sabato 12 marzo 2016

Zompapérete

Contrariamente a quel sembra suggerire limmagine evocata dal termine, zompapérete (più frequentemente usato al femminile: zompapéreta) è solo in senso figurato chi procede sobbalzando (zompando) sulle proprie scoregge (pérete), perché invece è il risultato della crasi di onna (donna, qui inteso al pari del don preposto a un nome proprio maschile, come attributo di persona autorevole o rappresentativa, secondo il largo uso che ancora residua in gran parte dellItalia meridionale) e di Péreta (con attribuzione al termine dellantonomastico per la donnetta sciocca e supponente, incarnata dal personaggio che la tombola napoletana allega al numero 43 con limmagine di Onna Péreta for o balcone, la popolana che dispensa le sue presunte perle di saggezza al vicinato e a chiunque le passi sotto casa).
Appena qualche settimana fa, su queste pagine, abbiamo dedicato un fuggevole commento a un tizio che dal suo balcone sentenziava che «i fautori delle nozze gay e delle unioni civili sono animati dagli stessi principi cardine che avevano spinto all’azione più o meno sanguinaria i loro precursori [i giacobini] che al posto della bandiera arcobaleno sfoggiavano la coccarda tricolore» (Il Foglio, 28.1.2016). Pensavamo si trattasse di zompapérete occasionale, ma già due giorni dopo, quando labbiamo sentito dire che Lévi-Strauss ci avesse lasciato una «formidabile arringa in favore della “famiglia naturale”» (Il Foglio, 30.1.2016), a dispetto dellesatto contrario come siamo stati costretti a documentare, abbiamo avuto il sospetto che si trattasse di zompapérete professionale. Oggi, la conferma.
Recensendo un «pamphlet» (in realtà un sermone) di Jonathan Swift che le Edizioni Dehoniane hanno da poco mandato in libreria, Antonio Gurrado dice che il libriccino sarebbe il non plus ultra per «per smontare chi fa sarcasmo su chiesa e cristianesimo» (Il Foglio, 11.3.2016). Inutile correre a comprarlo, in lingua originale è online già da diversi anni: si tratta di On sleeping in church, lo trovate su gutenberg.org, che ospita lopera omnia di Swift (Vol. IV).
«Finalmente un pamphlet – scrive Gurrado – in cui vengono sbertucciati coloro che “con grande impegno e molto sarcasmo si fanno una scorta di battute umoristiche” per esercitare il disprezzo della fede e proclamare la propria superiorità cerebrale a un mondo che altrimenti li ignorerebbe; finalmente lo smascheramento di individui che “parlano in modo scortese e irriverente” per celare di essere “così ottusi da non darci altro che noiose ripetizioni e meschini, volgari luoghi comuni, così triti, così logori, così banali”. Di costoro viene denunciata “la rozza, evidente, inescusabile ignoranza degli stessi principii fondamentali della religione”, curiosa a trovarsi “in persone che attribuiscono tanto valore alla propria cultura” ma che in realtà “imparano meccanicamente una serie di buffonate che possono essere usate in tutte le occasioni”, “hanno un assortimento fisso di sarcasmi e riescono a essere estremamente spiritosi servendosi sempre degli stessi pretesti” per colpire il cristianesimo. Questi sarcastici che si ritengono eccezionali e illuminati dovrebbero apprendere che “chiunque è capace di immaginare un berretto da buffone sulla testa dell’uomo più saggio, per poi ridere della propria stessa trovata”.
In realtà, non è chiaro quali sarebbero gli argomenti coi quali Swift annichilirebbe la «sbruffoneria degli atei», anche perché afferma che, «of all misbehaviour, none is comparable to that of those who come here to sleep», a conferma del fatto che anche per lui, come per ogni pastore, il più temibile nemico della fede non è lateismo militante, ma lindifferenza che già ai suoi tempi serpeggiava nel gregge.
A parte occorrerebbe dire che un capolavoro come Gulliver’s travels e un gioiellino come A modest proposal sono di qualità molto al di sopra della media del corpo swiftiano, che per gran parte è grigio ciarpame nel quale non si trova molta traccia della straordinaria forza letteraria che la critica ha giustamente riconosciuto in quelle due opere dalla cifra estremamente originale, dalla scrittura eccezionalmente brillante, dalla vena sapidissima e arguta, dalla mirabile misura di paradosso e iperbole che ne è il tratto distintivo. Diremmo che di swiftiano Swift ha scritto solo Gulliver’s travels e A modest proposal, e che On sleeping in church può sembrare swiftiano solo a chi sappia che l’ha scritto Swift.
In definitiva, sembrerebbe che anche con Swift, come già con Lévi-Strauss, Gurrado abbia il vizietto di attribuire ad un autore quanto presume di poter leggere in quello che in questo caso definisce «livello esoterico», e che in realtà sarebbe il piano sul quale gli sembra legittimo conferirgli intenzioni né dichiarate né in altro modo rese esplicite, fino a distorcerne, come abbiamo visto nel caso di Lévi-Strauss, addirittura il contenuto: pérete, diremmo, che gli fanno correre il rischio di zompare giù dal balcone. 

3 commenti:

  1. Volpi Aggiungici questo. La sua difesa della nominal christianity è bellissima. https://en.wikipedia.org/wiki/An_Argument_Against_Abolishing_Christianity

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  2. Aggiungerei anche la Tale of a Tub, per la verve e il gusto per la stravaganza quasi sterniano con cui tratta una materia piatta come l’esaltazione del luteranesimo (in realtà, la chiesa anglicana) rispetto al cattolicesimo e al calvinismo (puritanesimo), in nome di una pedante morale del giusto mezzo. Ma Swift è personalità provinciale e petulante, sostenitore del buon tempo antico in ogni maniera, dalla difesa dei proprietari terrieri contro l’ascesa della borghesia mercantile all’esaltazione del genio degli antichi dalle irriverenze dei moderni, e qui la Battle of the Books fornisce un esempio classico; del resto, sono i tipici tratti del faccendiere in tonaca, caduto in disgrazia con la crisi del gabinetto Tory nel 1741 e mandato a masticar fiele a Dublino, di una mediocrità di cui il Journal to Stella è imperituro monumento.
    Mi pare che questo tratto di mediocrità sia ben presente anche nelle sue opere maggiori. Nella Modest proposal, che in fondo è un bel paradosso, che scivola nelle pagine immediatamente successive nella ripetizione compiaciuta e subito dopo si spaventa del suo ardimento, per chiudere con un banale appello alla carità cristiana: nulla di paragonabile ad altre opere del genere, come il Jonathan Wild di Fielding o il saggio di De Quincey sul Murder as a Fine Art. Gli stessi Travels, in fondo, sprofondano spesso nella satira grossolana sulle stravaganze dei moderni rispetto all’aurea semplicità di non si sa bene quale patriarcale paradiso perduto, se non in tirate moraliste da signora mia, dove andremo a finire. Mi pare che, al netto delle pur notevoli invenzioni e di alcune pagine particolarmente felici, anche qui ci si trovi di fronte a una dose abbondante di peretaggine.
    Insomma, per una volta direi che Gurrado abbia trovato il suo giusto referente.

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