martedì 16 luglio 2019

Tagliare


Si parla di carta geografica, quando la rappresentazione grafica del territorio preso in oggetto è in una scala uguale o inferiore a 1:1.000.000, rammentando che la grandezza di una scala è inversamente proporzionale al suo denominatore. Al diminuire del denominatore, quando dunque la rappresentazione diventa più particolareggiata e la scala è tra 1:1.000.ooo e 1:100.000, si parla di carta corografica, mentre con una scala tra 1:100.000 e 1:10.000 siamo alla carta topografica. Di mappa, sebbene il termine venga spesso impiegato per rappresentazioni in scale assai minori, come è nel caso di quella lunare, sarebbe proprio parlare solo per ordini da 1:2.000 in su. Sarà per questo che lacribia con cui Borges confezionava i suoi falsi letterari ci dà mapa, anziché carta, per quella rappresentazione dellImpero in scala 1:1, che dunque «tenía el tamaño del Imperio y coincidía puntualmente con él» (Del rigor en la ciencia)?
La questione meriterebbe un certo interesse, se questo fosse un blog serio. Si dovrebbe partire dal considerare la terminologia in uso nelle opere d’interesse cartografico a disposizione di Borges intorno alla metà degli anni Trenta del secolo scorso, per verificare se la distinzione tra carta e mappa in base alla grandezza della scala fosse già in uso allora come lo è oggi. Non guasterebbe a tal proposito una capatina alla Biblioteca Nazionale di Buenos Aires, ma anche alla «Miguel Cané», perché è vero che Borges vi prese servizio solo nel 1938, ma Del rigor en la ciencia non compare nella prima edizione della Historia universal de la infamia, che è del 1935, per entrarci solo nella seconda edizione, che è del 1940. Se questo – dicevamo – fosse un blog serio. Ma non lo è. Il che mi risparmia il volo in Argentina, ma mi costringe in ogni caso a dare spiegazione del perché un post che ha per titolo Tagliare attacchi dando ragguagli sul concetto di scala nella rappresentazione grafica di un territorio.
Do un aiutino? Pensate per un attimo alla comune radice di rappresentazione e di rappresentanza: in entrambi i casi si tratta della riproduzione di qualcosa che è altrove, ma che si fa in modo abbia re-ad-praesentia qui, dove il prae- è quel dinanzi che gli dà più o meno piena corrispondenza al reale. Ci siete? Vabbè, pretendo troppo, meglio porvi la faccenda in altro modo.
Posto che la democrazia rappresentativa fa corrispondere un eletto a un tot di elettori (1:1.000, 1:10.000, 1:100.000, ecc.), non cè contraddizione in termini tra il voler ridurre il numero dei parlamentari e poi dirsi paladini della democrazia diretta, che invece ha lambizione di cavare la volonté générale da una riproduzione dellelettorato in scala 1:1? Se riduci il numero di deputati e senatori, ogni parlamentare rappresenterà un numero maggiore di elettori, con un ulteriore allontanamento dalla democrazia diretta.
Mi si dirà che il M5S è per il vincolo di mandato, e dunque... E dunque un cazzo, perché la riforma costituzionale che intende portare a 400 il numero dei deputati e a 100 quello dei senatori modifica gli artt. 56 e 57, ma non sfiora neppure lart. 67, che dunque continuerà a recitare: «Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato».
A mio modesto avviso, è questa lobiezione più sensata che si può rivolgere ai grillini, e parlo da persona che crede nella democrazia rappresentativa, e che si caga letteralmente addosso ogni volta che sente parlare di democrazia diretta. Ovviamente non ignoro le ragioni di chi è contrario alla riforma costituzionale, ma, pur avendo letto tanto sulla questione, ancora non mi è chiaro come il taglio del numero di deputati e senatori apporterebbe una deminutio alla democrazia, se non nel modo in cui la apporta una qualsiasi legge elettorale che abbia una qualsivoglia, e pur bassissima, soglia di sbarramento. Anche senza quella, peraltro, ci saranno sempre elettori che, per lesiguità del numero che esprime la loro scelta, rimarranno senza rappresentante, salvo portare i seggi parlamentari a un numero tanto alto da consentire di conquistarne uno anche a chi abbia avuto solo – faccio per dire – 100 voti: sennò, perché 100 elettori – ma a questo punto anche 50 o 25 – dovrebbero rimanere senza rappresentante?
In mancanza di una scala 1:1 – e dunque in ogni momento di democrazia rappresentativa – ci saranno sempre elettori che non saranno stati in grado di esprimere un proprio rappresentante, e non si potrà certo chiudere un occhio sul fatto che saranno pochi, a voler fare della rappresentatività un principio irrinunciabile.
Anticipo lobiezione di chi mi dirà che, portando a 400 il numero dei deputati e a 100 quello dei senatori, sui 51 milioni e dispari di aventi diritto al voto aumenteranno quelli che non avranno un rappresentante: sorvolando sulla crescente percentuale di astenuti, che non sembra destare analoga preoccupazione, direi che tutto sta nel tipo di legge elettorale che si intende adottare e nel modo di definire i collegi, salvo il considerare non democratici i paesi in cui il rapporto eletti/elettori è più o meno simile a quello che produrrebbe la riforma costituzionale, che comunque dovrà passare al vaglio referendario, e dunque potrà essere bocciata nel caso sia giudicata «un rischio per la democrazia» (Huffington Post) oppure, consegnando il dubbio allinquietudine, qualcosa «che può portarci verso terre ancora incognite» (Il Mattino). E tuttavia, fin dora, è giusto porgere lorecchio a questi allarmi.
Ridurre il numero dei parlamentari è «un rischio per la democrazia» per Gregorio De Falco, quello del «sali a bordo, cazzo!». Tutti condivisibili, gli argomenti coi quali illustra la natura demagogica delliniziativa del M5S, ma sul perché la democrazia corra dei rischi si fa fatica a seguirlo. «Quei numeri sono fissati in Costituzione secondo criteri razionali, allo scopo di ottenere il miglior rapporto tra eletti ed elettori ed al fine di dare sostanza reale al concetto di rappresentanza politica». Quali «criteri razionali», che non siano già saltati dal 1948 a oggi. È cambiato il numero degli aventi diritto al voto, si è uniformata la durata del mandato alla Camera e al Senato, sono completamente cambiate (e un’infinità di volte) legge elettorale e composizione dei collegi.
Ma, poi, cosa renderebbe poco democratico il rapporto di un eletto ogni 114.000 abitanti, come accade in Germania, rispetto al rapporto di un eletto ogni 63.000, come accade in Italia? (Evitiamo di parlare dei Stati Uniti dove 435 membri del la Camera dei rappresentanti e 100 membri del Senato rappresentano 330 milioni di abitanti per non incorrere nellimmancabile «ma è diverso!». Certo, ogni cosa è diversa da ogni altra cosa, come daltronde lo è lItalia di oggi rispetto a quella di 70 anni fa: e allora, di grazia, quali «criteri razionali»?)
Peggio ancora col Babau «che può portarci verso terre ancora incognite»: Massimo Adinolfi, ormai specializzato in argomentazioni a lingua di Menelicche, nemmeno accenna a cosa ci attenderebbe, limitandosi a lamentare che attorno allultima riforma costituzionale, quella che il 4 dicembre 2016 fu ricacciata in gola a Renzi, cera più ansia. Comè che allora si temeva una deriva autoritaria o oggi no?
«Tre anni fa, tutti o quasi avevamo imparato a usare la fatale formula: “il combinato disposto”. Una roba che prima maneggiavano solo i giuristi è diventata, in quel frangente, patrimonio di tutti gli italiani. A tavola capitava che si dicesse: il combinato disposto di primo e secondo piatto mi ha portato sino alla sazietà. Da non credere. Ma era una faccenda seria: era la riforma costituzionale unita alla legge elettorale ciò di cui si paventavano conseguenze nefaste sugli equilibri tra i poteri. Caso vuole però che la legge elettorale non sia nel frattempo mutata, e che dunque ci vorrebbe qualcuno che spiegasse se il combinato disposto, per l’appunto, di Rosatellum e Parlamento snello non comporti effettivi distorsivi sulla rappresentanza parlamentare. Invece: nessuna mobilitazione. Eppure non è uno scherzo: se tu riduci il numero dei parlamentari innalzi indirettamente le soglie di sbarramento a discapito delle formazioni minori».
Qui davvero si è in difficoltà: sta a prenderci per il culo, lAdinolfi, per saggiare quanto siamo atarassici, o gli è saltato il salvavita nella ghiandola pineale? Quello del combinato disposto non era il Rosatellum, ma lItalicum: merda della stessa infima qualità, e tuttavia con differenze sostanziali, andasse a ripassarsele tra un numero da tabarin su Il Foglio e una serata della tournée «Adotta un filosofo». Riesce a immaginarselo, lAdinolfi, un combinato disposto di Italicum scritto da DAlimonte e di Parlamento riscritto dalla Boschi, oggi, con una Lega al di sopra del fatale 37%? Altro che star lì in posa da chiachiello sulle pagine de Il Mattino, sarebbe già in «villeggiatura» a Ventotene, col sole a picchiar duro su quella pettinatura a noce di cocco.
Notevole, però, quel «combinato disposto di primo e secondo piatto», che con due pennellate fa il ritratto al cittadino qualunque che si azzarda a mettere il naso in faccende troppo più grandi di lui, con tragicomico effetto. Dopo Massimo DAlema e Andrea Orlando, Adinolfi è pronto ad essere adottato da Myrta Merlino. Con migliori fortune, cordialmente gli auguriamo.


