Il
difetto principale di ogni dialettica, compresa quella del cosiddetto
«materialismo dialettico», sta nel considerare ineluttabile che la
tesi e l’antitesi
abbiano culmine in una sintesi che da esse è prefigurabile. Con Marx
è accaduto – per dirla come ce la racconta Engels – che «la
dialettica hegeliana veniva raddrizzata», ma senza perdere il suo
carattere teleologico: l’umanità
continuava ad avere un fine prestabilito, cui ineluttabilmente
tendeva in «un ininterrotto processo di origine e di decadenza,
attraverso il quale, malgrado tutte le apparenti casualità e
malgrado ogni regresso momentaneo, si realizza, alla fine, un
progresso continuo». Una storia umana che ha un fine, e dunque,
necessariamente, anche una fine. Con quanto di assiologico viene così
a sussumersi nel teleologico.
Se alla storia assegniamo un «senso»,
cui la teleologia dà l’accezione
di «direzione» e l’assiologia
quella di «significato», non ne possiamo fare oggetto di «scienza»,
la cui natura è congetturale e avalutativa. Ne consegue che, a
dispetto di ciò che di sé millanta, quella di Marx non è scienza.
La scienza non può assolutamente servirsi della dialettica, che in
sostanza è rigetto del principio di non-contraddizione, che è la
base di ogni discussione razionale: rigettarlo apre la via ad ogni
genere di arbitrarietà, come in realtà accade con Marx, in cui ogni
conclusione si piega alla premessa, in forza del fatto che la realtà
è contraddittoria e che la contraddizione è l’essenza
del pensiero.
Quella
di Marx non è una scienza, è un’ideologia
a carattere religioso, e dalla dimensione del religioso trae i suoi
più distintivi connotati: religiosi sono i suoi tratti profetici e
chiliastici; religioso è il culto della sua «verità»; religiosa è
la sua postura messianica; religioso è il tenore del suo attivismo;
religiosa è la smania proselitaria dei suoi accoliti; di natura
religiosa sono i conflitti che sono nati al suo interno, tutti
consumatisi sulla corretta esegesi del «verbo», di per sé
abbastanza ambiguo e vago da consentire la sporulazione di mille
sette, tutte convinte di incarnare l’ortodossia.
Tipicamente religioso è l’anelito
che impronta la sua dimensione esistenziale. Tipicamente religiosa è
la sua incapacità di pensare all’individuo
(sia a quello che appartiene a una classe, sia quello che apparterrà
ad una società senza classi) altrimenti che a unità-base di una
comunità omogenea per portato motivazionale. Tipicamente religioso è
il suo rifiuto di saggiare la bontà della sua dottrina sulla
effettiva possibilità di metterla in pratica.
Su
quest’ultimo
aspetto è evidente l’ipoteca
hegeliana che pesa sul marxismo. Alla
scoperta di Urano, che smentiva la teoria esposta nel suo De orbitis
planetarum, si dice che Hegel abbia obiettato: «Se i fatti non si
accordano alla teoria, tanto peggio per i fatti». Non dissimile è
l’obiezione
dei
marxisti al rilievo che non una – non una – delle esperienze
storiche ispirate alla dottrina che promette il paradiso in terra è
stata poi capace di rivelarsi troppo diversa da un vero e proprio
inferno: se era inferno, non era marxismo.
Non è lecito il sospetto
che questa religione, al pari di ogni religione, abbia in sé stessa
la vocazione totalitaria? Non è lecito credere – come dice Monod –
che «il profetismo storicistico fondato sul materialismo dialettico
era fin dalla nascita gravido di tutte le minacce che si sono poi
effettivamente realizzate»? No, il sospetto suona a insulto al
«Grande Vecchio» e a denigrazione del socialismo. Perché, per il
marxista comme il faut, socialismo e marxismo coincidono, a dispetto
del fatto che il primo si limita a voler porre l’economia
sotto il controllo della società, mentre il secondo vuole in
sostanza abolire l’economia
in quanto tale, realizzando l’omnipervasività
dello stato. Non è stato proprio questo stato che abbiamo visto
all’opera
nei paesi del cosiddetto «socialismo reale», quello che di ogni
altro socialismo segnalava la pecca di non essere «scientifico»?
C’è stato chi lo aveva previsto: «Nello stato popolare di Marx,
ci si dice, non ci saranno classi privilegiate. Tutti saranno uguali,
non solo dal punto di vista giuridico e politico, ma anche dal punto
di vista economico. […] Secondo Marx, il popolo non solo non deve
distruggere lo stato, ma al contrario deve rafforzarlo, renderlo
ancora più potente e, sotto questa forma, metterlo a disposizione
dei suoi benefattori, dei suoi tutori e dei suoi educatori, i capi
del partito comunista: in una parola, a disposizione di Marx e dei
suoi amici, che cominceranno subito a liberarlo a modo loro.
