Al
momento, il vertiginoso calo degli iscritti al Pd viene letto da gran parte dei
commentatori interni ed esterni al partito come la mutazione genetica subita da
un corpo militante che fino a ieri era tra i più fidelizzati. Inevitabile,
dunque, che si discuta in qual misura il dato sia da attribuirsi alla
segreteria di Matteo Renzi, perché pare ovvio che una correlazione debba
esservi, con l’ovvia discordanza nel giudizio di merito che è un dato costante
quando si valuta quel che si attribuisce a una personalità dal forte tratto
divisivo: di qua, chi pensa che l’emorragia di tessere sia il segno di una
grave crisi del partito come comunità di uomini e donne condividenti una pur
labile identità ideologica (ma sarebbe più corretto dire etico-estetica); di
là, chi pensa che questo, tutto sommato, non sia affatto un dato negativo in
vista della nascita di un «partito della nazione», fluido in superficie, ma in
fondo assai più solido, proprio perché includente su un programma, piuttosto che
su un modello antropologico. Può darsi che questo sia vero, in ogni caso non
può essere interpretato come fenomeno che nel Pd trova la testa, quanto la
coda: il calo degli iscritti ai partiti politici italiani è un dato costante e
trasversale da almeno trent’anni. È che l’Italia non era fatta per il
maggioritario, ancorché imperfetto: un bipolarismo basato sulla competizione ad
acquisire consenso dal centro non poteva che accelerare il processo di
deideologizzazione dei partiti tradizionali, d’altronde in atto già dagli anni
Ottanta, portando alla personalizzazione della politica, prima, e alla
confluenza dei due opposti schieramenti al venir meno di uno stabile equilibrio
tra i carismi delle leadership, poi. Era un sistema destinato a erodere
progressivamente le ali estreme per venire a creare un unico polo centripeto,
lasciando all’opposizione solo l’astensionismo elettorale. Si verifica così un’inversione
dello schema che ha caratterizzato la Prima Repubblica, quando l’astensionismo aveva
tratti prevalentemente qualunquistici e il voto era a forte impronta ideologica
(ma sarebbe più corretto dire etico-estetica): al centro va confluendo tutto
ciò che non ha più un colore, mentre ciò che residua delle vecchie culture
politiche si autoemargina, e questo è tanto più evidente nella quota che ne
rappresentava la militanza. Su quanto questo implichi in termini di
riconversione del potere, si può lasciare la parola a chi ha ben descritto il fenomeno (Colin Crouch, Postdemocrazia, Editori Laterza 2003 - pagg. 79-81):
Ni. Nel senso, Mr. Crouch assume che il cerchio più interno, quello dei dirigenti, sia composto da persone che seguono il partito di cui costituiscono il nucleo. Ora, proprio nel caso PD, ricordo tutti i balbettamenti per aderire o non al gruppo del PSE, eh no saltava fuori Rutelli,eh no spuntava Fioroni.
RispondiEliminaLa liquidità renziana, ovvero guardare fuori dal partito e si fottano Civati, D'Alema, i giovani turchi, le giovani marmotte e pure gli anziani che preparano salamelle da anni alle feste dell'Unità, credo sia stata usata soprattutto per eliminare i nemici interni.
Effimera soluzione, Renzi può tenere imbrigliato il partito solo finchè può sbandierare il 41%, al primo voto popolare che dovesse punirlo, al di là del merito o del demerito, tutti quelli che ha mandato a farsi fottere tornerebbero chiedendo gli interessi e la sua testa in primis.
Più che cercare la famosa 'vocazione maggioritaria', mi sembra solo un mezzo per scalare un partito in cui i nemici erano davvero troppi, e la cui eliminazione politica sarebbe costata anni di lavoro, ammesso che fosse stata possibile.
Sull'opportunità di rinnovare il partito in maniera costruttiva, mi basta leggere la cronaca su questioni tipo articolo 18 (che pare l'unico punto della riforma, nessuno che abbia fatto la domanda più elementare 'scusi mr. Renzi, il nuovo contratto andrà a sostituire i cococosa oppure li affiancherà?' che mi parrebbe il giusto terreno di scontro e dialogo) per capire che tutti hanno il culo talmente avvitato alla poltrona, un rinnovamento non è possibile se non a colpi di arma da fuoco. Quello che arriva da fuori, buono o cattivo che sia, è semplicemente alieno, poi Berlinguer s'offende.
Segue una tendenza europea vedi Germania e Francia oltre le particolarità Italiane.
RispondiElimina