lunedì 17 febbraio 2014

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Qualche giorno fa, Bergoglio ha incontrato la delegazione dell’American Jewish Committee e ieri L’Osservatore Romano ha pubblicato il testo del discorso che ha tenuto in quell’occasione. Niente di eccezionale, le solite carinerie che da qualche decennio i pontefici spalmano su secoli e secoli di feroce antigiudaismo. Tra queste, la più ruffiana: gli ebrei sarebbero i «fratelli maggiori» dei cristiani.
Ora, si dà il caso che le brutture della cronaca politica italiana mi costringano a distogliere lo sguardo dalle miserabili panzane che in questi giorni vanno accreditando come soluzione emergenziale quello che di fatto è un colpo di stato strisciante. Lascio, dunque, a chi ha stomaco più forte del mio, e lodevole fiducia nel fatto che dimostrarne la fallacia possa neutralizzarle (io ho miei dubbi, gli italiani sono in gran parte stupidi e in fondo un Renzi, dopo un Berlusconi, lo meritano), per dedicarmi a una panzana assai più grossa, e che per giunta gode di gran credito: che gli ebrei sarebbero «fratelli maggiori» dei cristiani.
Panzana che trova basi solide su un assunto che anche autorevoli studiosi danno per scontato, e cioè che tra il I e il II secolo dell’era volgare l’ebraismo avrebbe subìto uno scisma: i cristiani sarebbero gli scismatici che abbandonarono l’antica fede per fondarne una nuova, tuttavia ramo di quel tronco. Bene, le cose non stanno affatto in questo modo: né l’ebraismo è così «antico», né il cristianesimo è così «moderno», come abitualmente si ritiene. Del tutto errato, dunque, concepire il dissidio che tra di essi si consumerà per oltre quindici secoli, dalle Homiliae contra Iudaeos di Giovanni Crisostomo alle pagine de La Civiltà Cattolica a cavallo tra XIX e XX secolo, in termini di «superamento», come vorrebbero i cristiani, o di «tradimento», come vorrebbero gli ebrei.
Nel II secolo, quando ormai il cristianesimo ha assunto già buona parte dei suoi caratteri distintivi, l’ebraismo non è affatto la religione dell’Antico Testamento, ma il risultato di ciò che ha prodotto la riforma rabbinica del I secolo, che ha corso parallelo a quella che dall’antica fede porta al cristianesimo, nel quale molti elementi ne continuano ad essere presenti. In sostanza, la nascita dell’ebraismo (così come è oggi) è coeva a quella del cristianesimo: sono due rami dello stesso tronco, dal quale si dipartono nello stesso arco di tempo. Ma c’è di più, perché nel cristianesimo persistono alcuni elementi che la riforma rabbinica del I secolo espunge dall’antica fede: né il cristianesimo, dunque, è così «rivoluzionario» come si dà per inteso dietro sua pretesa, né l’ebraismo che conosciamo noi esisteva ancora ai tempi di Cristo, e dunque non è così «tradizionale» come pretende di darci a intendere.
È che con la distruzione del tempio di Gerusalemme, nel 70 d.C., si ebbe la chiusura di un arco storico – quello che appunto è relativo al cosiddetto «Giudaismo del Secondo Tempio» – nel quale si fa davvero fatica ad individuare un’ortodossia di fede tra le numerose correnti di pensiero che orbitano nella galassia giudaica (sadducei, farisei, zeloti, esseni, samaritani, battisti, ecc.), e in fondo Cristo non è che il fondatore di una nuova setta in questo variegato contesto, come d’altronde più che ampiamente documentato negli Atti degli Apostoli: fino al 70 d.C. i seguaci di Cristo sono considerati membri di una delle tante sette giudaiche, dai membri delle altre sette e dai pagani, ed essi stessi si considerano tali.
Cade così l’assunto che il cristianesimo abbia radici nell’ebraismo così come lo conosciamo oggi, per il semplice fatto che questo ebraismo non esisteva ai tempi di Cristo. Tanto meno l’assunto regge dopo il 70 d.C., con la nascita di questo ebraismo, che è soltanto, al pari del cristianesimo, un prodotto della riforma del vecchio, che d’altronde è solo quanto dal Primo al Secondo Tempio è venutosi a sedimentare in un corpo dottrinario assai poco univoco, e nel quale si distinguono tre prevalenti tendenze (quella sadducea, quella farisea e quella essena) che per lungo tempo troveranno modo di convivere senza troppe difficoltà.
Qui, allora, si pone la questione: da quale di questi filoni Cristo prende le mosse per la sua riforma dell’ebraismo che andrà in divergenza con quella rabbinica? L’ipotesi di un Gesù esseno, scartata dopo il ritrovamento dei Manoscritti di Qumram, è da riprendere in considerazione dopo la scoperta che a scriverli furono membri di una comunità assai esigua in ambito esseno, quasi certamente in dichiarato dissidio con la gran parte degli esseni, e su un punto fondamentale, cioè il rapporto tra Dio e il Male. A differenza del gruppo che si ritirò sulle sponde del Mar Morto, la comunità essena traeva le proprie convinzioni sul punto da quanto andò a confluire, tra il IV e il I secolo a.C. nel Libro di Enoch, che non a caso non trova alcuna eco nei testi di Qumram ed è considerato apocrifo anche dagli ebrei che seguirono la riforma rabbinica.
Bene, basta leggere il Libro di Enoch per trovarvi spiegazione di più d’uno di quei punti oscuri che sono sparsi nei Vangeli, soprattutto quelli in relazione a massime che escono dalla bocca di Gesù: volendone negare il tributo che devono alla tradizione enochica, com’è d’obbligo per chi deve presentare il cristianesimo come inedita «rivoluzione», si è costretti a inverecondi salti mortali, mentre a cercarne spiegazione nel Libro di Enoch, soprattutto nelle due prime sezioni (Libro dei Vigilanti e Libro delle Parabole), di cui da qualche tempo abbiamo prova che in origine fossero stesi in aramaico, tutto si scioglie e il Padre di cui parla Gesù trova pieno riscontro. Così col senso che il cristianesimo darà alla personificazione del Male. Così col senso che il cristianesimo darà al Regno dei Cieli. In pratica, Gesù si limita allo scandalo del porsi a nodo tra Figlio dellUomo e Figlio di Davide, e in fondo pagherà solo per questo con la vita. Un libro, quello di Enoch, che così è sottratto ad ogni attenzione: per gli ebrei  «riformati» è materiale inservibile, per i cristiani è una placenta da divorare.  
Altro che «rivoluzione», il cristianesimo è di derivazione enochica come l’ebraismo nella forma che conosciamo (quella che deve il massimo contributo alla riforma di rabbi Yehudah HaNasi) è di derivazione sadducea. Altro che «fratelli maggiori» e «fratelli minori», si tratta di due gemelli eterozigoti partoriti dalla stessa grande crisi che nel I secolo travolge il «Giudaismo del Secondo Tempio».  


