Da affaritaliani.it copio-incollo la «ricetta per l'Italia» di Marco Rizzo, leader del Partito Comunista (ilpartitocomunista.it):
«Essendo a conoscenza della differenza che ci sarebbe tra “avere” il potere ed “esser” al governo (la stessa differenza che passa dalla Rivoluzione alle Elezioni), spiego comunque quella che sarebbe la ricetta per l'Italia del Partito Comunista:
- Rottura unilaterale dei trattati economici e politici europei e di quelli militari con la Nato.
- Remissione del debito estero (con esclusiva salvaguardia per i piccoli risparmiatori).
- Nazionalizzazione di tutte le banche e le grandi imprese con affidamento di gestione e controllo ai lavoratori.
- Tutti i settori strategici della Nazione (sanità, trasporti, formazione, grandi cantieri ecc…) assumono carattere statale ed annullano qualunque precedente privatizzazione.
- Viene istituito il salario minimo da lavoro garantito per tutti.
- Viene garantita una abitazione per ogni individuo o nucleo familiare con una grande ripresa dell'edilizia popolare e con espropri degli alloggi sfitti legati alle grandi proprietà immobiliari.
- Sono equiparati i contratti di lavoro ed ogni diritto per i cittadini italiani ed i migranti. Tutti sono tenuti al rispetto totale della legalità socialista, pena severe sanzioni previste dal nuovo codice penale.
- La proprietà individuale di una prima e di una seconda casa è garantita, sempre - secondo criteri di uguaglianza.
- È ristabilita la leva militare obbligatoria per il nuovo Esercito Popolare.
- Lo Stato Socialista è laico. Sono permesse tutte le religioni (senza alcuna spesa per lo Stato), sono aboliti i Patti Lateranensi».
È da quel «ricetta» che inizierei l’analisi del testo: sta per «programma», è ovvio, ma il termine ha un evidente richiamo alla preparazione in ambito gastronomico. Dice niente? Bravi, anch’io pensato subito alla cuoca di Lenin. Senza dubbio, infatti, qui siamo di fronte ad un timballo nel quale son presenti molti ingredienti della cucina comunista (esproprio, nazionalizzazione, leva obbligatoria, ecc.). La cuoca che Lenin sosteneva avrebbe ben potuto amministrare la cosa pubblica, tuttavia, era il risultato di quella rivoluzione che invece lo stesso Marco Rizzo non ha difficoltà a concedere sia cosa ben diversa dal raccogliere consenso su un programma di governo. Ma poi, siamo onesti, si è mai vista una cuoca a capo del Cremlino? Quello di Lenin era un paradosso, via, e in ogni caso calava in tutt’altro contesto da quello in cui cala Marco Rizzo, pure lui bel paradosso, senza dubbio, ma qui senz’altro fine che darsi per sproposito.
In altri termini, invece di dirci come ha intenzione di prendere il potere, il leader del Partito Comunista ci espone la sua agenda dei primi 100 giorni, al pari di un qualsiasi spacciabubbole a capo di un partito borghese. Lungo la lista, peraltro, non si scorge traccia di quel caposaldo della dottrina marxista-leninista che commisura il fine al mezzo, e non dà l’uno senza l’altro.
Non è tutto. Per quasi ogni ingrediente non è indicata la dose. Non vengono indicati tempi e modi della preparazione. Ma quello che per certi versi arriva addirittura a dare una puntina di sconcerto – non più di una puntina, ovviamente – è il fatto che la nostra cuoca non sembra avere neanche i fondamentali della cucina comunista, o almeno faccia di tutto per dar mostra di ignorarli.
