita e nello sviluppo di Zenit è svolto dai suoi lettori, che possono fare un uso personale e gratuito dei Servizi informativi e che sostengono l’agenzia con le loro donazioni… Se preferisci inviare un assegno puoi utilizzare l’indirizzo postale: Zenit - Casella postale XXXXX - 00164 Roma - Italia… Se preferisci il bonifico, i dati sono: Banca Pax Bank - Beneficiario: Zenit - Numero di conto: XXXXXXXX - Bic/Swift Code: Genoded1Pax - Iban: DEXX XXXX XXXX XXXX XXXX XX…”.
Tutto bene, se non fosse che la Pax Bank, con sede in Germania, investe denaro per il Vaticano e non più tardi di due anni fa ha ne ha investito nella misura di 580.000 euro nella britannica Bae Systems, che si occupa di armamenti. Vogliamo scandalizzarci? “Zenit è promossa dalla congregazione religiosa dei Legionari di Cristo”, quelli di padre Marcial Maciel, uomo che sullo stomaco aveva un pelo alto tre dita.
Sette edizioni in altrettante lingue, quella italiana costa 130.000 euro all’anno: Potresti inviare 10, 20, 50 euro o più?”. Sei per principio antimilitarista e ti disturba che i tuoi soldi finiscano in un giro di trafficanti d’armi? Tranquillo, la Pax Bank è in affari pure con la Wyeth, quella che produce anticoncezionali.

Questione da sottoporre a Camurri

Se vuoi leggere il Foglio del giorno dopo già dalla mezzanotte del giorno prima”, puoi abbonarti, ma solo per scoprire che “le pubblicazioni saranno disponibili dopo le ore 3:00 AM”. Non si tratta di un occasionale disservizio, è così da settimane e settimane. Ci sono gli estremi della truffa nel vendere un prodotto a certe condizioni e poi non rispettarle?

Post-it


Sulle condizioni della popolazione carceraria italiana è stato detto tutto, e inutilmente: in larga misura la società è insensibile e la politica ha ampiamente dimostrato di essere incapace di trovare soluzioni. Prima di condannare l’inaudita violenza delle rivolte che prima o poi incendieranno le patrie galere, considerate che ai detenuti non è rimasta altra via.

[...]


“È difficile immaginare come il popolo, da quando è asservito, cade improvvisamente in uno stato di tale profonda dimenticanza della libertà, che non gli è possibile risvegliarsi per riprendersela, e serve tanto spontaneamente e tanto volentieri, che a vederlo non si direbbe che ha perso la libertà, ma che ha guadagnato la servitù. È ben vero che all’inizio si diventa servi perché costretti o sconfitti con la forza: ma quelli che vengono dopo servono senza rimpianti, e fanno volentieri ciò che i loro predecessori avevano fatto per costrizione. In tal modo gli uomini nati sotto il giogo, cresciuti e allevati come servi, non pensano più al passato, ma si accontentano di vivere nella medesima condizione in cui sono nati; non credendo di avere beni e diritti diversi da quelli che posseggono, ritengono naturale la condizione servile in cui sono nati”

martedì 21 giugno 2011

I barbari sognanti



“Se è così, si va avanti  urlava Roberto Calderoli sennò puntini puntini”, e sembrava più una comoda reticenza che un ultimatum. Dal prato saliva un “se-ces-sio-ne, se-ces-sio-ne”, dal palco un anodino “li-ber-tà, li-ber-tà”. I “barbari sognanti” – come li ha chiamati Roberto Maroni – saranno tornati a casa tranquilli? Silvio Berlusconi non potrà dare neanche la metà di quanto la Lega chiede, e la Lega non può permettersi di far cadere il governo al quale ha legato troppo a lungo le sue sorti. Cazzi amari.


lunedì 20 giugno 2011

[...]

“Filmate la scena di quando l’oscuro pm finalmente trova la quadra
e capisce il ruolo di Bisignani, il filo tra Dagospia e il Velino…”


Sapevo che Luigi Bisignani finanziasse in qualche modo Dagospia, non avevo prove ma lo sapevo. Ora aspetto che l’inchiesta arrivi al Velino, così poi vi regalo uno sfizioso apologo fantapolitico che ho nel cassetto da un anno.



