L’art.
416 bis c.p. non sanziona una particolare associazione per delinquere – Cosa nostra,
’Ndrangheta, Camorra, Sacra corona unita – ma tutte quelle che sono «di tipo mafioso», descrivendone le
attività che configurano la tipologia: «Coloro
che ne fanno parte – recita – si
avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della
condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti,
per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo
di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi
pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri».
Come ho già scritto (Mondo di mezzo –Malvino, 8.12.2014), a me pare che le
1.228 pagine dell’Ordinanza di
applicazione delle misure cautelari emessa a carico di Massimo Carminati &
C. non lascino dubbi e che la tipologia di quella associazione per delinquere
corrisponda a quella contemplata dall’art. 416 bis: sarà la magistratura
giudicante a dire l’ultima parola, ma a me pare vi sia abbondanza di materiale
in favore dell’ipotesi accusatoria.
Torno
sulla questione, che altrimenti avrei lasciato in sospeso fino alla sentenza,
per commentare un articolo a firma di Annalisa Chirico apparso su Il Foglio di martedì 30 dicembre (Criminale con diritto di difesa), che in
buona sostanza vuol essere la summa degli argomenti – vedremo subito che non lo
sono, ma momentaneamente diamo ad essi la dignità di argomenti – che proprio
dal giornale di Giuliano Ferrara, in tre o quattro occasioni, sono stati
sollevati a contestare l’imputazione mossa dalla Procura di Roma. Prima di
passare in rassegna le obiezioni che in questo articolo sono sollevate all’ipotesi
accusatoria, però, vorrei anticipare che in esso mi pare ottimamente
tratteggiata quella parodia del garantista altrimenti assai meno incisiva di
quella del giustizialista. Altrove, infatti, mi son chiesto: «Qual è la maschera del tizio che pretende
sempre tre gradi di giudizio per dire colpevole chi è colto in flagrante, e che
dinanzi all’intercettazione telefonica nella quale un criminale si autoaccusa
di un delitto solleva la questione se mettergli la cimice sia stato lecito, e
che riesce sempre a trovare un diritto negato a ogni fetente della peggior
risma, e più fetente è, più sembra andare in brodo di giuggiole a trovargliene
uno da spendersi per garantirglielo?» (Caricaturizzare il giustizialista è un gioco da ragazzi – Malvino, 15.12.2014). Bene, direi che Annalisa Chirico risponda alla
domanda, offrendosi generosamente come caricatura del garantista, «quello che in ogni giudice vede un boia e
in ogni ladro, ogni assassino, ogni stupratore vede sempre il poveretto
massacrato di botte lungo la strada che da Gerusalemme scende a Gerico, e accorre
subito con olio, vino e bende» (ibidem).
Del tutto irrilevante, in questa sede, porsi la domanda se questa generosità
chieda un ritorno in visibilità, cosa che tutto sommato sarebbe anche
legittima, visto che il campo dei giustizialisti è ampiamente inflazionato. Di
fatto siamo al triste déjà vu del
giornalismo a tesi, quello che spende il poco o il tanto che ha nella
costruzione di caratteristi, macchiette non di rado seriosissime, con ruolo
fisso, da gettone per la prevedibilissima comparsata nei talk show.
Tutto
sommato è onesta, Annalisa Chirico, perché fin dall’attacco non fa mistero del
ruolo fisso che si è dato: «Anche i criminali
hanno diritto alla difesa. Quella che leggete è una difesa di Massimo Carminati.
Il giornalista collettivo, per definizione, è megafono della requisitoria e
censore dell’arringa. Qui si contraddice la pubblica accusa». La caricatura
del garantista è rivendicata nel processo mediatico, in cui la caricatura del giustizialista sostiene la tesi accusatoria, come «diritto alla difesa», anzi come «tributo
alla giurisdizione» (sì, usa proprio questa espressione, e qui occorre rilevare un notevole salto qualitativo rispetto al «siamo tutti puttane»). In altri termini, è dichiarato il diritto di difendere una posizione con gli
strumenti dell’avvocato, facendosi megafono dell’arringa e censore della
requisitoria, compito che si assolve riportando in virgolettato quanto
affermano i legali di Massimo Carminati, gli avvocati Naso, «pater» e «filia» (un po’ di latino, si sa, è indispensabile a nobilitare il
foro, e il lettore è diffidato dal leggervi un doppio senso). Così l’articolo non pare avere altro fine che quello degli avvocati
difensori: incontestabile com’è l’accusa di associazione per delinquere (3-7
anni di reclusione), si cerca innanzitutto di scansare quella di associazione
per delinquere di tipo mafioso (7-12 anni di reclusione), per poi banalizzare
la portata delle responsabilità dell’assistito per ottenere il minimo della
pena, ché in fondo 3 anni passano in fretta e può darsi nel frattempo ci scappi
un’amnistia, per la quale Annalisa Chirico pure si spende.
