Posso
anche fare a meno di citare le due firme che oggi, sugli ultimi
sviluppi dell’indagine su Mafia Capitale, sono ricorse, come in
unisono, all’argomento
crociano che «l’onestà personale non è
sufficiente a risolvere un problema di grave inadeguatezza politica»
(Corriere della Sera)
e che «il politico onesto è quello capace»
(Il Foglio), perché
in fondo qui non fanno altro che darmi lo spunto per intrattenermi su
un’altra
infelicissima pagina di Benedetto Croce, delle tre o quattro che a
sessant’anni
dalla sua morte ancora resistono all’oblio
in cui è precipitato tutto l’ormai
inservibile edificio del suo sistema, pagine che d’altronde
vengono citate senza mai essere state più rilette, se mai furono
lette, perché è a leggerle che rivelano la fragilità dell’assunto
che vorrebbero spacciare per granitico.
Qui, nel caso de L’onestà
politica, trentasettesimo
paragrafo dei Frammenti di etica,
che sono del 1922, poi confluiti con Elementi di politica
e Contributo alla critica di me stesso
in Etica e politica,
siamo dinanzi ad una pagina che non necessiterà dell’analisi
di tutto il testo, come con Perché non possiamo non dirci
«cristiani» feci due o tre
anni fa (Malvino,
2.12.2012): basterà considerare la friabilità delle ragioni che
dovrebbero sostenere l’assunto.
Prima di passare a queste, tuttavia, occorre rammentare che questa
pagina di Benedetto Croce è del 1921, anno in cui era ministro del V
governo a guida di Giovanni Giolitti, un uomo che lungo i trent’anni
della sua vita politica fu costantemente raggiunto dalle accuse di
cinismo, opportunismo e maneggi d’ogni
sorta (cfr. Gaetano Salvemini, Il ministro della mala
vita). Forse sarà malevolo il
sospetto che L’onestà politica
sia stata scritta per mera piaggeria, resta di fatto che, dopo
essersi spellato le mani fino al 1922 ad applaudire Mussolini, la
critica che muoverà al fascismo non sarà d’ordine
politico, economico o sociale, ma si esaurirà in quella di «malattia
morale»: e non si era detto che
andassero bandite le
«false
unificazioni»
tra
etica e politica?
Ma veniamo alla sostanza della questione per come è
affrontata da Benedetto Croce. Costruisce la sua pagina come un
dialoghetto tra uno di quegli «imbecilli»
che avanzano «la
richiesta che si fa dell’“onestà”
nella vita politica» ed
un savio dalla posa olimpica che con tanta santa pazienza continua a
ripetere la tiritera che l’onestà è niente senza la competenza.
L’«imbecille»
– ovviamente – si trattiene dal dirgli: «Grazie
al cazzo!»,
ma, quando infine Benedetto Croce gli fa farfugliare l’obiezione
che, «nonostante
l’impulso del suo genio»,
il politico disonesto è di per se stesso portato a «soggiacer[e]
ai
suoi cattivi istinti»,
con la conseguenza che è inevitabile «fa[ccia]
cattiva politica»,
quale è la risposta? «Allora,
il presente discorso è finito, perché siamo rientrati nel caso in
cui la disonestà politica coincide con la cattiva politica».
Orbene, come vogliamo evitare che vi rientri, se non col pretendere
che un politico sia innanzitutto onesto, e poi, sì, ci mancherebbe
altro, pure competente? Nessuna risposta, perché lì il paragrafo
chiude.
E questo sarebbe, il grande pensatore?
Questi sono i giochetti che riescono meglio ai filosofi idealisti, intendo questa capacità di dimostrare come le parti si risolvano magicamente nell'intero e tutto finisca per coincidere nel modo più razionale. Poi, sai, buona e cattiva politica sono concetti troppo larghi, vogliono dire tutto e niente e uno storicista come Croce dovrebbe saperlo meglio degli altri. Per il resto, pretendere è lecito, concedere è cortesia, l'onestà uno non se la può dare e nel caso di Buzzi tutto si può dire fuorché non fosse capace.
RispondiEliminaCioè il tanto osannato pensatore ha ridotto il problema della politica disonesta a qualcosa di simile al paradosso del cretese bugiardo.
RispondiEliminaSarà anche stato un filosofo idealista, ma a me la conclusione puzza di sofismo (di bassa lega, per di più).
Infatti. E sorvolando sul fatto che probabilmente la pagina fu scritta per una carineria verso Giolitti.
EliminaSe vale il principio di reversibilità, il sicario capace è dunque onesto.
RispondiEliminaPeraltro, l'onesto è per forza di cose capace: sapendosi incapace, non si presenterebbe.
RispondiEliminaguardi che i grillini la querelano.
EliminaDevo contraddirla perchè, e posso citare decine di casi, l'onestà e la consapevolezza dei propri mezzi non sono necessariamente doti che albergano nella stesa persona. Ho personalmente la fortuna di conoscere un buon numero di persone oneste che, ahiloro, non saprebbero disegnare una "o" senza l'ausilio del bicchiere.
EliminaNon tutti sono dei Giotto
Elimina@Anonimo (primo)
EliminaPotrei dire che l'assenza di consapevolezza dell'essere incapaci di disegnare una "o" senza un bicchiere sia una assenza di onestà nei confronti di se stessi. Evidentemente qui, per onestà, non si intende soltanto una qualità morale, pertanto non è nemmeno un giudizio morale rivolto a quelle persone incapaci di tracciare la suddetta "o" (e ci mancherebbe pure...). La domanda è: parteciperebbero quelle persone a un concorso di disegno tecnico, non sapendo usare nemmeno un compasso? Consapevoli dei propri limiti, no, oppure sì, tentando la sorte, oppure perché raccomandati. In questo senso il concetto di onestà non si limita all'astenersi da azioni illegali, o ritenute riprovevoli, ma include anche un vagliare criticamente le proprie capacità, potendo peraltro sbagliare sia nella auto-valutazione che nell'atto operativo specifico, il che appartiene a qualsiasi iter conoscitivo (talora questo scrupolo viene definito onestà intellettuale); dunque anche il riconoscere l'errore "in corsa" è una capacità appartenente a questa onestà (si può essere "operativamente" onesti, in questo caso a posteriori, essendolo potenzialmente a priori): e può essere considerato onesto il presentare le dimissioni, ma anche il sopperire all'errore compiuto. In ambo i casi si tratta sempre di capacità.
E' dalle superiori che mi sforzo, pure immedesimandomi in quel "liberale" che mai fui e mai sarò, ma io 'sta storia di Croce "grande pensatore del liberalismo italiano" non l'ho mai potuta né assimilare né comprendere né tantomeno accettare. Boh...
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