«Avant de mourir, je
vais protester contre cette invention
de la faiblesse et de la vulgarité, et
prier mes lecteurs
de s’attacher à déstruire mes observations
et mes
raisonnemens plutôt que d’accuser mes maladies»
Lettera
a Luigi de Sinner, 24 maggio 1832
Un
giorno – siamo ai primi dell’Ottocento – ad Antonio Fortunato Stella, «stampatore
in Milano», viene l’idea di dare alle stampe un’edizione dell’opera omnia di Cicerone
che abbia apparato critico da renderla imperitura e affida a Niccolò Tommaseo
il compito di stendere le note per le Orazioni. Quando gli viene consegnato il
lavoro, ha qualche dubbio sulla tesi che serpeggia in esso – Cicerone sarebbe
retore scarsuccio e pessimo avvocato – sicché manda il manoscritto a Giacomo Leopardi
perché gli esprima un parere, ma senza dirgli chi ne sia l’autore, per discrezione.
Leopardi lo legge e scrive a Stella che è robaccia, zeppa di madornali errori
che rivelano gravi lacune nella conoscenza del latino. Qui la discrezione di
Stella accusa un inspiegabile cedimento: fa leggere la lettera ad alcuni
letterati, che si dicono d’accordo con le osservazioni di Leopardi, e allo
stesso Tommaseo, che comprensibilmente non la prende affatto bene. Potrà
vendicarsi solo molti anni dopo, quando ormai ha acquistato fama e prestigio: i
circoli culturali di tutta la penisola fanno propria la sua tesi che il
pensiero di Leopardi trovi ragione solo nel fatto che è basso, gobbo e
malaticcio. Tesi che a 177 anni dalla morte di Leopardi riaffiora ancora, anche
se raffinata in morbide insinuazioni, dalle pagine che ci danno notizia dell’edizione
inglese dello Zibaldone o dell’uscita del film di Mario Martone. Il che spiega perché
Tommaseo abbia potuto acquistare fama e prestigio: conosceva gli italiani, sapeva
che avrebbero afferrato al volo la maldicenza per risparmiarsi la fatica di
fare i conti con la vertiginosa profondità di Leopardi.
Non ha importanza chi
riprenda, oggi, la maldicenza di Tommaseo: carte che ci arrivano come se non
avessero un nome in calce, come il manoscritto che Stella inviò a Leopardi.
Mah...
RispondiEliminaLa sola vertiginosa profondità che io vedo in Leopardi è quella delle sue pippe mentali, prima fra tutte quelle espressa in una delle sue poesie più famose, cioè "L'infinito" che è semplicemente la descrizione dell'attività masturbatoria (in questo caso pippe reali e non mentali) che il Leopardi era uso svolgere, in mancanza di accoppiamenti con femmine reali) nell' ermo colle dietro alla siepe.
"L'infinito", che è in realtà il nulla, è soltanto un evadere nel nulla della pippa, per mancanza del finito, cioè una vita reale sulla Terra e un rapporto concreto e fisico, con una femmina, che al Leopardi mancava.
"Il naufragar m'è dolce in questo mare", finale di quella poesia,secondo alcuni arguti critici contemporanei, con cui sono d'accordo, è soltanto la rappresentazione letteraria della sborrata finale che chiude ogni attività masturbatoria, nella fattispecie la sborrata finale di Giacomino ad ogni pippa "dietro la siepe sull'ermo colle", invero praticata dal Leopardi con frequenza eccessiva e fino ad età in cui si dovrebe svolgere un altro tipo di attività sessuale, fino a minare irrimediabilmente la sua già precaria salute,
Da questo punto di vista tutta la vita del Leopardi e tutta la sua attività letteraria sono semplicemente la manifestazione di un uso conttro natura del corpo e del cervello, che ha poi portato al contro natura le vite di innumerevoli adolescenti.
La giusta conclusione finale dell'opera leopradiana è la Recanati di oggi, in cui la "vil gente selvaggia" campa ale spalle del gobbetto pipparolo, malato ed infelice con i vari "Hotel Silvia", "Ristorante Il Passero Solitario" e "Bar L'infinito".
La natura, come sempre, tronfa sul contro natura.
La vita, come sempre, trionfa sulla morte.
Oplà, ecco scongelata una scoreggia del Tommaseo, pronta ad esser fritta.
EliminaNon so perché, ma mi viene in mente Kraus: In civiltà nelle quali ogni imbecille possiede un'individualità, le individualità rimbecilliscono.