4 commenti:

  1. Potrebbe cortesemente dare qualche riferimento bibliografico per chi volesse approfondire (c'è molto ciarpame in giro e non sempre è facile separare il grano dal loglio)? In particolare il penultimo capoverso (da "Bene" a "divorare"). Grazie.
    LB

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    1. - Sacchi, Apocrifi dell'Antico Testamento, Utet 1981-1989
      - Boccaccini, Il medio giudaismo, Mariettui 1993
      - Martinez, Gli uomini di Qumran, Paideia 1996
      - Maier, Il Giudaismo del Secondo Tempio, Paideia 1991
      - Shanks et al., Christianity and Rabbinic Judaism, B.A.S. 1992
      - Van der Kam, Enoch: A Man for All Generations, Un. of S.Carolina Press 1995
      - Neusner, Il giudaismo nei primi secoli del cristianesimo, Morcelliana 1989
      - Charlesworth, Gli pseudepigrafi dell'Antico Testamento e del Nuovo Testamento, Paideia 1990

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  2. Volpi Ammetto la mia semi-ignoranza sull'argomento e sono molto interessato ai libri proposti sopra ma vorrei riportare un' opinione che si è venuta a formare da parte mia. L'ebraismo attuale non è più influenzato dalla setta dei Farisei piuttosto che dai Sadducei ? La nozione di vita dopo la morte presente nell'ebraismo attuale era appunto rifiutata dai Sadducei e per quanto so proviene dai Farisei.

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    1. Risulta anche a me; del resto i "rabbi", maestri (come Gesù stesso), erano in genere farisei, mentre i Sadducei erano più legati all'aristocrazia ebraica.

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