Fin qui ho solo sfiorato la vicenda relativa al tweet nel quale Richard Dawkins ha definito «immorale» portare avanti una gravidanza con feto portatore di sindrome di Down quando sia possibile interromperla per tentare di averne un’altra con feto sano, l’ho fatto limitandomi a segnalare la scorrettezza di chi, per colorarlo della «brutalità» di cui evidentemente l’assunto di principio gli è parso potesse non esser pieno a dovere, ha scritto che era il consiglio personalmente dato ad una donna realmente incinta (Il Foglio, 22.8.2014). Mi è stata sollevata l’obiezione di aver voluto appuntare l’attenzione su un dato di natura meramente formale, come non esistesse alcuna relazione tra la forma che si sceglie di dare a un argomento e la sostanza di quanto gli si vuol far dimostrare. Che la donna cui era indirizzato il tweet fosse realmente incinta o meno, invece, ritengo non sia affatto irrilevante, e qui vorrei soffermarmi a spiegare meglio il perché, con ciò dando premessa alla risposta che devo a chi mi ha chiesto cosa consiglio ad una gravida dopo aver fatto diagnosi di una grave malformazione a carico del feto.
Dico subito che mi limito a spiegare come stiano le cose, e cerco di farlo con delicatezza, ma senza venir meno al dovere di essere schietto, cercando di evitare sia eufemismi che crudezze. In ogni caso evito di dare consigli sul da farsi, anche quando mi vengono richiesti con l’evidente fine di avere avallo ad una scelta che intimamente è già presa, qualunque essa sia. Così quando tale scelta mi è comunicata: qualunque essa sia, mi astengo da ogni osservazione che possa anche lontanamente aver forma di approvazione o di biasimo. Nei panni di chi ho davanti so quale sarebbe la decisione che prenderei io, ma ritengo che in situazioni del genere ciascuno abbia il diritto e il dovere di arrivare ad una scelta libera da condizionamenti esterni alla propria sfera di opinioni e sentimenti. Nei panni di chi ho davanti la mia decisione sarebbe uguale a quella consigliata da Richard Dawkins, qui non ho alcuna difficoltà ad ammetterlo, ma dirlo ad una donna che in utero ha un feto gravemente malformato assumerebbe un altro significato.
Mi rendo conto di aver anticipato la risposta saltando la premessa con la quale avevo intenzione di spiegare quale sia la differenza tra esprimersi in favore della scelta eugenetica, che è quanto Richard Dawkins ha fatto col suo tweet, e consigliarla ad una donna che in utero ha un feto gravemente malformato, che è quanto invece non ha fatto. A chi è contrario che nel caso di specie sia data libertà di scelta torna comodo far credere che l’opzione dell’interruzione di gravidanza voglia essere imposta da chi in realtà si limita ad ammetterla, e così è stato nel caso specifico che qui trattiamo, dove l’insinuazione è parsa tanto più agevole per l’uso del termine «immorale» al quale Richard Dawkins è ricorso: in pratica, si è inteso dare alla sua «morale» il carattere cogente che invece è il tratto distintivo di quella che nega la libertà di scelta.
Basta aver letto Il gene egoista per dare il giusto senso a ciò che nel suo tweet Richard Dakwins ha definito «immorale»: sta per «contrario al buonsenso». Un buonsenso, occorre dire, che da qualche tempo trova sempre maggiore coincidenza nel senso comune, come dimostra il sempre più frequente ricorso alla diagnostica prenatale. Una «morale», dunque, quella di Richard Dawkins, che, lungi dall’essere il dettato di una norma trascendente, si limita ad esprimere la ratio che possa governare al meglio l’immanente. Sgradevole quanto si voglia a chi ne abbia una diversa, è una «morale» che esprime l’ormai consolidata opinione che tra ovocellula fecondata, morula, blastocisti, embrione, feto e uomo ci siano differenze significative, e che siano proprio queste a dar contro del processo che dalla materia biologica porta alla persona, quando accade e se accade.
