Uno dei post più letti su queste pagine (28.661 accessi, quasi tutti da Google, col titolo come chiave di ricerca) attacca a questo modo: «Cambiare idea è legittimo, addirittura salutare, perché rivela duttilità mentale, capacità di elaborazione autocritica e rifiuto della coerenza come rappresentazione di un Io infallibile, perciò immutabile. A un patto, però. Che cambiare idea non sia motivato da un tornaconto e che si sia in grado di spiegare in modo adeguato cosa ce l’abbia fatta cambiare, meglio ancora chiarendo il come, cioè in che modo gli argomenti che sostenevano la vecchia sono caduti sotto il peso di quelli che sostengono la nuova» (Cambiare idea, 3 settembre 2013).
Bene, nessun cambio di idea dei tanti, dei troppi, dei continui cambi di idea che da tempo ci offre la cronaca politica italiana rispetta questi requisiti: tutti i suoi protagonisti cambiano idea senza sentire alcun bisogno del dar conto del perché l’abbiano cambiata, tanto meno del come siano arrivati a cambiarla, e spesso si tratta di idee sulle quali si erano giocati il nome, la faccia, la storia personale; non di rado, poi, questo accade con un’improntitudine che impone a chi abbia un minimo di onestà intellettuale di vergognarsi in loro vece, soprattutto, come spesso accade, quando al rilievo del patente aver cambiato idea oppongono un netto, talvolta addirittura risentito, diniego; e qui non parlo del negare ciò che si è detto appena il giorno prima, ma del buttare con incredibile disinvoltura nel cesso, oggi, quello che dichiaravano irrinunciabile, ieri.
È dinanzi a queste oscene prove di miseria umana che io, stasera, volgo il mio pensiero a Maurizio Paolo Ferrari, brigatista irriducibile, l’unico forse a non essersi mai pentito e mai dissociato, trent’anni di dura galera senza sconti di pena, e a Vincenzo Vinciguerra, ordinovista, autore della strage di Peteano, l’unica strage italiana di cui sappiamo chi sia l’autore per sua piena, fiera, responsabile confessione, un ergastolo affrontato con una dignità senza pari; e a loro porgo il mio profondo, sincero, ossequioso rispetto. Ecco, l’ho detto.
Già, ma allora potremmo rendere omaggio a chiunque abbia dimostrato perseveranza nel perseguire l'orrore: al dottor Mengele che mai si arrese, ad esempio, per non dire d'altri per rispetto delle vittime, milioni. E a me di inchinarmi per un motivo qualsiasi davanti a figuri di questo tipo ("hanno fatto anche cose buone") non mi passa per la capa. Però a parte l'ultimo capoverso, tutto il resto è - ovviamente - condivisibile.
RispondiEliminaL'altro giorno ero seduto al bar del paese e leggevo con inspiegabile attenzione gli avvincenti sviluppi delle dichiarazioni dei politici, quando arriva una banda di ragazzini urlanti con un pallone che sfortunatamente centra il mio giornale e il cappuccino. E allora ho pensato con ammirazione e gratitudine a Erode il Grande, re di Giudea. Ecco, l'ho detto.
RispondiEliminacome possiamo spiegare il concetto e l'uso retorico del "paradosso"? eh, temo sia tempo perso.
RispondiEliminamettere la testa a posto senza un minimo di tornaconto fa troppo intellettuale
RispondiEliminaSiamo in Italia il paese del franza o spagna...
RispondiEliminaPolitici che cambiano idea? Forse che cambiano slogan, o favoletta... idee, dai politici, chi le ha mai sentite?
RispondiEliminaMaurizio Paolo Ferrari e Vincenzo Vinciguerra non hanno mai conosciuto Zygmunt Bauman.
RispondiEliminaEcco, l'ho detto.
Stia bene.
Ghino La Ganga
Uccidere non è un'idea. Mai. Non pentirsene o continuare a uccidere non sono coerenza con un'idea.
RispondiElimina