Torno
su quel «farsi prendere la mano» che è il rischio più serio nell’analizzare un’opera
d’arte e stavolta prendo a esempio il celebre autoritratto di Johann Anton
Gumpp, qui sopra riprodotto nelle due versioni realizzate dall’artista, dicendo
che grazie alla seconda, meno nota e parte di una collezione privata, possiamo destituire
d’ogni solidità ciò che è stato detto, anche da voci peraltro autorevoli, sulla
prima, il tondo che è alla Galleria degli Uffizi di Firenze, conosciutissimo.
In primo luogo, è da smentire ciò che entrambe le versioni mostrano in modo
evidente, e cioè che non si tratta di un autoritratto doppio, ma triplo, perché
l’artista ritrae se stesso anche di spalle, quasi a figura intera, tra i due
ritratti a mezzo busto che sono racchiusi nell’ottagono dello specchio sulla
sinistra e nel rettangolo della tela sulla destra; in molte circostante,
tuttavia, troviamo riproduzioni dell’opera a corredo iconografico di scritti che
trattano il tema del Doppio in letteratura, in filosofia o in psicoanalisi,
senza tenere in alcun conto il fatto che in realtà il dipinto non raddoppia ma
triplica il soggetto. In quanto al resto, non starò a riproporre per esteso le
faticose e affaticanti elucubrazioni che l’opera ha sollecitato in quanti hanno
provato a interpretare le più intime intenzioni dell’artista: dirò solo che la
gran parte d’esse s’appunta sulle diverse direzioni cui volgono i due sguardi nella
versione più nota, e che ci danno prova della loro palese insussistenza all’osservazione
della versione meno nota, perché si può dare per scontato, salvo ulteriori e
ancor più faticose e affaticanti elucubrazioni, che le intenzioni dell’artista
non possono essere state diverse nel proporci in due occasioni la stessa scena.
Possibile che Jean-Luc Nancy (Le regard du portrait – Galilée, 2000) e Omar
Calabrese (L’arte dell’autoritratto – La casa Usher 2010) ignorassero l’esistenza
di una seconda versione del quadro, di fatto è proprio questa che sgonfia le
loro affascinanti ipotesi sulla prima. C’è poi un’altra questione, che non è
affatto marginale: è assai probabile che il tondo sia la seconda versione in
ordine cronologico. Non sarebbe il primo caso in cui un’artista decida il
rifacimento di un’opera ritenuta particolarmente riuscita passando da un
formato più comune ad uno che supponga ne esalti il contenuto, e mai come in
questo caso si può ritenere che così sia stato: basti il considerare che il
gatto e il cane raffigurati in entrambe le versioni trovano collocazione meno
forzata nella tela che nel tondo. Le originali intenzioni dell’artista, allora,
dovrebbero essere individuate nella prima versione, e perciò smentire
ulteriormente ciò su di esse si è elucubrato analizzando la seconda.
Il commento più appropriato mi sembra infatti ' farsi prendere la mano'. Le critiche sono sempre contestuali e a seconda della preparazione ,intenzione e ambizione ogni 'esperto' la racconta pro-domo sua. L'esasperazione archeologica degli elementi di riferimento e la ridondanza della critica storica, portano inevitabilmente ai soliti onanismi intellettuali. Oggi va bene così, domani scopriremo quali effetti sulla pennellata ha portato la probabile patologia del tunnel carpale di Johann Anton Gumpp nonchè l'etologia degli animali di compagnia dell'epoca.
RispondiEliminaadoro l'arte moderna e contemporanea anche per questo. Nessuno può ancora affermare che Manzoni cacò nei barattoli per farsi la scorta di cibo in quanto noto coprofago, o che il dito medio di Cattelan simboleggia il contatto tra l'uomo e il metafisico visto che è puntato verso l'alto.
RispondiEliminaDa ignorante del tema, io interpreterei l'aggettivo doppio in riferimento al livello di ricorsione, non al numero di autoritratti presenti nell'opera: si tratta di un autoritratto doppio perché l'autore ha ritratto se stesso (1^ livello) nell'atto di ritrarre se stesso (2^ livello di ricorsione).
RispondiEliminaNon è forse così?
Stefano
Sì, ma il significato profondo è in superficie. Le do una traccia: perché, secondo lei, all'immagine riflessa nello specchio è associata un gatto e a quella sulla tela un cane? Si rifaccia alla simbologia dei bestiari del XVI secolo.
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