Di “nani” e di “ciccioni” (cercando oltre l’ovvio)

Trovo una descrizione assai suggestiva del caratteraccio che può sviluppare un soggetto affetto da nanismo acondroplastico in Psiche e bassa statura di Enrico Molinari e Alessandro Sartorio (Raffaello Cortina, 1999), e mi pare calzi assai bene a Renato Brunetta. Trovo una straordinaria concordanza di dati caratteriali tra quelli nella acuta descrizione del “ciccione” che Gisele Harrus-Revidi ci offre in Psicanalisi del goloso (Editori Riuniti, 1998) e quelli palesemente manifesti nel profilo psicologico di alcuni noti personaggi pubblici italiani in franco sovrappeso, almeno come desumibile da quanto di se stessi ci hanno fin qui offerto, e continuano a offrirci.
È noto che la psicologia non sia una scienza esatta e che pretendere di generalizzare i suoi assunti empirici e le sue teorie sia stupido e soprattutto molto pericoloso. Nel caso del profilo psicologico che è possibile riscontrare in alcuni (e solo alcuni) portatori di questo o quel difetto fisico, il rischio è altissimo e può produrre effetti tragici, subdoli come la caricatura, che insinua sempre un giudizio morale nella sua grossolana percezione fisiognomica dell’umano, ma anche odiosamente espliciti, com’è nella discriminazione del soggetto portatore d’handicap.
Metilparaben fa bene, dunque, a “stigmatizzare senza riserve” chi dà del “nano” a Berlusconi e a Brunetta o del “ciccione” ad Adinolfi e a Ferrara, e bene fa Piovonorane a proporre una bella moratoria (possibilmente eterna) sui veri o presunti difetti fisici degli avversari politici, anche i più detestati”: concordo e aderisco, vantando di non esser mai inciampato in simili bestialità e di averle sempre censurate nei commenti ai miei post. Tuttavia penso che non ci si possa limitare a condannare ciò che porta tanti a ritenere che in ogni “nano” ci sia “una carogna di sicuro” (Fabrizio De Andrè, 1971) e in ogni “ciccione” un “individuo osceno” (Giorgio Gaber, 2001), ma che occorra anche capire perché questo accada solo nei confronti di un certo tipo di “nano” e un certo tipo di “ciccione” (chi si è mai sognato di rinfacciare a Michel Petrucciani la sua bassa statura e a Orson Welles il suo adipe?). Stigmatizzare, quindi, e anche severamente, ma cercare di comprendere cos’è che fa scattare, in chi non sia particolarmente sorvegliato sul piano della cosiddetta “correttezza politica”, la tentazione dell’arma polemica basata sull’insulto che lega in metafora il difetto fisico a quello morale.
Senza dubbio c’è di mezzo l’ancestrale convinzione che il difetto fisico sia causa o effetto di quello morale (causa per il “nano”, per esempio, ed effetto per il “ciccione”) e in questo mi pare di poter affermare che la tradizione culturale dell’occidente cristiano sia sempre stata adeguatamente ambigua verso il difetto fisico: il germe di questa convinzione non sarà sradicato tanto facilmente con una moratoria, anche se l’adesione fosse universale. Infatti penso che esisterà sempre un congruo numero di “nani” e di “ciccioni” che tradurranno in atteggiamenti e in comportamenti patologicamente reattivi ciò che il difetto fisico in essi genera o esprime sul piano psichico, alimentando in questo modo – chissà, forse in eterno – l’odioso pregiudizio. Nel caso di Brunetta, per esempio, l’insulto pare quasi cercato.

I medici consigliano il ricovero a Pannella

Modestamente, io lo consigliavo già dal 2007.

Il Premio «Stronzo d’Oro» di questa settimana...


