martedì 7 aprile 2020

«A fronte della massiccia, crescente diffusione di disinformazione e fake news relative al Covid-19...»




Proprio ieri m’era venuto l’uzzolo di fare un colpo di telefono al buon Mantellini, uno dei sedici chiamati a far parte del Comité de salut public, al quale Andrea Martella, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’Editoria, aveva dato vita con apposito decreto, lo scorso 29 gennaio, col mandato di «indagare sull’odio in rete» e di «studiare soluzioni per contrastarlo».
Vi pare che il signor Sottosegretario potess’essere all’oscuro del fatto che per la minaccia, l’insulto, la diffamazione e tutte altre forme in cui l’odio si esprime ci sono già il codice penale e la magistratura? Impossibile. Altrettanto impossibile che, non essendone all’oscuro, nelle sue intenzioni ci fosse l’avocare al potere esecutivo quello giudiziario. Era evidente, dunque, che nel mirino ci fosse il mero sentimento d’odio, e contrastare un sentimento, capirete, non è roba da poco.
Non se n’era saputo più nulla, perciò stavo per prendere il telefono e chiedere: «Ohi, Mante, siete operativi? State indagando? A che punto siete? Avete pronta la fattispecie penale in cui ingabbiare il disdicevole sentimento una volta che l’avrete stanato?». Poi ho pensato che ci avrei rimediato la figura di chi in Blade runner importunasse Rick Deckard al sushi-bar chiedendogli: «Ehi, Rick, come va ’sta caccia ai replicanti? Tosti, ’sti bastardi di Nexus-6, eh? Quanti ne avete “ritirati” finora?», e allora ho lasciato perdere.

Neanche un quarto d’ora ed ecco che sotto gli occhi mi passa la notizia che al signor Sottosegretario è venuta un’altra bell’idea: «a fronte della massiccia, crescente diffusione di disinformazione e fake news relative all’emergenza Covid-19», stavolta ha dato vita a una «task force» che fra i suoi compiti avrà l’«analisi delle modalità e delle fonti che generano e diffondono le fake news», il «coinvolgimento di cittadini ed utenti social per rafforzare la rete di individuazione» e il «lavoro di sensibilizzazione attraverso campagne di comunicazione».
«Ottimo!», mi son detto, e subito m’ha preso una voglia matta di «coinvolgimento» nella «rete di individuazione», cosa ben diversa – capirete – dalla delazione di chi urla dal balcone alla gazzella dei Carabinieri: «Lì, dietro l’angolo, correte! C’è uno che passeggia senza cane e senza busta della spesa!». E dunque ero pronto a dare il mio contributo alla lotta contro la disinformazione.
«A pochi giorni dallo scoppio dell’epidemia – avrei voluto segnalare – il Burioni diceva da Fazio: In Italia il virus non c’è, ha più senso preoccuparsi di meteoriti”. Chi aveva febbre e tosse avrà pensato fosse solo influenza e sarà andato tranquillamente ad ungere tutto il pronto soccorso più vicino. E gli organizzatori di Atalanta-Valencia? “Ok, via libera, Burioni dice che non c’è pericolo! Ma stiamo attenti ai meteoriti, ché possono far buche nel manto erboso e falsare la traiettoria dei rasoterra!”. E così sarà andata pure alla Baggina. Il nonnino starnutiva? Non poteva essere Covid-19, il Burioni l’aveva assicurato la sera prima: tutti a dargli una pacca sulla spalla e a dirgli: “Salute!”...»
Perciò mi ero messo in cerca di un e-address, di un numero verde, insomma di un recapito cui far giungere il mio contributo. Niente, non lho trovato. 
Invece mi sono imbattuto in un articolo a firma di Anna Lombroso su Il Simplicissimus, di cui qui riporto la gran parte:

