Non
so se la figura dell’editor esistesse già ai tempi di Giovannino Guareschi –
suo è il brano riprodotto qui sopra, da Il
Sole-24Ore di domenica 12 ottobre (pag. 37) – ma dal tono ironico che usa
nel darle contorno arguisco cominciasse a emergere in quegli anni – siamo sul
finire dei Sessanta – sollevando da subito le delicatissime questioni che a
tutt’oggi resterebbero per chi scrive e per chi legge, se non fossero rimosse,
come accade, nel tacito patto che a entrambi torni utile, se non
indispensabile, un intermediario, quell’oscuro omino che dal correggere gli
errori di ortografia è passato a emendare il lessico, a ristrutturare il testo,
perfino a costruire uno stile. Come gli sia stato consentito allargarsi tanto è
noto: dalle dipendenze di chi scrive è passato a quelle di chi pubblica, e la
necessità di vendere quanto si pubblicava, che è negli interessi alti e bassi
di chi scrive e di chi pubblica, imponeva la creazione di un soggetto in grado
di assicurare al prodotto una qualità che favorisse il consumo. In tal senso
potremmo equiparare l’editor a quella complessa articolazione di pertinenze che
nell’industria alimentare è deputata a saggiare i gusti del mercato per rendere
più appetitoso quanto altrimenti rimarrebbe sugli scaffali. Inevitabile, se
questo è il fine, che prima di arrivare al pubblico il prodotto debba subire un
accurato processo di ottimizzazione, i cui parametri saranno giocoforza
calibrati sui gusti della fetta di mercato che si intende conquistare, cercando
di dosare nella giusta proporzione, secondo il caso, quanto stimoli il palato e
quanto non dia noie al ventre. Non è un caso, perciò, che l’editor vada acquistando un peso
con l’uniformarsi dell’industria editoriale alla logica che ha trasformato chi
scrive e chi legge in variabili di sottosistemi della produzione e del consumo,
con l’esigenza di incrementare la domanda con una varietà di offerta che non
ecceda la capacità di assorbimento. Col gravoso compito di assicurare a chi
scrive di esser letto e a chi pubblica di vendere, l’editor non può trattare il
testo diversamente da quanto gli è possibile per ciò che sta nella sua capacità
di penetrare al meglio il potenziale acquirente che si dichiarerà lettore
soddisfatto. Sarà tanto più bravo quanto più saprà lasciar da parte i propri
gusti, che dovranno limitarsi a separare la materia prima sulla quale vale la
pena di lavorare da quella inservibile, destinata allo scarto, ma anche in
questo, per godere della fiducia del suo datore di lavoro, dovrà sapersi fare
mero strumento. Una vita di merda, tutto sommato. Quanto meglio sarà in grado
di assolvere il suo compito, tanto meno gli sarà consentito di poterne vantar
merito, neanche con se stesso, se è intellettualmente onesto. In quanto a ciò
che scarta, come potrà mai essere sicuro che non si sia lasciato scappare l’occasione
di cavarne un grande successo editoriale, per lui tanto più grande perché quasi
interamente dovuto al suo lavoro?
[Il mio correttore di bozze mi suggerisce di cambiare titolo al post o, in alternativa, di aggiungere, qui in coda, che in vita mia non ho mai spedito un plico a un editor. Lascio il titolo.]
Che le Muse te ne diano merito.
RispondiEliminaqualcuno si azzarda a dire: "mi sono permesso di dare un'aggiustatina"
RispondiEliminaVolpi Va detto che probabilmente alcuni dei migliori critici, letterati e scrittori passeranno la massima parte del loro tempo a correggere prose mediocri, un lavoro assai più ingrato della traduzione da lingue straniere.
RispondiEliminaVolpi Penso ad uno scrittore e saggista che stimo particolarmente,Paolo Zanotti. Mori a 41 anni nel 2012 senza avere mai conseguito un impiego stabile nell'accademia italiana nonostante una importante produzione saggistica . Il suo romanzo che reputo migliore, Il testamento disney, usci postumo nel 2013 dopo essere stato rifiutato dagli editori nel 2004. Le umiliazioni possibili per gli editor hanno molte forme.. Comunque ho solo ammirazione per persone come Zanotti che hanno continuato a scrivere saggi , racconti e romanzi anche mentre correggevano o anche riscrivevano testi altrui.
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