Al
mio lettore assicuravo che mi sarei precipitato al più presto in libreria per
procurami Vita intellettuale e affettiva
di Benedetto Croce di Giancristiano Desiderio (liberilibri, 2014), allo
scopo di rettificare, nel caso, la pessima impressione che ne avevo ricavato
dall’ampia illustrazione datane dall’autore nel corso della presentazione
andata in onda sulle frequenze di Radio Radicale, lo scorso 29 aprile, e che da
subito non rinunciavo a rappresentare su queste pagine in forma di perplessità.
Ogni promessa è debito e qui oggi ne parlo dopo averlo letto.
Peggio di quanto
pensassi, devo dire. Si tratta di un’umidiccia agiografia scritta da uno che
non fa alcun mistero di essere assai devoto alla figura di Benedetto Croce,
devoto al punto di arrivare a definirlo «il
Socrate italiano» (pag. 20). Il fatto è che tanta devozione non riesce a
tappare nemmeno un decimo dei buchi dai quali, ormai da decenni, il mito di
Benedetto Croce fa acqua, e più di un colabrodo. Il povero Giancristiano
Desiderio si affanna a rammentarci che Antonio Gramsci (pag. 18), Norberto
Bobbio (pag. 18), Rudolf Borchardt (pag. 19) e Karl Popper (pag. 27) concessero
a Benedetto Croce qualche cortesia di circostanza, fa i salti mortali nel
tentativo di convincerci che la fumosità e l’astrusità del suo sistema
filosofico non sia stata penetrata ancora a dovere per trovarci dentro tutto il
ben di Dio che cela al nostro occhio pigro (pagg. 35-38, pagg. 44-47) e si fa
il proverbiale culo quadrato per rendercelo simpatico (pagg. 21-24, pagg.
31-35, pagg. 38-41), il fatto è che, anche liquidando la cattiva fama che ebbe
in vita come frutto di malanimo e invidia, non riesce nel compito che s’era prefisso
e, giunti alla fine del suo volume, Benedetto Croce rimane quello che
conoscevamo: né il suo pensiero ci appare più interessante di quanto ci
apparisse prima, né il suo carattere migliore dell’idea che ci eravamo fatti in
precedenza, né la sua vita ci rivela alcunché di nuovo rispetto a quello che
avevamo appreso da quella mezza dozzina di biografie che abbiamo sugli scaffali.
Anzi, giacché Vita intellettuale e affettiva di Benedetto Croce si prefiggeva di
mostrarci soprattutto l’uomo, diremmo che, a voler prendere per buone le
spiegazioni che Giancristiano Desiderio ne dà di certi aspetti, nell’immagine
che ce n’eravamo costruito si creano punti oscuri: liquidando quelle che
vengono definite «dicerie […] utilizzate dai critici di Croce nel tentativo
assai maldestro di screditare l’uomo non riuscendo a buttar giù il filosofo» (pag.
78), e che tuttavia lo illuminavano a meraviglia, anche se poi non era un bel
vedere, si creano zone che il tentativo di riaccreditarlo lasciano in ombra. In
tal senso potremmo dire che il libro ottiene il fine opposto a quello che si
proponeva.
È questo il caso dell’argomento affrontato nel terzo capitolo (pagg.
75-105), quello relativo ad Angelina Zampanelli. [Tralascerò in questa sede
ogni commento sul secondo capitolo, quello relativo all’infanzia e al terremoto
di Casamicciola. Qui Giancristiano Desiderio ripete ciò che ha scritto sul
Corriere del Mezzogiorno nella nota polemica tra Marta Herling, nipote di
Benedetto Croce, e Roberto Saviano, sulla questione delle centomila lire che,
sotto le macerie del terremoto, Pasquale Croce avrebbe raccomandato al figlio
di offrire a chi lo soccorresse: esclude possa essere davvero accaduto – si tratterebbe
dell’ennesima «diceria» – perché il filosofo non riportò mai l’episodio nei
suoi scritti. Sulla questione mi sono già intrattenuto in due o tre post,
qualche anno fa, e non annoierò il lettore ripetendomi. Dirò solo che la «diceria»
fu riportata molte volte mentre Benedetto Croce era ancora in vita, su libri, giornali e riviste, e da lui
non ebbe mai smentita, mentre non si contano le volte che prese carta e penna
per correggere chi su di lui ne avesse detta una non gradita o imprecisa.]
