venerdì 27 gennaio 2017

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9 commenti:

  1. Perché fare loro 3 foto se le devono uccidere?

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    1. Me lo spiegò una sopravvissuta, anni fa: sono tedeschi, quando fanno una cosa la fanno 'gründ­lich' (scrupolosamente, da cima a fondo).

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    2. La prigioniera è una ragazza polacca: se è stata fotografata e ha ricevuto un numero, è perché non era destinata alla camera a gas. Peraltro il numero 39875 è abbastanza basso per rientrare nei primi anni del campo, quando le camere a gas industriali di Birkenau (inverno 1942) non erano ancora in funzione e Auschwitz era ancora un campo di lavoro.

      Certo: il lavoro, il freddo, la fame, le malattie, le punizioni erano fin dall'origine strumenti di selezione e morte dei prigionieri più deboli o razzialmente inferiori o sfortunati; una ragazza polacca poteva essere deportata per aver aiutato o nascosto ebrei, o per il sospetto di far parte della resistenza antinazista, o semplicemente per aver violato qualche ordine o regola dell'occupante.

      Va detto che le sue speranze di vita non erano fra le più basse: i polacchi erano (sotto i criminali comuni e gli asociali tedeschi) la categoria da cui spesso si sceglievano sorveglianti o privilegiati delle baracche. I deportati di Birkenau ricordano bene che le lingue dei persecutori erano il tedesco e il polacco, e Levi stesso dice che ad Auschwitz III i polacchi sapevano sempre per primi le novità (ogni informazione era un privilegio prezioso, da tenere per sé o per gli amici).

      Infine: foto e numero sono precedenti alla pratica di tatuare il numero sull'avambraccio; le foto esposte al museo di Auschwitz riguardano solo i primi anni del campo, prima dei trasporti e degli eccidi massicci. Levi, internato nel febbraio 1944, non fu mai fotografato.

      Resta da dire che la ragazza appare giovanissima: può darsi abbia mentito sull'età per essere assegnata a qualche Kommando di lavoro.

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  2. grazie. mi fa un enorme piacere che anche tu ce l'abbia scritto nel cuore. di nuovo, grazie.
    franco valdes piccolo proletario di provincia

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  3. malvino, questa ragazzina sembra avere 13 anni. perchè ha scelto questa foto? per quanto la domanda sia insensata, sa dirci se è sopravvissuta al lager? il suo sguardo è riuscito a salvarla dal peggio?

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  4. No, non riuscì a salvarsi. Si chiamava Rozalia Kowalczyk, era polacca. Al momento della foto aveva 12 anni, internata come prigioniera politica (figlia di comunisti). Finì in una delle camere a gas di Auschwitz sul finire del '43, almeno a quanto riferisce Wilhelm Brasse, il fotografo che, con lei, ritrasse altri 50.000 internati.

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    1. Non è così. Se verifichi sul database, mettendo il suo nome, cognome e numero assegnatole, scoprirai che aveva 15 anni(nata il 30/7/1928) ed è sopravvissuta...

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    2. "... almeno a quanto riferisce Wilhelm Brasse..."

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  5. Qualche anno fa andai ad Oświęcim a visitare il museo. Appena fuori dall'ingresso c'era un gruppetto di americani, sui 19 anni in quello che classicamente è il viaggio in Europa prima di tornare a lavorare e sfornar figli, che giocavano a palle di neve e facevano un chiasso da concerto metal.
    Pur non essendo molto attento all'etichetta, mi sembrava alquanto fuori luogo, vai a Disneyland se vuoi il parco divertimenti, ma vabbè mi dico, il cattivo gusto non è reato.
    Cominciamo con la visita, ero in gruppo con loro. All'inizio quegli imbecilli continuavano a scherzare e a ridere, mentre la guida li ignorava, procedendo con la visita e la narrazione come un robot, tono assolutamente impersonale come se raccontasse il resoconto di un consiglio di amministrazione.
    A un certo punto le facce dei suddetti sono cambiate di colpo, ora non ricordo a partire da quale punto esatto. Erano angosciati, visibilmente non se l'aspettavano.
    Credo fossero completamente all'oscuro di quasi tutto, in omaggio allo stereotipo dell'americano medio che crede che il mondo sia cominciato nel 1492.
    Nel forno crematorio, nel silenzio totale, sento dei singhiozzi: una delle ragazze, di origine asiatica, si era messa a piangere.
    Da quell'istante sono diventato meno scettico sull'utilità del giorno della memoria.

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