Wikipedia fa buona sintesi del
significato sociologico del termine generazione,
dice che «identifica un insieme di
persone che è vissuto ed è stato esposto a degli eventi che l’ha caratterizzato»
e precisa che «le generazioni non
esistono sistematicamente, [perché] vi
sono periodi della storia in cui non si è verificato nessun evento
caratterizzante», aggiungendo che «i
giovani d’oggi ne sono un esempio»: anche se «alcuni sociologi hanno parlato di “generazione internet”», infatti,
il web «non può essere definito come
evento caratterizzante poiché comprende un vasto insieme di persone che hanno cominciato
a usufruir[ne] (anziani, adulti,
giovani e persino bambini)». Nulla aggiunge sul significato corrente del
termine, solitamente usato per indicare quell’arco temporale di circa 25 anni che
intercorre tra due generazioni successive, come da esempio offerto dai più
aggiornati lemmari con quella generazione
X che, pur «priva di un’identità sociale
definita», come ebbe a precisare chi coniò il neologismo (Jane Deverson), voleva
avere mera delimitazione anagrafica, includendo «chi è nato negli anni Sessanta e Settanta del Novecento».
Con
le dovute scuse al lettore che avrà storto il muso per la pedante premessa,
possiamo passare a chiederci se sia legittimo immaginare una generazione che includa chi è nato tra
il 1° gennaio del 1970 e il 31 gennaio del 1979. Si tratta del parto della
crassa fanfaronaggine di una delle più grottesche maschere che negli ultimi
anni abbiamo visto affannarsi, quasi sempre con esiti tragicomici, per entrare
nella posa che fotografa lo sfascio culturale e morale di un paese di merda,
quel Mario Adinolfi che ne teorizzò l’esistenza alcuni anni fa, battezzandola Generazione U (Hacca, 2007). Non suoni
tutto ironico, il teorizzare, perché tra
le accezioni estensive di teoria vi è
anche l’opinione scacazzata a punto e virgola, a serpentina, a spruzzo e a
palline, e un’occhiata all’esilarante librettino è in tal senso dirimente: la generazione U non aveva altra
caratteristica che essere quella «degli
under 40» – generazione perenne, potremmo dire, sicché oggi il suo teorizzatore
ne è fuori – mentre a cercare di coglierne i tratti che le dessero forma, se
non struttura, non si poteva attingere che dai suoi gusti – I dieci film della Generazione U (300, La
messa è finita, Matrix, ecc.), I dieci libri della Generazione U (Albert
Camus e Paolo Villaggio, la Bibbia e Indro Montanelli, ecc.), e via elencando,
come da pagina di Smemoranda – patenti proiezioni di un (allora) 36enne che si
attardava nei sogni ad occhi aperti che sono delizia dell’adolescenza pronta ad
abbracciare la croce della disillusione. Trovato su una bancarella dei libri
scampati al macero, nel comparto di quelli al prezzo di 50 centesimi, riposa
oggi in uno degli scaffali coperti pudicamente dagli schienali dei divani, tra Nel 2006 vinco io (e intanto gioco a
governare) di Pierluigi Diaco (Mondadori, 2001) e Poveri ma ricchi – La favola del grande declino italiano di Filippo
Facci (Mondadori, 2006). Anche Generazione
U ha un sottotitolo notevole: Storia
e idee di un blogger che vuole cambiare l’Italia. Poteva far paura, oggi
strappa un sorriso.
Perché
parlarne oggi? Perché oggi Mario Adinolfi afferma: «La mia generazione ha vinto». «Il simbolo fin troppo
evidente è il potere imperiale assegnato a Matteo Renzi (1975)», e poi c’è Paolo
Sorrentino (1970), Roberto Saviano (1979), Checco Zalone (1977), Fabio Volo
(1972), Matteo
Salvini (1973), Giorgia Meloni (1977), Angelino Alfano (1970), Matteo Orfini
(1974), e tanti altri ancora, poco importa che non ve ne fosse uno a
sottoscrivere le cazzate che lui scriveva nel 2007, poco importa che in un modo
o nell’altro quelli siano riusciti a «cambiare
l’Italia», mentre nel frattempo Mario Adinolfi è riuscito solo a cambiare
bermuda, perché la proiezione ha questo di potente: investi a gratis e qualcosa
comunque porti a casa. Mario Adinolfi guarda Matteo Renzi e sente scorrergli
nelle vene un po’ di «potere imperiale»,
guarda Paolo Sorrentino e sente che quell’Oscar è anche un po’ suo, guarda
Salvini, Meloni, Alfano e si sente segretario di partito. È facile, via,
provate anche voi. Che siate nati tra il 1° gennaio del 1940 e il 31 gennaio
del 1949 o tra il 1° gennaio del 1950 e il 31 gennaio del 1959 viene bene
uguale. Se poi siete nati tra il 1° gennaio del 2000 e il 31 gennaio del 2009,
non vi resta che attendere: vedrete che qualcosa vincerete di sicuro. Sicché
non vi date troppo affanno, potrete anche avere «il limite di apparire una generazione “leggera”, incapace di
complessità, forse superficiale», dovreste certamente «migliorare ed essere più credibili, studiare forse di più, leggere
certamente di più», ma non preoccupatevi troppo, perché ci sarà qualcuno
della vostra generazione che lo farà
per voi, sicché potrete dire di aver vinto comunque. L’importante è che cominciate
per tempo a sentirvela dentro.
Scusi ma lei è troppo severo. Lei prende a esempio questi autori rimproverando loro di non essere dei mostri di bravura o dei genii o dei maestri! Sono semplici individui che si dibattono nella solita miseria umana che è dei più. Diciamo che è normale. Sarebbe stato degno di onore e gloria il contrario, ovvero che qualcuno di questi abbia davvero dato qualcosa di meritevole al mondo. Non è successo.
RispondiEliminaRp
Insomma una persona del tutto normale che guarda Salvini,la Meloni e Alfano può pensare che di fatto non sia così impossibile ed esclusivo diventare segretario di un partito. E' il sogno americano targato made in Italy, 'anche tu ce la puoi fare'.
RispondiEliminaL'importante è partecipare.