Su quello che Giancristiano Desiderio scrive riguardo alla lunga storia d’amore tra Benedetto Croce e Angelina Zampanelli ho già fatto qualche cenno, visto che a Radio Radicale è proprio su quella che egli si è intrattenuto per più tempo. Qui mi limiterò a smentirlo su ciò che egli nega in più occasioni (pag. 78, pag. 86, pag. 93, pag. 94), cioè che Benedetto Croce l’abbia sposata. E comincio con riprodurre l’estratto per riassunto dell’atto di morte di Angelina Zampanelli rilasciato dal Comune di Raiano (AQ). L’ho trovato in un volume che non è citato nella bibliografia che Giancristiano Desiderio allega in coda al suo lavoro (Gennaro Cesaro, Benedetto Croce in pace, in guerra e in amore, Bastogi 2012 – pag. 103), e certifica ufficialmente che la donna fosse «coniugata con il senatore». Si tratta di un documento che senza dubbio è sfuggito a Giancristiano Desiderio, che infatti riferisce come orario della morte di Angelina Zampanelli le «6,45» (pag. 101), mentre l’atto dell’Ufficio dello Stato Civile recita che è spirata alle «6,15».
Qui penso cada bene un inciso. Un biografo non dovrebbe attingere da fonti qualificate? E quali sono le fonti più qualificate per accertare a che ora sia morta una persona e se fosse coniugata o meno? Non risulta, in questo caso, che il biografo di Benedetto Croce abbia fatto ricerche negli archivi del Comune di Raiano. Ma diamo per scontato che Giancristiano Desiderio fosse a corrente di ciò che Gennaro Cesaro ha ritenuto dimostrabile grazie a un documento ufficiale, e diamo per scontato che abbia deliberatamente deciso di non tenerne conto perché riteneva falso il certificato, e chiediamoci: nello smentire la vulgata che tra Angelina Zampanelli e Benedetto Croce vi fosse un vincolo matrimoniale, non avrebbe avuto il dovere di dimostrare la falsità di quell’atto ufficiale? Niente di tutto questo, tutt’altro: nega che fossero sposati; e non sottovaluta che «per l’epoca» (pag. 94) quella convivenza ponesse Angelina Zampanelli in una situazione estremamente imbarazzante; inoltre riferisce che a lungo ella espresse il desiderio di regolarizzare quell’unione, ma «lui le diceva di correre un po’ troppo» (pag. 86), non che alla cosa dovesse rinunciare; per poi concedere che «da tutti era chiamata e indicata come la moglie del filosofo e lei stessa usava chiudere le sue lettere firmandosi Angelina Croce» (pag. 86). Non è chiaro, insomma, su quali basi Giancristiano Desiderio escluda che si sia celebrato un matrimonio tra i due, anche se solo in prossimità della morte della donna. Cioè, un sospetto ce ne suggerisce la ragione: se erano sposati, si solleverebbe la questione del perché Benedetto Croce, ancorché implicitamente, fosse reticente nel dichiararlo prima, quando la donna era ancora in vita, e dopo, quando ormai era morta. La ragione potrebbe essere una sola: quel matrimonio imbarazzava il filosofo, prima e dopo la morte di Angelina Zampanelli, e il suo biografo è imbarazzato nel darci spiegazione di quell’imbarazzo, anche se non può fare a meno di offrircene i motivi: «lui legato alla sfera dell’alta e ricca borghesia, lei di umili origini contadine» (pag. 84) e nata da una relazione illegittima tra un possidente terriero, ucciso per oscuri moventi «in un agguato con ben diciotto colpi di arma da fuoco» (pag. 84), e una «serva» che lavorava in casa sua; forse non era una ballerina, una sciantosa o una cocotte, Angelina Zampanelli, di fatto l’incontro con Benedetto Croce avvenne nel buffet della stazione ferroviaria di Salerno, e quel buffet era gestito da un suo zio, nulla di meno improbabile che lì lavorasse come cameriera… Un egolatra come Benedetto Croce poteva far sapere al mondo intero che si era sposato con una così? L’amava, l’amava molto, su questo possiamo anche evitare di sollevare dubbi. In ogni caso, accanto al filosofo, ella svolse per venti anni l’attività di segretaria.
