Se,
con Umberto Eco, ammettiamo l’esistenza
di un «fascismo eterno», di cui le forme passate, presenti e future
di fascismo sarebbero solo precipitati storici, siamo sollevati dal
dovere di capire come questo o quel fascismo abbia modo di
realizzarsi, e perché: «un
modo di pensare e di sentire, una serie di abitudini culturali, una
nebulosa di istinti oscuri e di insondabili pulsioni», che è quanto
fa «eterno» il fascismo, avrebbero bisogno solo di condizioni
storiche favorevoli per darsi ipostasi in una dimensione politica.
Con ciò dovremmo concedere che «un modo di pensare e di sentire»
sia possibile al di fuori del contesto sociale che lo produce e gli
dà ragion d’essere,
che le «abitudini culturali» precedano la costruzione della società
che le fa proprie, che il fascismo sia in qualche modo innato perché
inscritto nella costellazione di certi «istinti» e di certe
«pulsioni»
che sono antecedenti al loro precipitare nella storia, e che la
storia può dunque limitarsi a sopire, quando è in grado di farlo,
sennò a farsene accendere, e bruciare.
Esagero col dire che questo
«fascismo eterno» configura una vera e propria teodicea? Ne trovo
una conferma nel fatto che spesso gli si attribuisce il carattere di
«male assoluto», dove è evidente che «assoluto» non rimanda solo
alla pienezza del «male» , ma anche al fatto d’esserlo in sé e per sé, come realtà incondizionata da qualsivoglia
altro fattore. In buona sostanza, col «fascismo eterno» di Umberto
Eco, siamo dinanzi a una concezione idealistica del fascismo, e la
cosa divertente – si fa per dire – è che, cambiandone il segno
valoriale, essa è in tutto coincidente a quella che del fascismo ci
è stata offerta da Giovanni Gentile. Cambiandone il segno valoriale,
dico, perché solo un giudizio di valore fa la differenza tra la
«lista di caratteristiche tipiche» che il primo ascrive al
«fascismo eterno» (ne contempla 14) e le 13 «idee fondamentali»
di cui il secondo fa elenco per la pagina dell’Enciclopedia
Italiana dedicata a «La dottrina del fascismo». Per entrambi,
infatti, il fascismo è un’entità
metastorica: in Gentile, «ha
una forma correlativa alle contingenze di luogo e di tempo, ma ha
insieme un contenuto ideale che la eleva a formula di verità nella
storia superiore del pensiero», mentre in Eco arriva a fregiarsi del
prefisso «Ur-» («Ur-Fascismo») per darsi connotato di entità
ancestrale.
Già in questo io intravvedo un enorme pericolo per chi, dando un
giudizio negativo razionalmente argomentato sull’esperienza
del Ventennio fascista, si ponga come scopo quello di dare il proprio
contributo a che quell’esperienza,
seppur in altre forme, non si rinnovi. Se, infatti, si attribuisce al
fascismo un che di metastorico (psichico o biologico che dir si
voglia, perché a questo in fin dei conti si riduce la ragione del
suo poter essere «eterno»), ogni antifascismo si dichiara perdente
in partenza, perché tutto ciò che è dato come «ab-solutus» è
per definizione destinato a non aver «solutio», se non momentanea,
o fallace.
Se ne ha riprova nel fatto che non si ha traccia di un
«fascismo eterno» nella riflessione degli uomini che si opposero al
regime del ventennio fascista: per essi il fascismo non aveva alcuna
dimensione metastorica, anzi era loro costante cura la denuncia della
mera retorica in tutto ciò che gliene concedeva una. È solo dopo la
caduta del regime fascista che comincia a farsi strada l’idea
di un fascismo come «male assoluto» che si incarna nell’umano,
e questo avviene per costruire una mitologia dell’antifascismo
in grado di assicurare un saldo pilastro etico alla neonata
repubblica. Dopo vent’anni
di dittatura, infatti, era
comprensibile che Resistenza e Liberazione si dessero un che di
mistico perché una libertà di cui si era smarrito il senso
acquistasse il valore che ha il premio posto in palio tra Bene e
Male: perché fosse «assoluto» l’uno, era necessario lo fosse
anche l’altro.
Premura comprensibile, ma non priva di rischio, come d’altronde
s’è
reso evidente, dal 1945 ad oggi, ogni qual volta si è evocato il
«pericolo fascista» non già come il configurarsi di una condizione
di crisi in grado di trovare una soluzione in questo o in quel tipo
di fascismo, ma come bestia uscita dalla gabbia mal sorvegliata, come
ritorno del rimosso, come rigurgito dell’irrazionale
che sempiternamente l’uomo
cova in seno. Suppongo non sia difficile capire quale vantaggio si
conceda in tal modo alla soluzione di tipo fascista che viene offerta
come risposta a una condizione di crisi.
È un errore che si sta
facendo anche in questi ultimi mesi, e questa voleva essere solo la
premessa all’analisi
della debolezza intrinseca alla posizione di chi si oppone alla «cosa
giallo-verde» come a cosa (neo-)fascista.
[segue]
Per Eco è un tratto della personalità per cui ti può capitare di essere fascista in un qualsiasi momento della giornata o verso le zanzare quando le uccidi senza processo.
RispondiEliminaSì, ho letto lo scritto di Eco tratto - se ben ricordo - da una sua conferenza, e l'ho trovato anche carino.
RispondiEliminaMi permetto tuttavia di osservare che considerare eterno il fascismo, e dunque considerare eterno pure l'antifascismo, non tiene conto di un fatto: a prescindere da cosa mai abbia voluto significare il fascismo, ed a prescindere da cosa abbia mai voluto significare l'antifascismo, entrambi mostrarono ( e mostrano) una totale cialtroneria nel loro esprimersi ed organizzarsi.
Quella totale cialtroneria emerse con chiarezza, ed emerge costantemente nel nostro paese, sempre e comunque, di qualsivoglia posizione politica o ideologica si tratti ( evito poi di ricordare la religione, perché è perfino superfluo).
A mio avviso non esiste dunque un pericolo fascista, e di conseguenza non comprendo l'affannarsi del sedicente movimento antifascista, poiché considero gli esponenti dell'una e dell'altra fazione dei meri e banali cialtroni, che presto o tardi non possono che rivelarsi come tali.
Ritengo dunque il governo giallo-verde null'altro che l'ennesima variante del tema di fondo: la cialtroneria.
Ossia la vera, unica ed acclarata specialità nazionale italiana.
Altro che la pasta.
Stia bene, sempre utile passar di qua.
Ghino La Ganga