Sei
mei fa, l’Istat informava che in Italia 5.058.000 individui vivono
in una condizione di «povertà assoluta», mentre altri 9.368.000 in
quella di «povertà relativa»: al netto di numeri e virgolette, si
tratta di un quinto del paese cui manca il minimo indispensabile per
una vita appena dignitosa, il che di solito non lascia terza opzione
tra rassegnazione e rivolta.
Tanto finora ha prevalso la prima da
renderci perfino inimmaginabile la seconda, consentendoci così di
sottovalutarne le possibili conseguenze, e dunque di lasciare senza
soluzione la questione, che, sempre secondo l’Istat, va
aggravandosi da anni, e senza alcun cenno ad invertire la tendenza.
C’è
di più: tanto finora ha prevalso la rassegnazione sulla rivolta che
in molti nasce il sospetto che quelli dell’Istat
siano numeri ingannevoli.
Uno è Federico Geremicca, vicedirettore de
La Stampa, che qualche giorno fa, a L’aria
che tira, diceva: «Posso dire una cosa politicamente scorretta? Ho
dei grossi dubbi sui numeri di quanti italiani siano in povertà
assoluta. È sgradevolissimo dirlo, ma i ristoranti sono pieni». Per
chi può permettersi di andare al ristorante sarà argomento
indiscutibilmente forte, ma solo fino a quando ai poveri non verrà a
noia la rassegnazione, e non già in ragione del pretendere migliori
condizioni di vita, che pure sarebbe legittimo, ma del sentire in
forse la loro mera sopravvivenza, assalteranno il ristorante in cui
Geremicca è riuscito faticosamente a trovare un posto e lo
spettineranno più di quanto già lo sia.
Fino ad allora, se mai
verrà quel giorno, pare ci si debba rassegnare al fatto che l’idea
di povertà non
riesca proprio a prendere forma in chi povero non è. Sarà che i
poveri si sono affezionati all’invisibilità cui li ha condannati
la nostra cattiva coscienza, sarà che il nostro egoismo è così
miope da non riuscire a comprendere che le diseguaglianze
intollerabili mettono a rischio anche quelle che ci torna comodo
tollerare, sta di fatto che la povertà sembra un problema che debba
preoccupare solo i poveri. Così, pensare a mettergli due soldi in
mano perché continuino a star buoni ci sembra un folle sperpero,
mentre in realtà dovrebbe essere considerato un investimento a
salvaguardia di quell’ordine pubblico che regge sulla tollerabilità
delle diseguaglianze.
Le ragioni che spingono a considerare inutile
questo investimento, se non addirittura dannoso, sono note. Quella
che pare avere maggior credito è che dare soldi in cambio di niente
favorirebbe il parassitismo. Vero, ma si è in grado di creare ex
novo, e in tempi brevi, 14.426.000 occasioni di lavoro? Ancora:
servirebbe un’enorme quantità di denaro, che giocoforza porterebbe
ad un appesantimento della già pesante pressione fiscale sui ceti
produttivi, sennò ad un ulteriore incremento del già abissale
debito pubblico, con reiterati sforamenti del deficit in manovra di
bilancio e quanto ne conseguirebbe in procedure di infrazione da
parte della Comunità europea, in perdita di fiducia da parte dei
mercati, in crollo del sistema bancario, ecc. Vero anche questo, ma
non sarebbe altrettanto catastrofico trovarsi all’improvviso
dinanzi a milioni di disperati non più disposti a tollerare la
propria condizione? Come lamentarsi del fatto che, rinunciando ancora
a darsi alla disperazione, cedano alle promesse di questo o quel
demagogo? Più di tutto: come ci si può stupire del fatto che chi
non ha neppure l’indispensabile
sia insensibile al fatto che dargli il necessario comporti un aumento
dei tassi di interesse bancario? Come ci si può scandalizzare del
fatto che il clima sociale sia pesante, gravido di invidia e di
rancore?