EliminaChe è poi un modo elegante per dire che non sei un vero cretino, se non hai almeno un opinione su ogni cosa.
Il tuo intervento è bellissimo. Mi piace pensarti arguto e sarcastico. Ma ancor di più tanto scemo da risultare involontariamente meraviglioso. Per non togliermi alcun dubbio non guarderò il tuo blog. Comunque complimenti!
EliminaP.S. Mi piacerebbe leggere altre tue critiche su altri grandi letterati e penstaori, se possibile..
Anonimo
@Giamba
EliminaMi dispiace per lei.
In fin dei conti tommaseo ha semplicemente ipotizzato una causa psicologica del pensiero di leopardi, esattamente come fanno coloro che attribuiscono alla vicenda del commento di cicerone l'origine dell'ipotesi tommasea.
EliminaLa natura,come sempre, 'tronfa' sul contro natura. Com'è vero.
RispondiEliminalr
Se i danni degli studenti dei corsi di recupero (tre anni in uno) in età matura si limitassero a questo.....
RispondiElimina“Luigi castaldi @imcastaldi
RispondiElimina@marioadinolfi La natura è quella cosa che ti ha fatto chiatto e scemo, non stare troppo a sacralizzarla”, come vede caro Malvino, siamo sempre i Niccolò Tommaseo di qualcuno ;-)
Giusto. Tanto più che la concezione leopardiana dela nature è la stessa di Adinolfi.
EliminaEh, no, il parallelo non regge. Rammentare a qualcuno cosa sia in realtà la natura che egli divinizza è cosa ben diversa. Tommaseo rimproverava a Leopardi di vendicarsi della vita che lo aveva sfavorito, deprezzandola. Come vede, siamo su piani totalmente diversi: quella del Tommaseo è maldicenza, il mio è esercizio di quella nella teoria dell'argomentazione è nota come "autofagia".
RispondiEliminaVinci a mani basse, con un decerebrato come quello. Mi prudono i polpastrelli.
EliminaTanto piu` che Leopardi, che era uno sportivo, quel tweet se l'e` scritto da solo (pur non rispettando i 140 caratteri) nel "Dialogo della natura e di un islandese".
EliminaMarco Antognozzi
E così, caro Luigi Castaldi, lei crede di sapere cos’è la “natura” (la “sua realtà” dice), non le pare un tantino presuntuosa questa affermazione, considerato soprattutto che redarguisce un po’ troppo la concezione di natura di tale Mario Adinolfi, di cui nulla ci dice che la sua concezione di natura sia più corretta di quella dello stesso Adinolfi (ha presente quel tale che cantava:” …questa o quella per me pari sono…”? Che la si divinizzi o che la si svalorizzi, diffido di ogni tentativo di piegare la natura alle proprie esigenze, diffido tout court di ogni tentativo di parlare di natura, perché è spesso il tentativo di cristallizzare ciò che è vivo, di rendere “essere” ciò che è divenire, di “dimostrare” quello che cazzo ci pare come se ricorressimo a dio o a qualcosa di trascendente, mentre in realtà stiamo solo affermando i nostri limiti di comprensione e la nostra impotenza o semplicemente la nostra stanchezza mentale. Se ne faccia una ragione, anche la sua è maldicenza … sull’autofagia mi trova completamente d’accordo … non si attacca l’altro se non rappresenta ciò che di me non vorrei accettare (Adinolfi, Ferrara, la chiesa, ecc.).
RispondiEliminaPer concludere, trovo che il suo blog sia frequentato in maniera spropositata da “anonimi” che dicono delle cose, non i sa bene che cosa, non si sa bene rivolte a chi, non si sa bene chi parla, lei, caro Malvino, è come un cane infestato dalle pulci, solo che sembra trovarle di suo gradimento, al punto che queste pulci sembrano degli alter ego, o degli epigoni che lei sembra approvare, come le ciliegine sulle torte o le cacche di cane sul marciapiede, visto che usa il filtro della moderazione dei commenti … io non permetterei, per rispetto sa, mica per altro, che venissero usati certi termini nei confronti di chi mi frequenta e si comporta in maniera civile. Altrimenti qualche lettore di passaggio potrebbe non distinguere fra loro e lei :-)
Mi stia bene.
Avrei pieno di diritto di darle del cretino e toglierle la parola, ma proverò bonariamente a spiegarle perché, tra un'offensiva insinuazione e l'altra, lei spara cazzate. Anzi, no.
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