Nulla
è risparmiato nell’arringa: alla fine dell’articolo Massimo Carminati potrà
risultare antipatico solo a chi non abbia mai parcheggiato in seconda fila, a
chi non abbia mai messo il sacchetto della spazzatura nel cassonetto fuori
orario, insomma solo a quella rara mosca bianca che da noi è praticamente
introvabile. Signori della Corte, cioè, carissimi lettori, il qui presente
imputato non è un santo, certo, ma l’accusa è esagerata: non parla siciliano,
dunque non può essere mafioso; più che di un’associazione per delinquere era a
capo di una banda di cazzari; per quanto si autoaccusa nelle intercettazioni, sciocchezzuole,
millantava; e poi, a ben vedere, lo si può pur considerare «un Robin Hood del XX secolo», ché «se poteva aiutare qualcuno, non si risparmiava». Perciò – lo manda
a dire da Annalisa Chirico – «Carminati invoca
giustizia». Già è tanto che nell’articolo non sia tornato il paragone con
Enzo Tortora, accontentiamoci di questo.
Dal pubblico vennero fragorosi applausi accompagnati da grida, il presidente scampanellò con vigore minacciando di far sgombrare l’aula, Robin Hood fu portato in trionfo, e la sua prima dichiarazione un appello: “Libertà per Totò ……”. Il giorno dopo alcuni quotidiani titolarono: “Un Paese normale!”.
RispondiEliminaAvrei già voluto proporre questa obiezione per il precedente suo scritto sull'argomento e il tornarci adesso mi favorisce: non è che esageratamente attribuisce un potere di inveramento alla fattispecie meramente giuridica? Parafrasando l'infausto slogan "il personale è politico" si potrebbe lecitamente, secondo l'art. 416 bis c.p., affermare che "tutto è mafioso", potendosi infatti tranquillamente ascrivere alla generalità della fattispecie quasi ogni crimine organizzato, se non addirittura ogni azione di potere di un gruppo (anche politico) all'interno della pubblica amministrazione. Dal mio punto di vista, ogni dubbio sull'attribuzione dello stilema "mafioso" è anche un esercizio intellettuale per capire se il crimine, oltre alla sua corrispondenza ad una determinata fattispecie giuridica, abbia anche una rilevanza sociale e culturale paragonabile a quella strettamente mafiosa. Non vorrei infatti che si arrivasse alla stessa conclusione del motto sessantottino: "tutto è mafioso" quindi "nulla è mafioso". Buon Anno, Zagreo
RispondiEliminaLa ringrazio per darmi modo di spiegare quanto ritenevo esplicito in ciò ho scritto sull'argomento e che evidentemente non lo era. In primo luogo, e l'ho ripetuto anche in questa occasione, l'art. 416 bis non "descrive" un'associazione per delinquere "qualunque" (basti il raffronto con l'art. 416), né un'associazione per delinquere "mafiosa". A me pare che parlare di "tipo" (o, come si fa correntemente, di "stampo") indichi un profilo, che si adatta, sì, a Cosa nostra, ’Ndrangheta, Camorra, Sacra corona unita, ma anche ad altre organizzazioni malavitose. Leggo quel profilo, vedo che corrisponde alla cosca di Carminati & C., e dico: sì, l'ipotesi accusatoria dell'art. 416 bis mi sembra fondata. Ho dimenticato di scriverlo nel post, ma sa qual è, al contrario, l'operazione che fa la caricatura del garantista? Dice, più o meno: dove c'è mafia, c'è droga, e qui non c'era, anzi Er Cecato s'è sempre fatto vanto di non trattare l'articolo, ergo non è mafioso. In quanto al fatto che io voglia "attribuire un potere di inveramento alla fattispecie meramente giuridica", mi pare che con quanto detto sopra sia proprio tutto il contrario: è il fatto che l'associazione per delinquere abbia o meno certi requisiti che la invera nella fattispecie giuridica. Non la seguo molto, invece, sul parallelismo che imbastisce con la ratio che regge la massima che recita "il personale è politico", anzi, a dire il vero mi pare che un rischio di generalizzazione con conseguente implementazione degli effetti lo provochi l'assumere il principio che "nulla è mafioso, tranne la mafia".
EliminaChissà come si sarà levata alta e forte la voce della Chirico quando il ministro Alfano, non un avvinazzato da bar, dichiarò che era stato arrestato l'assassino di Yara con buona pace dei tre gradi di giudizio e della presunzione d'innocenza.
RispondiEliminaO ci sono presunti innocenti più presunti di altri ?
Giovanni
Purtroppo il mezzo riduce l'argomentazione ma il punto da lei toccato "nulla è mafioso, tranne la mafia" è proprio, secondo me, quello centrale: l'attribuzione dello stampo "mafioso", per quanto codificato in una fattispecie giuridica, è da ricondursi ad una questione assiologica sulla definizione di "mafia" e aggettivi derivati e io, forse sbagliando per difetto, ne ho sempre ristretto l'ambito a quello culturale e sociale. Per fare un contro esempio, non direi che gli accoltellati fuori da una discoteca nella periferia milanese aderiscano al codice barbaricino, mentre ritengo indubbio che siano perseguibili per un qualche reato. Invece che accettare la semplice sineddoche della norma giuridica, mi interrogavo sulla plausibilità dell'accusa, ma mediterò, per l'uso che oramai si fa del termine "mafioso", sulla sua precisazione. Zagreo
RispondiEliminaIn più, nel corso del tempo, la mafia non è uguale a se stessa.
EliminaSe Carminati leggesse questo articolo penserebbe di aver buttato alle ortiche decenni di onorata carriera criminale.
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