Un’ultima
domanda: ma davvero chi ci ha portato a tutto questo nutre
l’illusione
che la caduta del governo giallo-verde possa restituirci l’Italia
antecedente al 4 marzo? In attesa che prenda forma e acquisti consistenza un soggetto politico capace di farsi seriamente carico dei problemi fin qui sempre elusi, auguriamoci che grillini e leghisti restino saldi al governo: come hanno dimostrato le vicende che hanno portato all’approvazione di quest’ultima manovra, pur faticosamente sono stati in grado di tenere i poveri alla larga dal ristorante in cui cena Geremicca; fallissero prima che sia pronta una soluzione seria alla povertà, allora sì che avremmo da attenderci il peggio, un fascismo vero, contro il quale avremmo solo le «madamine», la Confindustria e la brigata partigiana twittarola.
Ma li avete visti? Ma certo che li avete visti, avete rinfacciato loro di essersi fatti scrivere la manovra dagli euroburocrati di Bruxelles. Che razza di fascisti sarebbero? È la loro dimensione estetica che vi inganna: sono democristiani, fanno politica economica con le toppe, tutto sommato in difesa del sistema. Fateveli piacere per qualche anno, al momento non c’è di meglio.
Mi si accuserà di guardare il dito anziché la luna: ma l'ISTAT è davvero inaffidabile, almeno fin dai tempi di Craxi.
RispondiEliminaChe poi, se uno guarda il dito che sposta la luna, forse fa bene a guardare il dito.
Ovviamente lei avrà ottimi argomenti, e tutti ben documentati, per dimostrare che l'Istat ci inganna sui materiali e/o sui metodi. Siamo a Natale, le risparmio l'onere di esporli per supportare un'accusa tanto grave: le credo sulla parola, che è quella di uomo d'onore, e le concedo che quei numeri vadano dimezzati, che in povertà assoluta versino solo in 2.529.000 e in povertà relativa solo in 4.684.000: c'è da preoccuparsi di meno?
EliminaE che la metà so estracomunitari ce lo mettiamo dotto'?
EliminaGigi
La Francia non è, innanzitutto, un paese che debba davvero temere la povertà: le persone a rischio di povertà ed esclusione sociale sono il 17,1% del totale, meno del 19% della Germania e del 28,9% dell’Italia. Il numero delle famiglie che raggiunge fine mese “con grande difficoltà” è pari al 4,1% del totale. Non è il 2,1% della Germania, ma è comunque uno dei migliori dati di Eurolandia. Passando alle persone che raggiungono invece fine mese “con difficoltà”, la quota aumenta al 14%, po’ al di sopra della media di Eurolandia, ma in flessione costante dal 16% del 2013.
EliminaFonte: Eurostat
imbroglioni anche quelli?
un reddito sociale per chi arranca è una buona cosa, se fatta con la testa e non con i piedi. questi qui la cosa la stanno facendo con le suole
@ Gigi
una soluzione con costi contenuti potrebbe essere quella delle camere a gas
"Inaffidabile" è certo un termine negativo, che però solo chi legge con un preconcetto ostile (ostile a me, non all'ISTAT) può rendere sinonimo di "imbroglione". Giusto comunque farmi notare che è un giudizio negativo. A un esame più meditato, andrebbe sostituito con “inadatto a servire da puntello per dimostrare una tesi qualsivoglia, a meno che non si faccia costante riferimento alle metodologie usate e alle fonti dei dati, e se ne verifichi l’inerenza alla tesi da dimostrare”. Un po’ lungo. E’ certo che nessun utilizzatore si piegherà mai a soddisfare le condizioni suesposte. Certo, parimenti, che all’ISTAT questo lo sanno benissimo. Nessuno potrà mai accusarli di avere costruito statistiche menzognere, e di non avere declinato metodologie e dati utilizzati. Come uno che produce una pistola: ti spiega come è fatta, e aggiunge che un uso distorto può essere nocivo al tuo prossimo. Se mai fosse citato per danni da una vittima (come in qualche film) la sua posizione sarebbe che non è la pistola l’assassina, ma l’uomo che l’ha maneggiata.
