Quanto
le cronache ci hanno fin qui rivelato degli ingegni e dei maneggi di
Tiziano Renzi e di Pier Luigi Boschi basta e avanza, ben oltre ogni
ulteriore ed eventuale istruttoria, per ridarceli come esemplari
carotaggi di quella provincia italiana che da sempre vanta come sua
massima virtù, non di rado con compiaciuta fierezza, quel familismo
di stampo clanico che va dall’arrangiarsi
al fottere alla grande, nell’instancabile
tessitura di reciproci favori in microsistemi di potere che spesso
non esorbitano dalla cinta di un paesello di poche migliaia d’anime,
ma che quasi sempre sono prima o poi costretti a tentare di allargare gli ambiti
in cui sono gemmati come forme degradate della gens, della casata,
della consorteria corporativa, per arrivare ad assumere quelle del
consorzio, del cartello, della loggia, della cosca, più spesso per
resistere agli attacchi della concorrenza, con ciò trovandone
ragione nell’istinto
di sopravvivenza, che per smaniosa insaziabilità.
Nell’incoazione
il fine sta tutto nell’agiatezza
economica e nella rispettabilità sociale, nell’assumere un ruolo
di rilievo nella comunità locale, nel coltivare le amicizie giuste, nell’appuntarsi al petto un titolo, nel saper essere alla bisogna cliens o patronus, con capillare
conoscenza del territorio, accorta scelta delle frequentazioni,
accorta costruzione del profilo pubblico, costante presenza nei
momenti che rinsaldano i vincoli sociali attorno a valori ampiamente
condivisi, meglio se incarnati con la disinvoltura che promuove
il cognome a quell’antonomasia che va a incastonarsi a meraviglia nell’aneddotica da tavolata.
Al maneggione di provincia non
basterebbe altro, ma con quanto ha messo in gioco di energie, con
quanto ne ha lucrato in quella particolare forma esperienza che sta
nel sapere come gira il mondo, è inevitabile che in seconda o al
massimo in terza generazione gli scappi la mutazione sul cromosoma
giusto e metta al mondo un figlio che trasfiguri l’arte di aprire e
chiudere scatole cinesi nei giochi di prestigio di una manovra di
stabilità o la concessione del mutuo in cambio di un trattamento di
favore su una compravendita nella sapiente gestione di una
maggioranza parlamentare.
Fanfani, La Pira, Gelli... Quante cazzate.
Matteo Renzi e Maria Elena Boschi non hanno avuto altri maestri che i loro
babbi, che per tempo li
hanno costruiti nel modo che poi, per botta di culo, si sarebbe rivelato utile.
Quando babbo si becca sette condanne tra cause civili e del lavoro
per contributi non pagati, licenziamenti illegittimi, lavoro
irregolare e roba simile, non hai bisogno di ispirarti alla Thatcher
per il tuo modello di flessibilità. Né hai l’angoscia della copertura finanziaria per il cadeaux elettorale, quando è babbo che ti ha fatto andare alla Ruota della Fortuna ed è a babbo che hai consegnato i soldi della vincita per diventare socio dell’azienda di famiglia: è così che il denaro nasce dal niente.
Quando
babbo fa slalom alla grande tra una turbativa d’asta
e un riciclaggio, a che ti serve la lezione del trasformismo dell’età giolittiana per trattare con Verdini e farti dare i voti che ti
mancano in Parlamento? Basta un leggero fondotinta che a tutti sembrerà acqua e sapone, e
via. Dai, ridillo: «Mio padre è una persona perbene», puoi metterci tutta l’innocenza di una Vergine da presepio vivente, tanto a certificarlo c’è tanto d’archiviazione del consulente del governo di cui sei membro.
No, niente di nuovo in questi fenomeni spacciati per prototipi
di una nuova razza: sono i figli di una
provincia che continua a produrre mascalzoni indorati di decoro,
furbastri che spacciano lo scilinguagnolo per dialettica, parvenu che
spendono la loro vita tra commercialisti e avvocati, la domenica a
messa e il lunedì a spremere occasioni dalla Gazzetta Ufficiale. La reputazione d’essere dei dritti come bussola e sestante, la raccolta dei proverbi
come orizzonte esistenziale, l’orologio di marca come feticcio.
