venerdì 8 maggio 2015

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Visto che già da qualche tempo va prendendo piede luso del termine renzismo, credo non sia affatto superfluo cercare di darne una definizione sul piano lessicale, sicché al netto di ogni giudizio in merito si possa concordemente convenire su cosa esattamente sia. Ora, se per definizione è da intendersi lindividuazione e lillustrazione delle proprietà essenziali che danno piena ragione della relazione funzionale tra significante e significato, che poi sarebbe la definizione di definizione che più compiutamente dà conto di ontologia, logica e linguaggio, il nostro tentativo non può procedere che dal decidere in quale categoria di termini che sfruttano il suffisso -ismo sia più opportuno collocare il renzismo. Con l-ismo, in questo caso, saremmo dinanzi a una dottrina? Penso si debba escluderlo. Nulla, infatti, nel renzismo rimanda ad un organico sistema di principi, anzi, direi che in questo caso ne sia esplicito il rigetto, per la rigidità che sempre caratterizza un simile costrutto. Il renzismo, infatti, rivendica con orgoglio il rifiuto della dimensione ideologica, e dunque è quanto mai distante da qualsivoglia impianto di tipo dottrinario, in favore, al contrario, di un insieme di assunti valoriali – chiamarli principi sarebbe improprio – così eclettico, mobile e disarticolato da rendere del tutto vana la ricerca di un criterio che dia ad essi una struttura sistematica. E allora, se non è una dottrina, cosè il renzismo? In quale categoria di termini che sfruttano il suffisso -ismo è da porre? Direi non abbia a trovar posto nella categoria di termini che indicano movimenti religiosi, filosofici, letterari, artistici, tanto meno in quella che include fenomeni fisici, funzioni organiche, processi naturali, ecc. Rimangono solo due categorie, ma entrambe molto eterogenee, per giunta con unampia area di intersezione. Anticipo fin dora che a mio modesto avviso il renzismo si situi proprio in questo sottoinsieme comune alle due categorie di termini che ancora non abbiamo preso in considerazione, e cioè a quella che include fenomeni sociali – dunque anche politici, seppur nellaccezione più ampia del termine – e a quella nella quale troviamo tutto lampio spettro delle configurazioni caratteriali che sono oggetto della riflessione morale e di quella psicologica. A scanso di equivoci, però, è bene precisare che quando la politica rigetta la dimensione ideologica – e questo, come abbiamo già detto, è il caso del renzismo – accade giocoforza che sia portata a dare notevole risalto ai tratti della narrazione individuale o collettiva che va a surrogarne lelemento identitario, indispensabile a darle una cifra che serva a farla riconoscere, e questo, di regola, implica la fondazione di uno statuto etico-estetico, il quale, a differenza di una Weltanschauung, non è tenuto a darsi una logica di sistema. Ne consegue che l-ismo perderà, allo stesso tempo, sia ciò che conferisce peculiarità di connotazione sul piano della teoria politica, sia ciò che consente lindividuazione descrittiva di un profilo morale o psicologico. Con ciò siamo nellarea di intersezione cui facevo cenno prima, e il renzismo vi si inscrive a pieno titolo proprio in virtù di questa doppia perdita: patente inclinazione a esplicitarsi tutto nei mezzi piuttosto che nei fini, con ciò esaurendo in mera postura tattica una ambivalente, quando non ambigua, contraddittoria e perfino confusa, posizione politica; ipertrofia del carattere in maschera, con ciò che ne consegue in fissità e regressione della configurazione morale o psichica del modello che si accredita.

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