Dico subito che mi limito a spiegare come stiano le cose, e cerco di farlo con delicatezza, ma senza venir meno al dovere di essere schietto, cercando di evitare sia eufemismi che crudezze. In ogni caso evito di dare consigli sul da farsi, anche quando mi vengono richiesti con l’evidente fine di avere avallo ad una scelta che intimamente è già presa, qualunque essa sia. Così quando tale scelta mi è comunicata: qualunque essa sia, mi astengo da ogni osservazione che possa anche lontanamente aver forma di approvazione o di biasimo. Nei panni di chi ho davanti so quale sarebbe la decisione che prenderei io, ma ritengo che in situazioni del genere ciascuno abbia il diritto e il dovere di arrivare ad una scelta libera da condizionamenti esterni alla propria sfera di opinioni e sentimenti. Nei panni di chi ho davanti la mia decisione sarebbe uguale a quella consigliata da Richard Dawkins, qui non ho alcuna difficoltà ad ammetterlo, ma dirlo ad una donna che in utero ha un feto gravemente malformato assumerebbe un altro significato.
Mi rendo conto di aver anticipato la risposta saltando la premessa con la quale avevo intenzione di spiegare quale sia la differenza tra esprimersi in favore della scelta eugenetica, che è quanto Richard Dawkins ha fatto col suo tweet, e consigliarla ad una donna che in utero ha un feto gravemente malformato, che è quanto invece non ha fatto. A chi è contrario che nel caso di specie sia data libertà di scelta torna comodo far credere che l’opzione dell’interruzione di gravidanza voglia essere imposta da chi in realtà si limita ad ammetterla, e così è stato nel caso specifico che qui trattiamo, dove l’insinuazione è parsa tanto più agevole per l’uso del termine «immorale» al quale Richard Dawkins è ricorso: in pratica, si è inteso dare alla sua «morale» il carattere cogente che invece è il tratto distintivo di quella che nega la libertà di scelta.
Basta aver letto Il gene egoista per dare il giusto senso a ciò che nel suo tweet Richard Dakwins ha definito «immorale»: sta per «contrario al buonsenso». Un buonsenso, occorre dire, che da qualche tempo trova sempre maggiore coincidenza nel senso comune, come dimostra il sempre più frequente ricorso alla diagnostica prenatale. Una «morale», dunque, quella di Richard Dawkins, che, lungi dall’essere il dettato di una norma trascendente, si limita ad esprimere la ratio che possa governare al meglio l’immanente. Sgradevole quanto si voglia a chi ne abbia una diversa, è una «morale» che esprime l’ormai consolidata opinione che tra ovocellula fecondata, morula, blastocisti, embrione, feto e uomo ci siano differenze significative, e che siano proprio queste a dar contro del processo che dalla materia biologica porta alla persona, quando accade e se accade.
Capisco il punto di Dawkins, tuttavia trovo infelice l'uso della parola "immorale", quando quello più proprio - a mio avviso - è "irrazionale": mettere al mondo un bambini sapendo che è malato, quando poi ritentare di metterlo al mondo sano (ovvero senza già un'ipoteca sul suo futuro) è, appunto, irrazionale fuori dalla logica.
RispondiEliminaNell'ambito utilitaristico, "morale" equivale a "razionale".
EliminaOttima precisazione.
RispondiEliminaResta scoperta la discriminazione down/autismo.
Non ha che da twittarlo a Richard Dawkins.
EliminaMi sorge un dubbio:
RispondiEliminaqualora fosse possibile e ove una donna lo ritenesse opportuno, abortire un feto gay sarebbe poi del tutto irrazionale?
certo, sopratutto se avesse la certezza che, il padre fosse lei, anonimo di ostia.
Elimina@ Anonimo
EliminaForse è un circolo vizioso, o no? Non ci sarebbero motivi oggettivi perché non sia del tutto irrazionale, a meno di considerare oggettiva la transitorietà di una situazione storica (mi riferisco alle discriminazioni, per esempio): la quale però si alimenta di valutazioni del tutto irrazionali.
Poi, certo, se uno intende per razionale qualcosa di totalmente privo di qualunque oggettività, allora la donna può dichiarare razionale e irrazionale ciò che vuole, abortire chi vuole e siamo al punto di partenza; però non credo proprio fosse questo il punto.
Adesso è un po' più chiaro: anche io avevo pensato che tra la risposta ad una ipoteticamente incinta e a una incinta davvero non ci fosse differenza. Invece c'è, a quanto pare. Solo che il mettersi a fare sottigliezze tra ambito utilitaristico, trascendente, immanente etc su twitter o in venti righe su un blog non mi sembra opportuno comunque: quanti possono cogliere immediatamente queste sfumature filosofiche?
RispondiElimina@ Piccola Romana
EliminaMica tutti i personaggi pubblici sono obbligati ad usare twitter per raggiungere le masse. Per fortuna, aggiungerei.