Si prenda, per esempio, il punto 8: «La proprietà individuale di una prima e di una seconda casa è garantita, sempre - secondo criteri di uguaglianza». Quali saranno mai, questi «criteri di uguaglianza», in grado equiparare i possessori di seconde case a quanti ne posseggono una sola? In relazione al punto 6 («Viene garantita una abitazione per ogni individuo o nucleo familiare con una grande ripresa dell'edilizia popolare e con espropri degli alloggi sfitti legati alle grandi proprietà immobiliari»), quali «criteri di uguaglianza» reggono l’assegnazione di una casa a chi non l’ha e il fatto che chi ne abbia due, di cui una necessariamente sfitta, possa conservarle entrambe? E qual è il parametro che farà la differenza tra «grandi proprietà immobiliari» e quelle medie o quelle piccole? (Analogo problema si pone al punto 2, con la «remissione del debito estero, con esclusiva salvaguardia per i piccoli risparmiatori», che è cosa semplice a dire e pressoché impossibile a fare: quanto «piccolo» dovrà essere il debito, e farà differenza se i «piccoli risparmiatori» hanno investito in titoli azionari?) E come dovrà intendersi il trasferimento delle proprietà confiscate dai vecchi ai nuovi proprietari? Voglio dire: vi sarà intermediazione di proprietà da parte dello Stato e, nel caso, con quali strumenti giuridici?
Già su questi due punti le domande sarebbero ancora tante, e tutte, come ritengo sia intuitivo, investono una questione centrale nell’ambito di una proposta che aspiri a definirsi comunista: quella della proprietà privata, che qui pare destinata a sussistere, ma in forma per lo meno ambigua, se non francamente contraddittoria. Per esempio, è lo «Stato Socialista» evocato al punto 10 che rimarrebbe proprietario delle case espropriate ed assegnate a chi non ne abbia una di proprietà? O è da intendersi che la casa divenga proprietà di chi va ad occuparla? In tal caso, il proprietario può disporne come eredità? Suppongo sia superfluo soffermarci sulle implicazioni che scaturiscono in un caso e in quello contrario. Quali «criteri di uguaglianza», poi, assistono la scelta di equiparare un «individuo» a un «nucleo familiare» nell’assegnare un’abitazione a entrambi? Tutto ciò è materia che può essere lasciata senza il necessario approfondimento? Sì, ma solo a voler lasciar nel vago ciò che nel vago non solleva obiezioni, in questo caso, da parte di chi sia proprietario di una o anche di due case, nello stesso tempo allettando chi non ne possegga alcuna. E il discorso non cambia per tutti gli altri punti, dove nel vago si lascia innanzitutto chi debba essere l’attore delle iniziative illustrate, se uno Stato che si sia dato un’altra Costituzione o conservi quella che ha, però dovendola violare in due o tre dozzine di punti.
In fin dei conti, direi che si tratti di un comunismo assai paraculo, che della presa del potere e dell’abolizione della proprietà privata ritiene di poter pure fare a meno, offrendosi come alternativa al sistema nella mera evocazione di una rivoluzione, che in realtà non sfiora affatto la struttura portante di quella che resterebbe una democrazia di stampo borghese. In buona sostanza, la «ricetta» sembra avere solo un richiamo alla tradizionale cucina comunista, mancandone dell’essenziale. Manca di quella dittatura del proletariato che è passaggio ineludibile nella transizione dallo Stato borghese a quello socialista, e manca, prim’ancora, del necessario per arrivarci.
Già su questi due punti le domande sarebbero ancora tante, e tutte, come ritengo sia intuitivo, investono una questione centrale nell’ambito di una proposta che aspiri a definirsi comunista: quella della proprietà privata, che qui pare destinata a sussistere, ma in forma per lo meno ambigua, se non francamente contraddittoria. Per esempio, è lo «Stato Socialista» evocato al punto 10 che rimarrebbe proprietario delle case espropriate ed assegnate a chi non ne abbia una di proprietà? O è da intendersi che la casa divenga proprietà di chi va ad occuparla? In tal caso, il proprietario può disporne come eredità? Suppongo sia superfluo soffermarci sulle implicazioni che scaturiscono in un caso e in quello contrario. Quali «criteri di uguaglianza», poi, assistono la scelta di equiparare un «individuo» a un «nucleo familiare» nell’assegnare un’abitazione a entrambi? Tutto ciò è materia che può essere lasciata senza il necessario approfondimento? Sì, ma solo a voler lasciar nel vago ciò che nel vago non solleva obiezioni, in questo caso, da parte di chi sia proprietario di una o anche di due case, nello stesso tempo allettando chi non ne possegga alcuna. E il discorso non cambia per tutti gli altri punti, dove nel vago si lascia innanzitutto chi debba essere l’attore delle iniziative illustrate, se uno Stato che si sia dato un’altra Costituzione o conservi quella che ha, però dovendola violare in due o tre dozzine di punti.