RispondiEliminaQuella qui sopra è una metafora. Mi astengo da esempi specifici per non tediare, ma basta chiedere.
"inaffidabile" per quale motivo? Per negligenza o per frode (a scopo politico o altro)? Se è frode allora significa imbrogliare. numeri e statistiche si prestano per essere manipolati o quantomeno interpretati. prima ancora di Trilussa e di Flaiano. il punto vero l'ha posto Malvino: e anche fossero solo la metà?
Elimina@Anonimo. Gentile anonimo, lei non mi sembra munito dell’armamentario utile a dare lezioni lessicali. E, se posso dire, neppure di statistica, a giudicare dal richiamo a Trilussa. Lei mi fa l’effetto di uno di quelli che girano per il vasto web con intenti punitivi per chi non la pensa come loro. Ma voglio supporre che non sia così. In questo caso, per quanto riguarda la statistica, posso consigliarle, in sostituzione del suo riferimento scientifico (il poeta Salustri), un altro classico: “Mentire con le statistiche” di Huff Darrel. Posseggo anche riferimenti bibliografici un po’ più noiosi, che, se lei si entusiasma, posso fornirle.
EliminaE veniamo all’ISTAT. Qui non so se lei mi seguirà, ma mi prometta di provarci. C’è una lunga storia di dubbia indipendenza, ma, per intenderci, non ai livelli greci (falsificazione). Le cito i due casi più appariscenti del secolo XXI. Primo caso: l’inflazione seguita all’introduzione dell’Euro. La perdita di potere d’acquisto nel periodo 2002-2007 fu percepita in modo drammatico dal consumatore, ma non trova adeguato riscontro nei dati ISTAT, che parlano di un 16% scarso (indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati). Errata percezione del popolo bue? Non lo so: il fatto è che, esattamente nello stesso periodo, è cambiato il “paniere”, che per molti anni era rimasto invariato. Il “paniere” non rappresenta, come è espressione gergale, il culo degli operai e degli impiegati: rappresenta, per l’ISTAT, la composizione tipica della spesa di questi signori. Bene: la trovata geniale fu, proprio dal 2002, di cambiare il paniere, con l’ottima motivazione che i consumi erano cambiati. Ciò diede luogo a una massiccia sostituzione di beni e servizi, che da allora continua: praticamente, nei primi anni, anno dopo anno, cambiava circa un terzo dei prodotti e servizi inseriti nel paniere. E lei sa, gentile Anonimo, qual è l’incremento di prezzo di un bene o servizio che l’anno scorso non era nel paniere? Bravo: zero. Questo zero entra nella media, e qui Trilussa potrebbe aiutarla, ma voglio essere chiaro: l’aumento dei prezzi passa, ad esempio, dal 4 al 2,67%. Ma se abbiamo avuto l’accortezza di inserire articoli il cui prezzo ha già toccato il culmine, tipo elettronica e telefonia, l’effetto permane anche negli anni a venire, mentre io virtuosamente mi do da fare per inserire nuovi prodotti nel paniere, e farne uscire un po’ di alimentari. E mi prendo anche le lodi: “questa burocrazia si adegua ai tempi, finalmente: toglie dal paniere le sigarette, e ci mette i telefonini”.
Il secondo caso che le avevo promesso riguarda il sig.Giovannini. Ma glielo racconto solo se le interessa, e il padrone di casa me ne dà il permesso.
Ma certo, come no. Poi, però, mi fa la cortesia di rispondere alla domanda che, giuro, non voleva essere una provocazione: quand'anche l'Istat sia inattendibile nella misura del 50%, 7 milioni e dispari di poveri tra relativi e assoluti sono o no un problema che merita una soluzione, e in tempi brevi?
EliminaRispondo: sì. Non solo sono d'accordo con lei, ma mi piace pure il post. Scusi il ritardo: mi aveva distratto l'Anonimo, e poi lei sa che non vado in giro per il web a mettere like.