E poi, insomma, persino io con le sole due righe di twitter avevo intuito correttamente il senso del suggerimento: certo, forse guidato inconsapevolmente da una vaga conoscenza del personaggio pubblico. Però ci vuole impegno attivo anche per cogliere l'esatto contrario, a mio avviso.
Io il personaggio pubblico non lo conoscevo nemmeno, e leggendo il twit mi è parso semplicemente di capire un realismo estremo, condivisibile o meno. Io sono per la libertà di scelta della donna, sono attualmente incinta ma una cosa del genere non mi sentirei mai di dirla né potenzialmente né effettivamente. Poi ognuna facesse un po' quel che crede giusto (sperando che la legge lo consenta)
Elimina@ Piccola Romana
EliminaIl tweet era a mio parere non scevro di perentorietà, con quel immorale in coda, anche se il senso del suo pensiero era comunque più morbido. Io avrei al limite parlato di preferenza dal punto di vista morale, ma sinceramente io non esagererei in ogni caso le reazioni ad una valutazione di questo tipo, quando giungono da persone che fanno della libertà di scelta individuale una bandiera sopra a tutto. Posso sostenere di essere a favore di tale libertà ma, allo stesso tempo, non mettere necessariamente tutte le scelte equamente sullo stesso piano per quanto concerne la mia personalissima scala di valori morali. Siamo talmente abituati a gruppi che dichiarano preferenze morali solo per poi tentare di imporle a tutti che ci sentiamo minacciati persino quando si esprime solo un'opinione.
Dichiarare ciò, inoltre, apre le propria posizione al dibattito e al confronto. Io personalmente penso che quando la sensibilità di alcune persone arrivi al punto di desiderare che gli altri non esprimano (nemmeno ad altri da sé) questo tipo di giudizi, civilmente si intende -senza interferenze con le azioni- percependole come aggressioni o minacce, allora essa è un po' patologica. Io, ad una persona dico senza dubbio "la scelta è tua", ma se insiste nel chiedermi un parere personale non escludo che io elabori oltre. Se altri presenti sono troppo sensibili, beh, mica posso farmene io un problema. Dawkins è stato chiamato in causa ed ha detto la sua, in modo un po' secco, tutto qua.
Riguardo il "realismo estremo", beh, qui mi metto nei panni di Dawkins e del suo pensiero "filosofico": e dal suo punto di vista è lo stesso "realismo estremo" di un genitore che sia chiamato a scegliere tra far prendere antibiotici per un'infezione al braccio del figlio, con eccezionali prospettive di successo, e farglielo amputare e basta per la certezza immediata della soluzione. Dichiara moralmente preferibile la prima opzione. Poi se per motivi "di fede" o "personalissimi" qualcuno è di avviso che sia meglio amputare il braccio, allora si è liberi di farlo, senza pretendere plausi. Attenzione, sono consapevole che la questione sia molto più complessa anche psicologicamente, ma volevo solo evidenziare la categoria del reale. Votarsi al sacrificio è molto nobile, sempre meglio che sacrificare a forza gli altri, ma comunque razionalmente encomiabile solo se lo si fa per una causa, non come azione fine a sé stessa.
"mi limito a spiegare come stiano le cose, e cerco di farlo con delicatezza [...] "
RispondiEliminaE' l'atteggiamento che ogni paziente si aspetterebbe dal medico, indipendentemente
dalla situazione eziologica. Purtroppo non è sempre così, e a prescindere dal caso in questione, per una donna penso sia già molto.
E anche in questo caso si vede bene come il comportamento razionale sia fondamentalmente buono, mentre l'irrazionale è impregnato di cattiveria. Alla faccia dell'amore, sacralità, ecc. ecc.
RispondiEliminaMah, a me pare che Dawkins, alla fin fine, più che dalla ragione sia guidato dall'emozione che suscita in lui il progresso dell'umanità, pensare al progresso lo fa stare bene, in qualche modo compensa il vuoto che in lui è stato lasciato da Dio. Così si giustifica la predilizione per gli autistici rispetto ai down, nell'ottica del progresso dell'umanità un autistico ti può sempre venire utile, è come una chiave a brugola, magari ti risolve l'ipotesi di Riemann. A me questi atei mi paiono un po' miseri, però, ci mancherebbe, ogni scarrafone è bello a mamma soja.
RispondiEliminaLasciamo un giudizio alle madri, ai padri e ai fratelli di questi ragazzi, solo a loro spetta giudicare.
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