Il Premio «Stronzo d’Oro» di questa settimana va senza dubbio a Sono un militante berlusconiano e non ho nulla da dichiarare” (Il Foglio, 20.6.2011), col quale Giuliano Ferrara tenta di darsi un profilo tragico, vestendo la fiera nobiltà dello sconfitto che non si pente, né chiede sconti, ma offre se stesso ai vincitori come un problema da risolvere. Problema mica tutto suo, dunque, né solo di quanti hanno con lui vivacchiato alla grande, per quasi due decenni, alla corte di Silvio Berlusconi.
Perdenti, certo, ma adesso mica si può chieder loro di pagare il prezzo della sconfitta standosene un po’ in disparte a meditare: i vincitori correrebbero il serio rischio di scrivere la storia del berlusconismo infarcendola di “menzogne retoriche”, il “lavoro storico” ha bisogno da subito del contributo dei vinti, per amore della libertà intellettuale e dello spirito critico”, sennò c’è il rischio di non vergare un “giudizio equanime”. L’appello viene da uno dei più appassionati difensori di quel Cesare Previti che alla vigilia di una vittoria del centrodestra minacciava di “non fare prigionieri”, ma questo è successo tanto tempo fa e dunque, via, chiudete un occhio: “Chiamo i lettori e le persone che stimo a riflettere su un pezzo della nostra vita ormai consumato per tutti, servi e uomini liberi, amici dei criminali e amici delle guardie, a non dissiparla malamente nel rancore, nella coazione a ripetere, nella demenza dell’odio mal dissimulato”.
Disertare l’appello? Vuol dire rinunciare alla stima di Giuliano Ferrara: siete sicuri di riuscire poi a sopravvivere senza?


domenica 19 giugno 2011

Il rango / 1


“Portare le arance in galera a qualcuno” è un modo di dire, d’altra parte sono ormai decenni che i regolamenti carcerari lo vietano. Anche “lobbista di rango” dev’essere un modo di dire, perché Luigi Bisignani è solo un faccendiere che finora aveva avuto molto culo e una qualche indubbia qualità. Anche il suo potere è sempre stato molto sopravvalutato: negli ultimi vent’anni ha senza dubbio realizzato una solida e vasta rete di relazioni che si è estesa in molti ambienti (finanza, politica, informazione, magistratura), non di rado lambendone altri mal definibili, ma non è affatto – non lo è mai stato – più potente di Berlusconi, come quest’ultimo ebbe a dire qualche anno fa. È che la tentazione a immaginare che il potere sia incarnato da singoli individui, in un paese dove l’individuo è sempre e solo la funzione istantanea di un gruppo (famiglia, clan, cordata, ecc.), dà luogo ad artefatti di responsabilità e merito personale che stanno sempre tra il millantato credito e la leggenda. Saranno i magistrati a stabilire se Luigi Bisignani abbia cumulato reati penali in questi ultimi vent’anni, da quando fu provato che da direttore delle relazioni esterne del gruppo Ferruzzi aveva violato la legge sul finanziamento pubblico dei partiti, ma sarà molto difficile, anche se pare che sia disposto a collaborare con gli inquirenti che hanno chiesto e ottenuto la misura cautelare che è stata disposta nei suoi confronti e della quale – si badi bene – finora non è stata chiesta revoca dalla difesa. Probabilmente non si avrà mai conferma di quello Gianni Barbacetto e AlbertoStatera hanno scritto tra le righe dei tanti inoppugnabili riscontri da essi prodotti negli ultimi loro articoli per Il Fatto e la Repubblica, e la pagina di Wikipedia alla voce Luigi Bisignani è la miglior prova che a “Gigi il Federatore” può essere dedicata – con maggior profitto – l’attenzione che merita un epifenomeno: più che a un attore, siamo di fronte a una scena. Se la penultima parola spetterà ai giudici, non ci resta che osservare la scena e cercare di capire come Luigi Bisignani sia venuto a ritagliarsi la parte. In tal senso può servirci più sentirlo parlare che costruire ipotesi. E può servirci più seguire le sue tracce dall’entrata in scena che interrogarci sul ruolo interpretato negli ultimi decenni. È nella sua preistoria, nei primi passi mossi, che forse può venirci qualche indicazione sul mondo che gli si è andato a costruire intorno.
Cominciamo dal 26 marzo 1988, quando Lino Jannuzzi lo intervista per Radio Radicale sulla sua prima fatica letteraria (Il sigillo della porpora, Rusconi 1988). Ci parla di sé, ma non solo di sé. Perfino la trama della sua spy story è assai più reale delle supposizioni che oggi vengono imbastite sulla sua persona.


