L’euforia
della scoperta scientifica tende sempre a dare un aspetto allettante
a quanto si è scoperto, e questo è largamente giustificato, perché
arrivare a comprendere qualcosa che prima non si comprendeva è il
primo passo per cercare di metterci mano, per cambiarla, se è il
caso, traendone vantaggio. Talvolta, tuttavia, l’euforia
è un riflesso condizionato: ci viene rivelato qualcosa che non è
per niente allettante, cui sembra pressoché impossibile mettere
mano, ma i toni coi quali si dà notizia della scoperta sono comunque
entusiastici.
Così accade con la scoperta di «una
firma strutturale e funzionale dell’attività
cerebrale di ciascuno di noi» (Le
Scienze, giugno 2016 – pag. 17): studi sull’attività
cerebrale umana effettuati mediante scansione per risonanza magnetica
rivelano che ogni individuo ha una sua specifica configurazione di
attività neuronale, che trova ragione in una specificità sia
anatomica che funzionale, e che è ben distinguibile sia nel compiere
alcune azioni che nel non compierne alcuna.
Presto ancora per dire
come ciascuno giunga ad acquistare questa firma inimitabile, ma non
è azzardato supporre che come al solito vi sia il concorso di
patrimonio genetico e ambiente. Di fatto, sembrerebbe lecito
affermare – ed Edoardo Boncinelli, che firma l’articolo,
non fa fatica ad ammetterlo – che, per
«poter essere diverso in azione, il mio cervello deve essere in
potenza diverso da qualsiasi altro». Ragioni per rallegrarsene non
mancano: è cosa che «ci salva dalla noia e dallo squallore del
branco senza animazione». Ma è pure cosa che «non favorisce una
placida intesa reciproca», si concede. Cedendo troppo all’eufemismo,
direi, perché viene a vacillare il fondamento di una logica che possa dirsi fattore specie-specifico.
Certo, sapevamo che la logica fosse un’invenzione e non una scoperta. Sapevamo che 5-6000 anni fossero troppo pochi per farla diventare una protesi fissa. Ma sia consentito un sospiro di mestizia.
Ethos anthropoi neuron, il carattere di un uomo è il suo neurone? Io a naso ho sempre inteso che fosse così, da qui il mio rinnovato scetticismo sulla ragione come rimedio. Non c'è salvezza, c'è solo un destino a cui si crede di poter mettere mano. Ma non vorrei indugiare troppo con la poesia.
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