Su quello che Giancristiano Desiderio scrive riguardo alla lunga storia d’amore tra Benedetto Croce e Angelina Zampanelli ho già fatto qualche cenno, visto che a Radio Radicale è proprio su quella che egli si è intrattenuto per più tempo. Qui mi limiterò a smentirlo su ciò che egli nega in più occasioni (pag. 78, pag. 86, pag. 93, pag. 94), cioè che Benedetto Croce l’abbia sposata. E comincio con riprodurre l’estratto per riassunto dell’atto di morte di Angelina Zampanelli rilasciato dal Comune di Raiano (AQ). L’ho trovato in un volume che non è citato nella bibliografia che Giancristiano Desiderio allega in coda al suo lavoro (Gennaro Cesaro, Benedetto Croce in pace, in guerra e in amore, Bastogi 2012 – pag. 103), e certifica ufficialmente che la donna fosse «coniugata con il senatore». Si tratta di un documento che senza dubbio è sfuggito a Giancristiano Desiderio, che infatti riferisce come orario della morte di Angelina Zampanelli le «6,45» (pag. 101), mentre l’atto dell’Ufficio dello Stato Civile recita che è spirata alle «6,15».
Qui penso cada bene un inciso. Un biografo non dovrebbe attingere da fonti qualificate? E quali sono le fonti più qualificate per accertare a che ora sia morta una persona e se fosse coniugata o meno? Non risulta, in questo caso, che il biografo di Benedetto Croce abbia fatto ricerche negli archivi del Comune di Raiano. Ma diamo per scontato che Giancristiano Desiderio fosse a corrente di ciò che Gennaro Cesaro ha ritenuto dimostrabile grazie a un documento ufficiale, e diamo per scontato che abbia deliberatamente deciso di non tenerne conto perché riteneva falso il certificato, e chiediamoci: nello smentire la vulgata che tra Angelina Zampanelli e Benedetto Croce vi fosse un vincolo matrimoniale, non avrebbe avuto il dovere di dimostrare la falsità di quell’atto ufficiale? Niente di tutto questo, tutt’altro: nega che fossero sposati; e non sottovaluta che «per l’epoca» (pag. 94) quella convivenza ponesse Angelina Zampanelli in una situazione estremamente imbarazzante; inoltre riferisce che a lungo ella espresse il desiderio di regolarizzare quell’unione, ma «lui le diceva di correre un po’ troppo» (pag. 86), non che alla cosa dovesse rinunciare; per poi concedere che «da tutti era chiamata e indicata come la moglie del filosofo e lei stessa usava chiudere le sue lettere firmandosi Angelina Croce» (pag. 86). Non è chiaro, insomma, su quali basi Giancristiano Desiderio escluda che si sia celebrato un matrimonio tra i due, anche se solo in prossimità della morte della donna. Cioè, un sospetto ce ne suggerisce la ragione: se erano sposati, si solleverebbe la questione del perché Benedetto Croce, ancorché implicitamente, fosse reticente nel dichiararlo prima, quando la donna era ancora in vita, e dopo, quando ormai era morta. La ragione potrebbe essere una sola: quel matrimonio imbarazzava il filosofo, prima e dopo la morte di Angelina Zampanelli, e il suo biografo è imbarazzato nel darci spiegazione di quell’imbarazzo, anche se non può fare a meno di offrircene i motivi: «lui legato alla sfera dell’alta e ricca borghesia, lei di umili origini contadine» (pag. 84) e nata da una relazione illegittima tra un possidente terriero, ucciso per oscuri moventi «in un agguato con ben diciotto colpi di arma da fuoco» (pag. 84), e una «serva» che lavorava in casa sua; forse non era una ballerina, una sciantosa o una cocotte, Angelina Zampanelli, di fatto l’incontro con Benedetto Croce avvenne nel buffet della stazione ferroviaria di Salerno, e quel buffet era gestito da un suo zio, nulla di meno improbabile che lì lavorasse come cameriera… Un egolatra come Benedetto Croce poteva far sapere al mondo intero che si era sposato con una così? L’amava, l’amava molto, su questo possiamo anche evitare di sollevare dubbi. In ogni caso, accanto al filosofo, ella svolse per venti anni l’attività di segretaria.
[segue]
perché non possiamo dirci Giancristiani
RispondiEliminaadesso potrò dormire sereno
RispondiEliminaGentile dottor Castaldi,
RispondiEliminama non dovrebbe esistere – ed essere decisivo – anche un atto di matrimonio?