In fin dei conti, direi che si tratti di un comunismo assai paraculo, che della presa del potere e dell’abolizione della proprietà privata ritiene di poter pure fare a meno, offrendosi come alternativa al sistema nella mera evocazione di una rivoluzione, che in realtà non sfiora affatto la struttura portante di quella che resterebbe una democrazia di stampo borghese. In buona sostanza, la «ricetta» sembra avere solo un richiamo alla tradizionale cucina comunista, mancandone dell’essenziale. Manca di quella dittatura del proletariato che è passaggio ineludibile nella transizione dallo Stato borghese a quello socialista, e manca, prim’ancora, del necessario per arrivarci.
Mentre leggevo il tuo commento alle farneticazioni di questo sedicente comunista mi toglievi le parole di bocca. Azzo, mi dicevo, Luigi le imbrocca tutte! Tuttavia, lasciando da parte ogni sarcasmo (facile, ammettiamolo, dato il livello di ristorazione), credo che oltre a mancare, come evidenzi, il riferimento alla “dittatura del proletariato che è passaggio ineludibile nella transizione dallo Stato borghese a quello socialista” (ma su questo punto, personalmente, intendo la cosa in modo assai diverso da come può prospettarla il senso comune), sia completamente assente una questione fondamentale, cui le altre fanno solo da contorno. Quella del lavoro. Non basta dire: “Viene istituito il salario minimo da lavoro garantito per tutti”. Questo non è socialismo, ma una nuova forma di servitù. E, nel breve spazio di un commento, non dico di più, se non rinviando alla Critica del programma di Ghota, dove già Marx si prendeva gioco di queste robinsonate rifritte nella cucina dell’avvenire di questi nostalgici di un socialismo che non fu mai nulla di più di un’infelice dittatura di grigi funzionari.
RispondiEliminadomanda: crede che nel 2015 abbia ancora senso legare retribuzione a lavoro, visto che grossomodo la metà dei lavoratori (del mondo occidentale) è impegnato in attività assolutamente inutili, che potrebbero essere evitate con tre macchine e due processi?
EliminaLa sua domanda potrebbe essere formulata così:
Eliminaha ancora senso il lavoro salariato?
Un po’ come se Marc’Aurelio avesse posto questa domanda:
ha ancora senso la schiavitù?
E tutto ciò rinvia alla contraddizione tra sviluppo delle forze produttive e rapporti di produzione.
Dunque, o si affronta il tema scientificamente, oppure si fanno solo chiacchiere.
Mettiamola così. Ieri avevo dieci operai, li pagavo cento l'uno (ammettiamo pure che fosse un compenso pienamente equo, sono un Fourier all'ennesima potenza). Oggi ne ho uno, che fa il lavoro di dieci, il capitalismo mi dice di pagarlo sempre cento, e comunque se dessi i soldi a chi non lavora l'unico operaio che produce in breve andrebbe a farfalle pure lui. Ma anche pagarlo mille sarebbe sbagliato perchè ce ne sarebbero nove a spasso, e quello che guadagna mille non consumerebbe come dieci, il meccanismo si incepperebbe lo stesso.