8 commenti:

  1. scuss ma non è che per cas.. con democraz dirett fann riferimend al referendu propositive comme in svizzera? "dirett" nel senz che il cittadin propone direttamend, anche attraverz moderni sistem tecnologigi comm internet (a cui io non cred tanto, pecchè son un tante tradizionalista, quanto bast digiam, e uso poco gogol e la tavoletta)

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    1. Dicono che il Parlamento finirà per diventare superfluo, veda un po' lei.

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    2. già già e quest in oppugnament anche con la difes della Costituzione! dicon i difensori che si son battuti per i referenda e contr la riform della costituz di Renzi

      però scuss in che senz finirà con una sensaz di futuristico? è già messo in condizion di superfluità reale aventieri, ed eqqueqquà dove siam finiti.

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    3. a mio pare è combresibil slanci d'ottimisme tecnologic ma nemmen esist macchine volanti del 2019 .. addò vogliano ire?

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  2. Credo che le differenza di significato fra mappa e carta non siano mantenute in spagnolo. “Carta”, in castigliano, ha il significato principale di lettera, nel senso di missiva. Esiste un significato secondario di carta geografica, che mi era ignoto ma effettivamente ho trovato. Tuttavia, non credo che Borges si ponesse il problema: in spagnolo si dice correntemente mapa, indipendentemente dalla scala.

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    1. E senza nemmeno dover andare a Buenos Aires, complimenti.

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    2. Non ci sono andato apposta per questo, ma ci ho passato una parte significativa della mia esistenza.

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