Nel
corso dell’evoluzione abbiamo perso la consuetudine di spulciarci a
vicenda, pratica di affettuosa cura che presso gli altri primati,
soprattutto scimpanzé e bonobo, rinsalda le relazioni tra i membri
del gruppo per la
forte carica empatica
che la connota, al punto da poterle attribuire funzione di «collante
sociale», come ormai unanime parere fra gli etologi. Tutto il
contrario di quanto accade tra gli umani, dove «fare le pulci a
qualcuno» è percepito come il «cercar[n]e accanitamente i difetti
e gli errori [...] con spirito animosamente pignolo e malevolo»
(Gabrielli – Hoepli, 2018), e sì che nessuno è immune da difetti,
tutti incorriamo in errori, e gli uni e gli altri – si rifletta, la
metafora non suonerà a iperbole – ci succhiano sangue più degli
avidi sifonatteri, per giunta senza neanche darci modo di
accorgercene, perché dei molesti insettacci almeno si può avvertire
la presenza per il prurito causato dal loro morso, particolarmente
irritante. Non così dei nostri inevitabili sbagli, delle immancabili
magagne che affliggono anche il più amabile carattere: a irritarci è
che qualcuno ci faccia le pulci, mentre troviamo adorabile chi ci
carezza il pelo senza frugarci dentro. Scimmie che hanno smarrito il
senso della gratitudine, ecco che siamo.
Ogni
tanto smarriamo pure il filo del ragionamento, perché qui, sviato
dalle implicazioni d’ordine
morale di cui si è fatta greve la premessa, non rammento più dove
volessi andare a parare. Volevo ringraziare una tantum quanti hanno
fatto le pulci a queste pagine da quindici anni a oggi? Possibile.
Nel caso, un sentito grazie a tutti. Se un poco mi conosco, però, è difficile.
pulce: bonoBo, non bonoMo :-P
RispondiEliminaNe ha trovato solo una delle tre.
RispondiEliminaAuguri.
RispondiElimina(Emanuele)