lunedì 24 novembre 2014

Prova a dargli torto


«Il mio partito – dice l’astensionista con un certo orgoglio – è assai più forte del tuo», e non ha importanza quale sia il partito del tizio cui si rivolge. «Alle ultime Europee – dice – eravamo più di 21 milioni, il 41,3%. Appena lo 0,5% in più del 40,8% andato a Renzi? Manco per niente, Renzi è stato votato da poco più di 11 milioni degli aventi diritto al voto, che fa il 23,3% del totale; meno di 6 milioni hanno votato Grillo, che fa poco più del 10%; e meno di 5 hanno votato Berlusconi, che dunque non ha superato il 9%; e per gli altri neanche spreco tempo a fare calcoli».
Non gli si può dar torto, e si capisce l’orgoglio: «Negli ultimi vent’anni – dice – non siamo mai scesi al di sotto del 15%, ma la crescita è stata costante e alle Politiche del 2013 abbiamo sfiorato il 25%, diventando il primo partito». A renderlo tanto fiero, manco a dirlo, sono i risultati che arrivano dalla Calabria e dall’Emilia Romagna, dove il suo partito ha stravinto, con una maggioranza assoluta che supera di parecchi punti il 50%, e tuttavia non dà segno di montarsi la testa, come fin troppo spesso è dato osservare in chi si lascia andare a invereconde capriole di giubilo per aver guadagnato appena una manciata di voti: «Erano elezioni limitate solo a due Regioni, non ci illudiamo di poter riconfermare questo exploit, e tuttavia – dice – si tratta di un risultato che consolida una linea di tendenza che ci vede ormai da anni come il partito di gran lunga più amato dagli italiani».
Non gli si può dar torto, ma provarci è un dovere morale. Non ha importanza quale sia il partito del tizio che senta questo dovere, ma all’astensionista arriva puntuale la regina delle obiezioni: «Quello dell’astensionismo non è un partito». «Sì, vabbe’ – è la risposta – sarà partito il tuo. Chiamalo comitato elettorale, chiamalo piede di porco per forzare il coperchio dell’erario, chiamalo proprietà privata di un leader, ma non chiamarlo partito».
«Ma il voto di chi non vota vale zero». «Sì, perché il tuo vale qualcosa? Voti la lista bloccata di un cosiddetto partito che non mantiene neanche la metà della metà della metà delle promesse che ti ha fatto in campagna elettorale, e ti senti protagonista per il solo fatto di aver lerciato una scheda con un frego?».
«Ma chi si astiene perde ogni diritto di lamentarsi». «E uno dovrebbe votare solo per poterlo fare avendone pieno diritto? Succede niente ad abusarne senza averne il diritto? E fa differenza col farlo avendone il diritto? Il lamento, dico, è il premio di consolazione che spetta a chi sa di fare una cazzata, e la fa?».
«Ma l’astensionismo è il buco nero che inghiotte tutto e il contrario di tutto: rabbia e strafottenza, destra e sinistra che hanno perso ogni rappresentanza, qualunquismo di andata e di ritorno…». «Il partito che hai votato tu, invece, ha un’identità bella precisa, vero? Non dico un’ideologia, che non si usa più. Non dico una classe o un blocco sociale, che con lo sfarinamento generale sarebbe come parlar di fisica delle particelle a un summit della ’ndrangheta. Mi limito a un elettorato che abbia un minimo di omogeneità sul piano culturale… Ma che dico, culturale? Sul piano della piana logica dove due più due fa quattro: forse che il tuo partito ce l’ha?».
«Resta il fatto che non votare è da irresponsabili». «E tu indicami quale sia il voto di cui un qualsiasi italiano possa dirsi responsabile appena un istante dopo aver fatto cadere la sua scheda nell’urna».
E prova a dargli torto.

11 commenti:

  1. Se la democrazia fosse onesta aggiungerebbe una casellina nella scheda elettorale alle alternative proposte dai partiti, se quella opzione ottenesse la maggioranza assoluta dei consensi allora nessuno vincerebbe le elezioni e tutti quelli che si sono candidati non potrebbero più candidarsi per N anni. Probabilmente continuerei a non votare, ma sarebbe più facile darmi del qualunquista.