EliminaLa soluzione attuale è pagarne uno cento, e nove cinquanta, facendo fare loro un lavoro completamente inutile. Non c'è rivolta sociale perchè i nove sottopagati hanno da tirare a campare, e io faccio più soldi. Ma il meccanismo si inceppa anche così, perchè tutti gli imprenditori fanno come me, e quelli sottopagati sono talmente tanti che 'tirare a fine mese' non consente di vendere i prodotti.
Quindi, anche ammettendo una situazione ideale (in cui nessuno può usare dieci operai cinesi pagandoli uno fottendo allegramente tutta la concorrenza), come se ne esce se non rompendo il meccanismo stesso che lega il salario al lavoro svolto? Non semplicemente alterando un rapporto. Marx pensava che tutti dovessimo lavorare, l'idea di una società dove anzi _è meglio_ che un sacco di gente cazzeggi, per non distruggere le risorse che sono finite, non lo sfiorava, come non sfiorava nessuno dei contemporanei (o forse mi sbaglio io, non ho sufficienti informazioni per metterci la mano sul fuoco).
Ecco, a proposito di Marx, mettiamola così: lei non ha sufficienti informazioni per mettere non solo la mano sul fuoco ma nemmeno per avvicinare un dito a una stufa spenta. non mi giudichi sprezzante, glielo dico in amicizia: si capisce già alla seconda riga, quando scrive "compenso pienamente equo", che lei non conosce l'oggetto di cui parla. si consoli, lei fa parte della stragrande maggioranza, compreso Rizzo.
Eliminaammetto la mia ignoranza, però guardi che non era il centro del discorso. Che è qualcosa tipo "ci siamo inventati un terziario sovrasviluppato perchè primario e secondario ormai sono automatizzati, ora stiamo automatizzando pure il terziario, ha ancora senso parlare di lavoro se il lavoro non c'è più?"
Eliminae con questa chiudo, buona giornata.
Ma, soprattutto, com'è che tutti questi sedicenti comunisti sembrano non rendersi conto dell'enorme potere di autodeterminazione (collettiva, ovviamente) che potrebbero conseguire organizzandosi all'interno della società capitalista secondo i principi che affermano di sostenere per l'ipotetico stato socialista?
RispondiEliminaIntanto potremmo provarla sulla Grecia per vedere se incontra il gusto del pubblico
RispondiEliminachiama la Merkel e proponigliela, in grecia comanda lei.
EliminaAntonio
Meglio chiamare Varoufakis che ha più dimestichezza.
Eliminanessun politico, e neppure nessun economista, capirà/ammetterà mai che la ricchezza deriva solo da materie prime e loro trasformazione per mezzo del lavoro. Continuano ad accapigliarsi su come redistribuire, tassare, detassare, finanziare, privatizzare, nazionalizzare... qualunque cosa, pur di non lavorare! Lavorare è faticoso...
RispondiElimina"Manca di quella dittatura del proletariato che è passaggio ineludibile nella transizione dallo Stato borghese a quello socialista"
RispondiEliminae chi l'ha detto che sia passaggio ineludibile ? "Dittatura del proletariato" è la formula politica più vaga mai inventata. Trovo curioso che si accusi un programma politico di eccessiva vaghezza e, nello stesso tempo, di non contenere tale formula. Non trovo che il programma di Rizzo ( che non condivido affatto ) sia mediamente più vago di tutti gli altri programmi politico-elettorali circolanti in Italia negli ultimi 60 anni.
Sai com'è, l'inedubilità del passaggio sarebbe stata pretesa dal Carletto medesimo... Zagreo
EliminaCommento perfetto.
EliminaLa cosa straordinaria dei commenti di Olympe de Gouges è che si riferiscono sempre a una pretesa di scientificità. Mai dimostrata. La famosa "scienza de che"?
RispondiEliminaA parte ciò, Rizzo fa ridere, è vero.
E' sempre il solito cuore di cane. Pallino remix. O rewind, fate voi.
RispondiEliminaLB