venerdì 17 giugno 2016

Il problema Croce, ancora


Devesserci asperrima tenzone per il titolo di «massimo specialista di Croce oggi in Italia», perché passa continuamente di mano: fino a due giorni fa, pareva saldamente in pugno a Corrado Ocone, oggi La Stampa, per la firma di Federico Vercellone, dice che è la volta di Paolo DAngelo, di cui fino a ieri – nostra culpa, nostra maxima culpa – ignoravamo pure lesistenza. Per i tipi di Quodlibet, il nuovo «massimo specialista di Croce oggi in Italia» manda in libreria un volume che sintitola Il problema Croce, che il quotidiano torinese si precipita a recensire, ed è qui che scopriamo che il problema sussiste, non tanto perché qualcuno sia infine capace di dirci a cosa serva più un sistema filosofico che faceva già acqua quando Croce era in vita, quanto perché non viene meno la lena di chi tenta disperatamente di tappare i mille buchi.
«Abbiamo a che fare – leggiamo – con il nume che ha dominato la cultura italiana per decenni, che fatica ora a profilarsi nella nostra memoria culturale come quel grande olimpico classico che fu invece in vita». Si tratta di un grazioso bouquet di eufemismi: Croce era un camorrista che faceva e disfaceva carriere muovendo il solo mignolo, e lunico criterio a guidarlo era la venerazione dimostrata nei suoi confronti. Doveva essere assoluta, incapace di concepire critica, anche se da lui intravista solo in trasparenza. In quanto alla fatica a profilarsi oggi nella nostra memoria culturale eccetera, vorrei vedere: tutta la naftalina in cui lhanno amorevolmente tenuto le figlie è finita, lo Stato non sgancia più un soldo.
«Il suo sistema appare obsoleto e arretrato il suo atteggiamento culturale anche in forza del polemico atteggiamento nei confronti di discipline come la sociologia e la psicoanalisi». Tutto proprio come «appare»: di fronte a Croce perfino Bergson e Comte sembrano moderni. Che resta? «Alla base della ricezione attuale di Croce resta in fondo l’Estetica del 1902», nella quale non si fa mistero che «Croce liquida, con un quasi oltraggioso colpo di spugna, tutti le grandi categorie che avevano pervaso la tradizione. A fronte del dominio assoluto della bellezza da lui sostenuta, venivano messi da parte il comico, il sublime, il patetico, il tragico, l’umoristico, e poi la partizione delle arti e i loro principi specifici. E il critico, privato dei ferri del mestiere, sembrava di colpo indotto ad affidarsi alla sola intuizione per esercitare il proprio mestiere». Cè di più, e non è carino ometterlo: lintuizione unicamente valida a stabilire dove vi fosse bellezza assoluta, e dove no, doveva essere la sua.
Per evitare che tutte le copie vadano vendute appena messe sugli scaffali, domani correremo in libreria ad acquistare il volume di Paolo DAngelo, poi vedremo se lì dentro cè qualcosaltro a salvare Croce oltre al solito «antifascista che seppe dialogare con i vertici della cultura europea in tempi quanto mai difficili, e resistere, da grande e onesto aristocratico, al conformismo della società italiana dell’epoca», lipsanoteca che conserva i resti di uno che sul fascismo espresse ottimi giudizi fino al 1925, e a cui il fascismo consentì di scrivere e pubblicare mentre ad altri antifascisti non consentì neppure di respirare.

4 commenti:

  1. Trovo assai divertente che vi sia un asperrima tenzone per un filosofo a proposito del quale il giornale che ospita l'articolo pertinente dice che "forse non tutto di Croce è da dimenticare".
    In ogni caso, a naso direi che il massimo esperto vivente di Croce oggi è ancora il vecchio Gennaro Sasso, simile all'abruzzese per opinione di sé, ma a lui superiore quanto a finezza e acribia.

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  2. per farsi un'idea concreta di quanto sia tronfio (e utile alla falsificazione) il Croce:
    http://diciottobrumaio.blogspot.it/2013/11/linavvedutezza-di-marx.html

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  3. Volpi . Ascoltai una recensione su Radio Radicale nella puntata del 18 dicembre 2015 della rubrica "Critica e militanti" .

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  4. Ed io che credevo che fosse Galasso

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