Ku prawdzie i wolnosci (Cracovia, 2010) è una raccolta di documenti della Sluzba Bezpieczenstwa, la polizia politica della Polonia comunista, tutti relativi a Karol Wojtyla, scrupolosamente attenzionato per oltre trent’anni, dal 1946 fino alla vigilia della sua elezione al Soglio Pontificio nel 1978, dai tanti informatori sui quali il regime ha sempre potuto contare nel clero polacco: il libro è di qualche mese fa, chissà se arriverà mai in Italia, ma l’ultimo numero de La nuova Europa pubblica la traduzione di altri stralci e Luigi Geninazzi stende un commento che descrive il contesto con faticosi eufemismi (Avvenire, 22.10.2010).
In pratica, il futuro Giovanni Paolo II fu spiato a lungo e a fondo da decine di preti e laici cattolici, a lui talvolta anche assai intimi, che il regime teneva a paga o teneva per le palle a causa dei loro vizietti, per lo più sessuali. Wojtyla sapeva di essere controllato molto da vicino e riuscì sempre a mantenere un profilo basso e perfino ambiguo, mentre invece andava creando attorno a sé una rete sociale sempre più estesa e forte, che avrebbe fatto da incubatrice a Solidarnosc.
Tutto molto affascinante, senza dubbio, guardando a un Wojtyla o a un Popieluszko; guardando la chiesa polacca, un po’ meno. Fu la pubblicazione di documenti degli archivi dei servizi segreti del regime comunista che provavano la sua attività di informatore a costringere alle dimissioni Stanislaw Wielgus, arcivescovo di Varsavia solo per poche ore. Il suo caso era solo la punta dell’iceberg, che emerse nel gennaio 2007, portandoci a conoscenza dell’agente Seneka, dell’agente Zagielowski, dell’agente Ares, dell’agente Erski: tutti preti e non dell’ultima parrocchia di periferia.
Bene, pare che il Geninazzi soffra nel ricordare a stesso che un Wojtyla o un Popieluszko erano l’eccezione, e che fra i membri del clero era assai alto il numero di quanti avevano trovato un concordato privato col regime comunista. E scrive che, “a leggerle oggi”, le attività dei “preti che fanno il doppio gioco” sembrano “buffe e ridicole”, ma “dicono fino a che punto [gli uomini del regime] erano decisi a spingersi nel controllo totale delle persone”. Come a dire: il comunismo era feroce e determinato, ma si serviva di traditori fessi.
Salvare capra e cavoli: Wojtyla e la chiesa polacca. E come si dimostra che la vera chiesa polacca non era anche quella che prendeva paga dal regime? “Alla fine gli spioni non sono serviti a nulla, Wojtyla diventerà papa e per il comunismo sarà l’inizio della fine”. Vince chi vince, e si piglia la ragione. Sennò per sopravvivere si adegua, e vince lo stesso. La pelle del leone rivoltata fa un buon caldo.
Oppure dice semplicemente quanto le esigenze di sopravvvivenza terrena superino i sacri ideali di un dio ultraterreno in cui nemmeno loro fermamente, di come la gente sia sempre acquistabile, di come l'elezione di Wojtila sia stata una scelta politica della chiesa cattolica e di come, morto il comunismo, la chiesa stessa ha iniziato a boccheggiare digrignando i denti sempre più forte.
RispondiEliminaAl solito, basta cambiare le prospettive e tutto il panorama cambia.
Vince chi vince, e si piglia la ragione. Sennò per sopravvivere si adegua, e vince lo stesso. La pelle del leone rivoltata fa un buon caldo.
Sì, un ottimo caldo. Strano che la chiesa si accapparri la maggior parte di queste pellicce.
I preti spioni sono stati non più del 10 % di tutto il clero polacco. Tanti? Pochi? In ogni caso non si può dire che la Chiesa polacca era filo-regime. Lo testimoniano i fatti, dal Primate Wyszynski fino a tanti preti e laici anonimi e coragigosi. Chi è stato in Polonia negli anni del comunismo lo sa bene. Chi invece vuole fare inutili polemiche nel 2010 forse nasconde altri fini.
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