Ma esiste forse qualcosa di diverso da questa dimensione «provinciale» nel nostro paese ormai marginale?
RispondiElimina“Fanfani, La Pira, Gelli... Quante cazzate.” Infatti, come darLe torto. E tuttavia il Suo bel corsivo, che offre il meglio nell’ultimo bicchiere, potrebbe adattarsi assai bene a tutta la covata di Giovanni di Bicci, che pure, se non ricordo male, allignava nello stesso contado. Certo, ora in sedicesimo e anche assai meno, dunque con tutt’altra visione e incomparabile respiro storico, ma pur sempre gli Antichi e gli epigoni ritagliati sul genere della Ruota della Fortuna, che un tempo erano le borse con le quali s’addomesticavano le cariche pubbliche e ora fan le veci le primarie, e pure le banche e il credito facile, oggi come nel bel tempo. Pertanto aveva ragione Tomasi nella sua folgorante sentenza, così come in effige di similitudine: iene, pecore, sciacalli e sciacalletti.
RispondiEliminaOh, il primo commento decente sulla questione. Da un lato i renziani d'adozione che fan finta di non vedere, dall'altro i travagliani che chiedono le dimissioni se tuo nonno è stato visto prendere un caffè con un tizio che hanno indagato cinque anni dopo.
RispondiEliminaCome se fosse impossibile essere dei gran farabutti con una fedina penale immacolata e rispettando formalmente le regole.
Grazie per essere tornato, mancava l'aria.
Nel dubbio in questo momento, che forse dura da troppo tempo, preferisco i travagliani.
EliminaL'ultima volta in cui andarono al potere fu nella Francia di fine '700. Dopo una girandola di decapitazioni, in cui quello nuovo duro e puro faceva rotolare nella cesta quello vecchio non abbastanza integro, arrivò un bell'impero e la restaurazione borghese.
Eliminanel frattempo però la francia e gran parte dell'europa cambiarono radicalmente. Non la restaurazione borghese, ma il suo definitivo trionfo. da tale posizione di forza poteva permettersi un qualsiasi assetto politico, persino la restaurazione monarchica, che in quel frangente, depurata dell'assolutismo e dell'avventurismo bonapartista, le veniva più comoda e rispondente.
EliminaAnche la glaciazione fu uno successone per tutti, meno che per i dinosauri. Meno male c'è stata, visto che non sono un dinosauro (cit. Miss Italia)
EliminaPoteva anche scrivere 40enni rampanti con cervello da 15enne, abili solo coi pollici sulle tastiere perché nati colla plaistascion in mano al posto del biberon e costituzionalmente portati all'eterno fancazzismo giovanilista irresponsabile. Questo paese sarà sempre provinciale, perché 8.000 comuni disseminati per il lungo dal sud germanofono all'arabo siculo, non faranno mai nazione perché non costituiscono fattori identitari, e chiunque in Italia salga su di un gradino diventa subito oggetto di doni di sportule di antico retaggio e di baciamani papalpadrineschi a prescindere, e poi la fratellaza universale ha fatto il resto, la vecchia balena bianca in decomposizione puzzava, i vecchi partiti sinistrorsi si decompongono, ma profumano Acqua di Giò, e rolexando rolexando ci stanno portando alla rovina, mentre l'orhestra suona sempre e ancora la stessa canzone vero Sam?
RispondiEliminaBellissimo, feroce ritratto della peggiore Italia; che oggi, purtroppo, è al potere.
RispondiEliminaBravo Malvino. Era questo che mi è mancato per troppi mesi.
RispondiEliminaMa cosa ne pensa della moglie?
RispondiEliminaIl resto del popolo non ha fatto molta fatica ad adeguarsi.
RispondiEliminaL'orchestra suona ma pochi rifiutano di ballare la stessa canzone.
uhmm un solo appunto per l'autore, quelli che lei con cinismo chiama il gruppo dei figli di provincia,
RispondiEliminaforse solo da figli di lupi di provincia non è proprio composto.
è che è ? i cittadini spavaldi son diventati tutti fessi?
controlli un po' tutte le interconnessi bancarie-politiche che ci stanno