Prenderanno in mano le redini del governo, perché il popolo è
ignorante e ha bisogno di tutela; creeranno la banca di stato unica
che concentrerà nella proprie mani il commercio, l’industria,
l’agricoltura e perfino la produzione scientifica, mentre la massa
del popolo sarà divisa in due armate: l’armata industriale e
quella agricola, al cui comando ci saranno gli ingegneri di stato che
formeranno una nuova casta privilegiata».
Era Bakunin, che aveva il
grave difetto teoretico di essere un ubriacone, certo, ma perché
ostinarsi a leggere in altro modo una profezia – quella marxista –
che si è sempre realizzata solo in questi termini?
Cosa può dar forza a questa ostinazione, se non la fede? Un altro
tratto religioso. Che, da un lato, conferma ciò che qui si è detto
sulla reale natura del marxismo e, dall’altro,
giacché «le idee camminano sulle gambe degli uomini», lascia
prevedere forma e sostanza dei commenti che pioveranno su questo
post.
Io li leggerò come proteste di credenti che hanno visto
frainteso – e perciò insultato – il «verbo»: accetterò con un
sorriso la beffa e lo sdegno, la condanna per blasfemia e il pietoso
tentativo di soccorrere il peccatore sull’orlo
dell’abisso,
la diagnosi di disperata resistenza al Dio di cui ho fatto esperienza
e la prognosi di infausta ricaduta nel liberalismo di quei finocchi
di Russell e Popper. Tutto con un sorriso, riservandomi di cestinare
tutto ciò che mi parrà trolling. In fondo, questo blog – per il momento – è proprietà
privata.
Ho sempre pensato, nel mio piccolo, che quella di Marx fosse una scienza per la definizione che egli ci ha lasciato di plusvalore (e non solo di plusvalore) e per le leggi matematiche che da tale grandezza dipendono. Non credo che sia un caso infatti che una delle prime azioni intraprese dagli economisti viennesi sia stata proprio quella di attaccare Marx su questo aspetto, dando vita, infine, alla "teoria soggettiva del valore", la medesima che oggi viene insegnata nelle università quale legge generale del valore. Tutta l'economia moderna, quella neoclassica, nelle sue diverse varianti, è fondata su questa legge, con tutte le conseguenze politiche che viviamo ogni giorno dato che quello che si chiama "neoliberismo" è appunto la conseguenza più diretta della rivoluzione neoclassica. Da questo punto di vista non penso quindi che il marxismo, qualunque cosa sia, possa essere ricondotto ad una religione, perchè io non mi sento un prete quando sostengo che il capitalismo non è il modo più razionale di allocare le risorse e quando affermo che senza lavoro umano non vi potrebbe essere valore economico. Non mi sento prete nemmeno quando penso alle conseguenze logiche che derivano dalle leggi che muovono la sviluppo del modo di produzione dominante anche se sarei disposto a tornare subito sui miei passi qualora qualcuno mi dimostrasse che il plusvalore (ma non solo il plusvalore) è una sciocchezza e che quindi tutto ciò che ne consegue non può essere sostenuto su basi scientifiche. Bohm-Bawerk non mi ha convinto, ma forse perchè sono un prete per davvero.
RispondiEliminaBuona giornata e distinti saluti.
Costantino
P.S: neoliberismo abbracciato ormai da tutti i partiti politici "di peso", socialdemocratici nostrani inclusi.
Per Tommaso d'Aquino anche la teologia è scienza. In quanto al fatto che lo sia l'economia, la questione rimanda al se una "scienza sociale" possa dirsi davvero scienza. Io nutro qualche dubbio, e so bene che può suonare come insulto per chi invece ne è convinto. D'altronde, mi trovi un solo psicoanalista che non ritenga una bestialità affermare che l'esistenza dell'inconscio sia opinabile.
EliminaRicambio le carinerie.
Ok accolgo il Suo punto di vista, ma possiamo almeno riconoscere a Marx di essere stato uno scienziato del suo tempo? Se la risposta è "sì", e la risposta per me è "sì", dobbiamo subito dopo chiederci quanto il pensiero scientifico del nostro tempo, la teoria della consocenza, cioè quella che dovrebbe uccidere il famoso horse, non sia a sua volta irrimediabilmente segnata dal processo riproduttivo del capitale. Io un'idea della misura di quanto lo sia me la sono fatta, e questa misura basta, per il momento, a non farmi scendere da quel vecchio cavallo, cavallo che avrebbe bisogno di una "lustrata" e che ne so, magari di un partito. Capisco anche che altra cosa è la ricerca delle motivazioni per salirci su quel cavallo.