EliminaCiò posto, parliamo di Giovannini. Nel 2011, quando era al timone dell’ISTAT, gli venne rivolta dal governo Monti (o forse la richiesta era del moribondo governo Berlusconi, mi si risparmi la ricerca) di esperire una apparentemente semplice indagine: una comparazione fra il trattamento economico complessivo dei parlamentari di vari paesi dell’Unione Europea.
Pareva facile. Ma, trascorsi sei mesi di duro lavoro, il sig.Giovannini gettò la spugna, dicendo che l’Istituto non era capace di fare il confronto. E perché non era capace? Perché c’erano troppe disparità normative fra un paese e l’altro. Naturalmente qualcuno obiettò che era proprio per via di questa disparità che ci si era rivolti al sig.Giovannini, altrimenti la ricerca sarebbe stata alla portata degli studenti del primo anno di ragioneria. Non ci furono, però, obiezioni della gente che conta, anzi: Giovannini, una volta lasciato l’istituto, venne premiato con l’incarico di Ministro del Lavoro (sì, proprio del Lavoro, non un altro dicastero).
Ciò dimostra che la gratitudine esiste, a questo mondo. Non dimostra, però, che l’Istituto sia insensibile alle pressioni che vengono dall’alto.
@ quello munito dell’armamentario lessicale
Eliminalei ha ragione, ho sbagliato a darle retta
"È la loro dimensione estetica che vi inganna: sono democristiani, fanno politica economica con le toppe, tutto sommato in difesa del sistema.
RispondiEliminaFateveli piacere per qualche anno, al momento non c’è di meglio. "
Oh, finalmente abbiamo fatto un passo avanti: sono cialtroni, esattamente come tutti gli altri, presenti e passati ( pure futuri, io cinque euro li scommetto).
A definitiva comprova: si osservi lo sguardo di Bonafede e lo si paragoni a quello di Orlando, indi si rifletta sul fatto che il primo è addirittura laureato.
Facciamocene dunque una ragione, mentre lei continua a scrivere con una costanza che rappresenta l'unica lieta notizia di quest'epoca.
Uh, che sbadato: assieme alla ricomparsa di Annamaria, è ovvio.
Stia bene.
Ghino La Ganga
Boh dotto' non sarò ricco come lo scapigliato Geremicca (a proposito, fratello?), anzi secondo l'ISTAT io faccio parte di quei milioni (fate le stime che più vi aggradano) che sarebbero in povertà totale;
RispondiEliminanon vi tedio come, mangio bene e tanto, preferisco a casa perché cucino meglio io... ma vado in ristorante e bevo buon vino, in pratica posso sprecare... Mi arrangio come tanti (senza rubare o evadere solo perché sono educato e codardo) in questo posto che non è meridione ma centro del mediterraneo.
Senza offesa non sono convinto che il problema fondamentale siano i soldi o il lavoro, cioè lo sono ma da altri punti di vista e continuo a pensare che l'educazione sia la vera chiave per qualsiasi politica credibile e non fatta con le "suole";
per mia misera esperienza lavori in nero ne ho sempre trovato, anche quando ero un po'più disperato (la vera inculata sarà quando ci mancheranno le forze e la salute, disoccupazione giovanile stocazzo...).
Insomma in Italia il lavoro nero, il santarrangiati, riguarda me come molti di quei milioni che si indignano e solidarizzano con DiMaio e Salvini, di quei "poveri" stimati da sociologi e politicanti.
Quindi tocca dare ragione al padrone di casa (anche se non credo che in questi termini me la lasci passare), noi siamo molto peggio dei nostri governanti e dei nostri padroni.
P.S.: a scanso di equivoci io sono assolutamente d'accordo che lo stato (a mio parere le istituzioni ideali per gestire queste politiche dovrebbero essere i comuni) si prenda carico di chi realmente ha bisogno con reddito, diritto alla casa, allo studio e alla salute, senza contropartite o moralismi di qualsiasi natura.
Auguri Gigi.