@ementana decide che non cinguetterà più, la polemica divampa fino a lambire i massimi sistemi e della scintilla che ha appiccato il
fuoco – l’affermazione fatta da Giuliano Ferrara nel corso di una trasmissione
condotta da Enrico Mentana: «La mafia è l’essenza della Sicilia» (La7,
7.5.2013) – non se ne parla, come se gli insulti piovuti via Twitter addosso ai
due fossero del tutto gratuiti. A chiudere la questione su questo punto – a pensare
di averla chiusa – è stato lo stesso Ferrara, che su Il Foglio di venerdì
10 maggio, rispondendo alle proteste di una lettrice siciliana, ha scritto: «Io
parlavo dell’essenza. Legga “Cose di Cosa nostra”, il bel libro di Giovanni
Falcone e Marcelle Padovani. […] [Falcone] ha detto quel che io ho ripetuto». Vi risulta che qualcuno si sia preso il disturbo di andare a leggere cosa
avesse davvero scritto Falcone? A me non risulta. Bene, ci ho pensato io.
Mi ha
mosso innanzitutto l’incredulità nel fatto che Falcone potesse aver detto una
tale scempiaggine, ma ad andare in libreria, a procurarmi il libro, a leggerlo
dalla prima all’ultima riga delle sue 190 pagine mi ha spinto il fatto che
Ferrara avesse aspettato 48 ore per dare quella risposta. Perché? Semplice: non
poteva farlo prima, non aveva ancora trovato l’intoccabile al quale mettere in bocca
quella stronzata. A trovarglielo è stato Salvatore Merlo che in un articolo
pubblicato sullo stesso numero de Il Foglio riportava un brano di quel libro: avrebbe
dovuto dimostrare che «anche Falcone ne faceva una questione di essenza».
Leggiamolo: «Un giorno ho assistito a Palermo a una scena di strada estremamente
significativa. Un tizio protesta contro un altro che ha parcheggiato di
traverso, intralciando la circolazione. Si agita, urla. L’altro lo osserva
indifferente e poi continua a parlare con un suo amico come se niente fosse. Il
tizio non fa una piega e se ne va senza fiatare. Aveva capito, davanti all’atteggiamento
sicuro dell’interlocutore, che, se avesse insistito, le cose avrebbero preso
una brutta piega e lui sarebbe uscito perdente dallo scontro. Questa è la
Sicilia, l’isola del potere e della patologia del potere».
Dimostra che «la
mafia è l’essenza della Sicilia»? A me non pare affatto, d’altronde, se «essenza»
è «quanto individua e definisce la realtà di un oggetto materiale o ideale» (Devoto-Oli),
la sua
«realtà propria e immutabile» (Treccani), in tutto il libro non v’è traccia di tale relazione tra mafia e Sicilia. In quanto al termine, poi, «essenza» è usato una sola volta,
nell’avvertenza in avantesto a firma di Padovani, e senz’alcuna attinenza alla
mafia o alla Sicilia.
Nel libro ci sono altri passaggi che implichino una
relazione tra mafia e Sicilia che consenta a Ferrara di poter affermare che,
nel dire: «La mafia è l’essenza della Sicilia», ha ripetuto quel che Falcone ha detto? Tutt’altro. Ogni volta che Falcone mette in relazione una caratteristica del mafioso a un aspetto della sicilianità, tiene a sottilineare con forza che si tratta di una degenerazione che lo rende «parossismo» (cap. II), di una sua «sublimazione a livello criminale» (cap. III): altra cosa che «essenza».
E dunque? Cosa è accaduto? Nel corso di una trasmissione televisiva condotta da Mentana, Ferrara si è fatto prendere la mano e ha fatto un’affermazione che probabilmente voleva essere provocatoria, ma che di fatto era stupida e offensiva, e che successivamente avrebbe messo in bocca a Falcone, che non si era mai sognato di affermare nulla di simile. Qualche siciliano si è risentito e ha reagito con offese alle offese. Senza dissociarsi dall’affermazione
di Ferrara, Mentana si è lamentato delle offese indirizzate a Ferrara, e così se n’è procurate altre indizzate a lui. Qui s’è turbato, ha cinguettato un addio ed è volato via.