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  2. Mi ASTENGO da qualsiasi commento.

    6iorgio

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  3. Battaglia tra Malvino che ha votato Tsipras e Malvino che vuole astenersi.Decide Castaldi.
    Rogra

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  4. Renzi continua a vincere a causa, e per colpa, degli astensionisti. Vince facile.
    E magari se ne vanta pure. E nessuno che glielo rinfaccia pubblicamente. Ha provocato lo sdegno di 400 mila iscritti che hanno strappato le tessere e danni incalcolabili al Paese, eppure ancora lo votano. Questa misera vittoria regionale gli consente di continuare a propagandare il successo della sua politica. Un successo col trucco. E' un infame.

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  5. Sono emiliana ed ho disertato le urne. Avrei preferito votare qualcuno ma lo schifo che provo ha oltrepassato la punta dei capelli. Questa è la mia protesta. In quanto ai "politici" non li commento nemmeno più. Stesso motivo.

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  6. quel che dici (tu, castaldi) è vero, tuttavia...
    a non votare si entra nel primo non-partito che nulla conta
    ognuno che non ha votato si prenderà il merito e dirà le sue idee, ma come sappiamo quanto valgono? quanti le condividono? chia ha diritto di dire gli italiani sono stufi di questo e di quello? cos'è "questo" e cos'è "quello"? chi lo decide?
    come sommare (per esempio) piddini delusi e grillini delusi? europeisti delusi e forconi?
    nei momenti di crisi (come questo che dura da anni e, in alcuni aspetti, si va incattivendo) bisogna forse trovare il modo di aumentare la partecipazione, non diminuirla, cioè bisogna fare più che votare, non smettere di votare
    nel medio-lungo periodo cosa potrebbe impensierire di più il "potere" (decidere a cosa/chi far coincidere il concetto) l'astensionismo in aumento o la partecipazione in aumento?
    superfluo sottolineare che riunirsi in 50 per tirare uova a renzi non lo vedo come un grande momento di partecipazione

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    1. Quindi continuare a votare, ma mettere il broncio?

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  7. Il modello è oltre oceano. Una sparuta minoranza di cittadini che entra nelle questioni di dettaglio, mobilitazione massiccia dell'elettorato per decisioni 'minori', come il Presidente. Se chiamiamo p(x) il peso nelle decisioni prese dell'elettore x, ci accorgiamo che negli USA a votare il sindaco va il 20-30% della popolazione, un peso p1(x), mentre a votare il presidente va anche l'80% con peso p2(x).
    La storia ci insegna che p1(x)>>p2(x), perchè il presidente, dello stato o del consiglio, è come il timoniere di una petroliera (anche in assenza di 'apparato' o di forze conservatrici), non è che può fare una svolta a destra di 90° in un attimo, al massimo nel suo mandato può correggere la rotta di qualche grado. Le percentuali di peso e flusso elettorale sono invertite, come se la gente paradossalmente decidesse di andare al seggio in maniera inversamente proporzionale alla sua utilità.

    In un contesto simile, l'elezione che attrae l'interesse della popolazione la vince chi spara cazzate populistiche migliori, nelle altre si producono candidati ad hoc sul modello dei pochi votanti. Come a Ferguson, dove l'intera comunità nera protestava perchè l'amministrazione è al 99% composta da bianchi, peccato che di neri (il 75% della popolazione se non erro) nei seggi elettorali se ne vedono pochini. O se ci vanno votano candidati che s'accoltellano tra di loro, manco fossero la sinistra extraparlamentare italiana.

    Gli USA hanno sempre anticipato l'Italia vent'anni prima. Ora cucchiamoci i partiti liquidi, io sono più preoccupato tra un po' quando arriveranno i fruttariani crudisti e il gluten free. Spero di essere già morto per allora.

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  8. Il vero pericolo per la democrazia è il presidente del consiglio di uno stato democratico che afferma convinto: "La percentuale di votanti al 40% è un problema secondario".

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