Notevole è il suo sottolineare la casualità dell’interessamento di Giulio Andreotti al suo romanzo, come se non avesse lavorato come capo ufficio stampa di un ministro del governo Andreotti, Gaetano Stammati.
Sei anni dopo, il 12 gennaio 1994, Luigi Bisignani è testimone indagato in reato connesso al processo Cusani (“affare Enimont”). Antonio Di Pietro lo interroga sul ruolo che egli avuto nell’apertura di un conto bancario presso lo Ior (Fondazione San Serafino) sul quale sono transitati più di 140 miliardi delle vecchie lire. Dai servizi che ha svolto in favore del gruppo Ferruzzi, per mandato di Cusani, Bisignani ha ricavato poco più di 4 miliardi (poi si scoprirà che ha anche fatto la cresta sui CCT che depositava allo Ior), ma veste un profilo basso, da postino che sa poco o niente. Tuttavia, in queste prime tre sezioni delle quattro relative a questa udienza, delinea il suo ruolo di tramite tra i reflui della maxitangente Enimont e lo Ior (più tardi Gianluigi Nuzzi ne tratterà in Vaticano SpA, Chiarelettere 2009), nonché tra la politica (Cirino Pomicino) e la finanza (Gardini).


En passant, deve essere sottolineata la grassa ignoranza di cose vaticane esibita da Di Pietro in questa circostanza. Per quanto riguarda Bisignani siamo ai limiti della reticenza: più tardi si saprà che lo Ior fungeva da deposito, tenendo per sé gli interessi (copertura: aiuto ai bambini leucemici), e questo Bisignani non poteva ignorarlo. Tuttavia, infarcendo la sua testimonianza di “credo”, “immagino”, “può darsi”, “non posso escluderlo”, banalizza il ruolo della banca vaticana e soprattutto il suo. Solo più tardi si saprà che Gardini ebbe a lamentarsi non poco di quanto fosse costato il servizio dello Ior tra commissioni e creste (più di 10 miliardi).
Notevole è la chiusa della testimonianza, relativa al compenso che Bisignani riceve per i suoi servizi:


È solo nell’udienza di tre settimane dopo, il 2 febbraio 1994, che nel confronto voluto da Di Pietro tra Bisignani e Sama per sostanziare esattamente il ruolo del primo, fin lì reso quasi evanescente dalle sue vaghezze, che tutto si chiarisce, almeno in parte. E qui fa la comparsa – per la prima volta, credo – quello che poi sarà il carattere più distintivo delle operazioni che a Bisignani vengono attribuite dalla stampa posteriore. Lungi dall’essere ciò che abitualmente viene inteso come potere, è il riconoscergli da parte dei soci in affare (dai complici, eventualmente) la capacità di gestire al meglio la zona grigia tra la responsabilità del capitale, inteso come valore nominalmente attribuibile ad un soggetto, e quanto ne deriva in utile alle figure che hanno mandato a gestirne l’azione. Qui Bisignani si dimostra tutt’altro che lobbista (tanto meno di rango, come vorrebbe Giuliano Ferrara), ma mero faccendiere che nasce e muore come parassita del sistema (qui del finanziamento illecito ai partiti politici).


Ferrara dà la definizione di “lobbista” a chi “ha una robusta rete di relazioni in ogni ambiente sociale e politico e imprenditoriale, combina rapporti d’affari, maneggia le informazioni economiche e politiche riservate, è un esperto conoscitore delle burocrazie e del management pubblico, briga per le nomine dei potenti di stato, garantisce tutti con la sua riservatezza” (Il Foglio, 17.6.2011). È un profilo che Bisignano non veste bene: fa finta che non siano i suoi abiti, tacitamente ricatta i suoi soci d’affari perché confermino la sua versione che in quegli abiti si trovi per caso. Sarà così per i prossimi vent’anni: nella parte finale del confronto tra Bisignani e Sama affiora un personaggio già inservibile alla Prima Repubblica e già indispensabile alla Seconda. Come abbiamo già sentito dalla sua voce, Bisignani rigetta il ruolo del lobbista e nega quello che Sama finisce per dover implicitamente svelare: quello del figlio di puttana.



[segue]