EliminaGrazie mille per l'ospitalità e buona giornata
Costantino
tra l'altro, ragionando allo stesso modo, non si puo' far valere nemmeno il principio della proprietà privata. Essendo tale concetto di natura giuridica ed essendo il diritto una scienza sociale, si potrebbe dire, sulla falsariga del suo ragionamento, che il principio della proprietà privata non è di natura scientifica ed è quindi da rigettare.
EliminaFilosofo, sì, e del suo tempo, per l'appunto. Scienziato è altra cosa, perché è vero che le cosiddette "scienze sociali" prendono in prestito dalla scienza il suo metodo, ma studiano una materia che non sempre vi si presta docilmente. Lo dimostra il fatto che in ciascuno dei loro ambiti il risultato, salvo fede, resta opinabile, e per la semplice ragione che la prova sperimentale quasi mai è riproducibile. Come dimostra il fatto che la "verità" di Marx non splende universalmente incontestata. E' una teoria, questo sì, ma ad ogni saggio empirico fin qui effettuato si è dimostrata poco rispondente a costruire la società di liberi ed eguali: diciamo che di scientifico ha solo la popperiana Fälschungsmöglichkeit. Poi, sì, può darsi abbia ragione lei: il metodo scientifico è irrimediabilmente segnato dal processo riproduttivo del capitale, infatti, dove si è creduto di poterlo sostituire con qualcosa di più coerente al materialismo storico, Vavilov è stato fatto fuori da Lysenko. E tuttavia la produzione agricola si è ostinata nel dargli torto. D'altronde anche l'agricoltura, si sa, è stata irrimediabilmente segnata fin dai suoi albori dal processo riproduttivo del capitale: si capisce perché trami contro il Piano quinquennale.
Elimina@chissacosera
EliminaMica volevo dargli forza di principio scientifico. Dicevo solo che, fino a quando non si sarà affermato il principio "scientifico" per il quale la proprietà privata è un furto, abuserò del fatto che la password di accesso al blog e alla moderazione dei commenti è solo in mio possesso.
ok, ma rimane il fatto che è un controsenso inferire dal fallimento storico del marxismo che il modello economico di Marx, quale descritto nel Capitale, non sia valido per descrivere l'odierna società capitalista.
EliminaNon mi faccia dire cose che non ho mai detto. Io mi sono limitato a dire che tutti gli esperimenti miranti a dimostrare la solidità di quella teoria non sono stati in grado di creare una società migliore, perché ammetterà che Marx non si è accontentato di fare una diagnosi, ma ha indicato anche una terapia, e questo sì che è un bell'inferire. Ora, non fosse per i costi sostenuti per gli esperimenti fin qui condotti, direi proviamo e riproviamo. Ma consentirà che dopo una dozzina di esperimenti andati in vacca qualche sospetto sul bell'inferire viene.
Eliminanon c'è dubbio. Grazie.
EliminaDotto', you're beating a dead horse (come si dice a Treviri).
RispondiEliminaSinceramente a me non pare tanto "dead". In quanto al "beating", la correggo: spiego solo perché mi rifiuto di salirvi in sella.
EliminaE per non dire che il capitalismo potrebbe perfino essere superato in un modo non previsto da Marx. Come diceva Aron: "Non tiriamo conclusioni precipitate dal fatto che la morte del capitalismo non sia stata dimostrata da Marx. I regimi possono morire senza che i teorici li abbiano condannati a morte."
EliminaPer la miseria, sa che mi è venuta una voglia boia di comporre un saggio su Proudhon?
RispondiElimina:-D
Stia bene.
Ghino La Ganga
Posso andare fuori tema? Sul marxismo sono d'accordo con lei.
RispondiEliminaSono sicuro che ha letto sia Wittgeinstein che Kuhn (forse ha letto anche H.I. Brown "La Nuova Filosofia della Scienza", e se non glie lo consiglio tanto), perché ancora Russell e Popper?
Perché hanno la freschezza dei pionieri.
EliminaIntervengo su un particolare minuto : la scoperta di Urano è del 1781 ed Hegel aveva allora soltanto 11 anni. La scoperta di Nettuno, predetta a causa delle anomalie dell'orbita di Urano, è del 1846. Forse Hegel stava riferendosi a qualche altro nuovo dato sperimentale?
RispondiEliminaNo, la spiegazione è molto più semplice: Hegel non era a conoscenza della scoperta di Urano (1781) nel momento in cui licenziava il suo De orbitis planetarum, vent'anni dopo.
EliminaSecondo la biografia di Hegel di Terry Prikard (Hoepli) il filosofo non solo non ha mai pronunziato la frase incrminata ma si riferiva la mancanza di un pianeta tra le orbite di Giove e Marte. Effettivamente il pianeta non c'è. Al suo posto posto la fascia degli asteroidi che all'epoca di Hegel non era stata ancora osservata adeguatamente.
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