Certo, ma i due giravano in lungo e in largo, potrebbero essersi sposati a Napoli o a Pescasseroli, in Svizzera o in Francia, e la ricerca dovrebbe coprire un bel po' di uffici dello stato civile. Finora nessuno ci ha pensato e dunque non è sortito alcunché.
EliminaGentile dottor Castaldi,
Eliminatuttavia Lei stesso scriveva che Croce acconsentì a sposare la Zampanelli solo quando quest'ultima era vicina a morire: non dovrebbero aver viaggiato molto in un torno di tempo così breve, perciò l'atto di matrimonio non dovrebbe essere difficile a reperirsi.
Invero altri due dettagli del documento di morte mi lasciano perplesso.
a) L'ufficiale ignora la data di nascita della signora Zampanelli: non solo non ne ha potuto identificare l'atto (comprensibile, se era conservato nel solo comune di nascita), ma nessuno dei famigliari (nemmeno il marito?) gliel'ha saputa dire.
b) Più rilevante, la dicitura stessa "e che era coniugata con il senatore Benedetto Croce" è un'evidente e curiosa aggiunta; autentica, a prima vista, ma fatta in un documento dove non era previsto uno spazio per essa, tanto da far pensare che qualcuno abbia insistito per mettervela. Vien da chiedersi perché.
Osservazioni pertinenti relative a questioni che mi sono posto anch'io. Vengo nel dettaglio. (1) La malattia che portò Angelina Zampanelli a morte non ebbe lungo decorso. Quando dico che il matrimonio potrebbe esserci stato in prossimità del suo decesso, dunque, non dico che sia stato celebrato per soddisfare il desiderio di una moribonda, cioè pochi giorni prima della sua morte. Volendo restringere il campo ai soli due anni precedenti, la ricerca dovrebbe essere a largo raggio. (2) Parliamo degli anni antecedenti alla Grande Guerra, dove non è affatto raro imbattersi in documenti privi di indicazioni anche importanti. In più tenga presente che Angelina Zampanelli era figlia "illegittima" e fu riconosciuta solo tempo dopo la sua nascita, il che rende problematica l'attribuzione di una sua data certa sul piano della certificazione ufficiale. Si tratta di questioni che oggi facciamo fatica a concepire per l'importanza che nella nostra vita assumono i dati anagrafici, ma, giusto per farle un esempio, la mia nonna materna, nata nel 1891, non ha mai saputo quale fosse la sua reale data di nascita e ha sempre dichiarato quella del battesimo, così trascritta sui documenti ufficiali. Che neppure Benedetto Croce la conoscesse, dunque, è verosimile. (3) Quello che ho editato nel corso del post è il certificato che Gennaro Cesaro ha chiesto al Comune di Raiano, ed è in data 9 aprile 2004, dunque è stato redatto su un modulo odierno, ritrascrivendo quanto riportato dal registro dei decessi del 1913. Il fatto che la dicitura "e che era coniugata con il senatore Benedetto Croce" cada in punto del "documento dove non era previsto uno spazio per essa" non ha alcun rilievo.
EliminaMa il fatto di convivere non si potrebbe vedere come una cosa moderna e anticonformista?
RispondiEliminaDopotutto esponeva anche sé stesso alle critiche dei benpensanti.
Secondo una professoressa universitaria amante di Croce di cui non ricordo il nome, persino i giovani vociani si scandalizzavano per questa convivenza.
Mi pare che la questione si ponga in termini opposti: la sposò, probabilmente cedendo alle sue legittime richieste, ma quel matrimonio lo imbarazzava e lo tenne celato.
EliminaPoi ci sarebbe da spiegare com'è che l'anticonformista che nella convivenza vede una cosa moderna sposa Adelina Rossi.
EliminaSignor Castaldi i miei complimenti più sinceri per il modo preciso, puntuale e documentato con cui distrugge le tesi di un ridicolo saccente di Provincia, più superbo che intelligente, che si crede di essere qualcosa, lei ha saputo dire di questo biografo ciò che io ho sempre pensato.Con stima.Un concittadino di quel trombone di GCD,costretto quindi a sopportarne gli immeritati salamelecchi di altri pseudiintellettuali come il di cui sopra...
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