«Verrebbe da sorridere per l’involontario effetto paradosso della ricerca della verità da parte di chi possiede tribune e amplificatori, seleziona le fonti, attribuisce autorevolezza o la demolisce allo scopo di autorizzare disposizioni, accreditare misure, imporre comandi, persuadere che regole inopportune e illegittime siano giustificate dall’intento di agire nell’interesse popolare, e che con tutta evidenza vuole tacitare qualsiasi forma di critica e dissenso in nome dello stato di necessità.
Verrebbe da sorridere per la composizione della task force, fatta tutta di appartenenti alle cerchie riconosciute, accademici della comunicazione e giornalisti, finalmente abilitati a dare addosso, a zittire, a intimorire chi non appartiene a ordini, chi non gode delle difese immunitarie delle caste e di quelle legali delle corporazioni, con tanto di coperture assicurative in caso di sfacciato uso della menzogna.
Verrebbe da sorridere che l’idea sia venuta in seno a un Esecutivo che da due mesi somministra numeri contradditori, manipola dati, adultera statistiche, impartisce direttive impraticabili e confuse, dice e smentisce, chiama a testimoniare la scienza e la sconfessa a intermittenza, riducendo gli esperti al ruolo di opinionisti ben visti se corroborano la scelta apocalittica e oggetto di pubblico anatema se non la certificano.
Verrebbe da sorridere perché in prima linea nella guerra a menzogne e distorsioni ci sono proprio gli addetti ai lavori dei giornaloni che da due mesi contribuiscono a un’operazione di “rappresentazione” spettacolare dell’epidemia in termini sensazionalistici, tra sussurri e grida in sostituzione dell’informazione, con le supposizioni al posto dei dati, dell’acquiescenza a icone improvvisate mai sottoposte a contraddittorio, favorendo l’irruzione dell’immaginario all’interno della realtà, promuovendo una percezione avvelenata dalla paura, condizionata dall’imposizione di quello che vogliono mostrarci le telecamere, dall’allarme generato dai titoli in sovraimpressione, dal confronto rissoso dei pareri discordanti delle “convinzioni” dei tecnici, dalle cifre lanciate come armi a scopo intimidatorio.
Verrebbe da sorridere perché non cambia mai la natura delle censure, che comprende quella finalità “pedagogica” intesa a tutelare una massa immatura, a proteggere un volgo ignorante, a salvaguardare una plebe puerile.
Invece c’è poco da stare allegri, perché si ricompone quel disegno di infantilizzazione del Paese, che perfino per me è un punto dolente, se ogni giorno qualcuno mi chiede di non “scrivere difficile”, di non usare termini che superino quel centinaio di parole in uso nelle scuole, nei social, nella comunicazione istituzionale , nei giornali, di “abbassare” il livello oltre che i toni per uniformarmi ai requisiti che assicurano consenso.
Il processo in Italia ha avuto molti promotori, le televisioni di Berlusconi, certo, ma pure il gergo moderno e dinamico dei “progressisti” prodotto e subito consumato nei Think Tank, la decodificazione aberrante del linguaggio dell’economia e comunque delle scienze inesatte, impiegata per prendere per i fondelli e intimorire un popolino di bamboccioni indolenti, il lessico e la fraseologia della “politica”, volontariamente o involontariamente inadeguata a garantire partecipazione e riconoscimento, soprattutto perché al livello mediocremente elementare della comunicazione fa da controcanto l’esuberanza prolissa e barocca della produzione burocratica e giuridica.
Così mettere il bavaglio oltre che la mascherina a voci fuori dal coro della retorica del terrore, dell’amor patrio, della compassionevole beneficenza, prevede certamente la somministrazione a lungo termine delle favole adatte a un popolo bambino. E non occorre tirare il ballo Propp per sapere che le fiabe seguono schemi precisi e paradigmatici, quelli dell’obbedienza agli ordini e alle regole, la cui violazione comporta rischi mortali, perdersi nei boschi, essere mangiati dai lupi, ingabbiati da streghe che mettono all’ingrasso per arrostire il trasgressore, quelli delle prove da superare per garantirsi la salvezza.
Non ci resta che sperare che qualche Franti superi la stigmatizzazione e qualche Pinocchio si slavi dall’anatema di chi una volta arrivato in cima e per paura di ruzzolare, vuole la riconferma quotidiana del suo status superiore grazie al disprezzo per la “gente”, dimostrato anche con l’ostensione di una funzione educativa e paterna.
Non a caso la morale dell’apologo regressivo che ci viene raccontato ogni giorno è proprio quella di Pollicino, di Cappuccetto Rosso, quella della sottomissione docile e deferente, pena oscuri e mortali esiti, fino all’attenersi a prescrizioni che sono le stesse che hanno accompagnato la nostra infanzia: lavarsi le mani, non frequentare cattive compagnie, voler bene a papà e mamma (ma da lontano), apprezzare muratorini, carbonai e altri eroi anonimi che lavorano per noi, esaltare l’identità patria, voler bene alla bandiera e cantare l’inno nazionale, purché dalla finestra».

E niente, che vi devo dire, m’è passata la voglia di collaborare.

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